La Repubblica
La Repubblica, 15/10/2009, CULTURA
LA SCONFITTA DELL’ ULTIMO BARSPORT
Emilia benedetta , Emilia maledetta. Alla fine nessuno scrittore sa resistere al sortilegio di questa terra. Delfini, Guareschi, Zavattini. Realismo magico in umore padano, fra terra e acqua di fiume, meccanica e gastronomia, estati e nebbie. Nemmeno uno scrittore quasi metropolitano come il bolognese Stefano Benni riesce a sfuggire all' incantesimo: esce in libreria il suo nuovo romanzo, Pane e tempesta (Feltrinelli, pagg. 252, euro 16), e si fa fatica perfino a definirlo. Un libro comico? L' equivalente in forma scritta di un murale naïf?O piuttosto una storia pazza, che prende e divaga a piacere scherzando narrativamente con il lettore? Sarebbe inutile approfondire la trama, per la verità esilissima. Basti sapere che c' è un paese, Montelfo, adagiato in una sua soddisfatta premodernità, che viene minacciato da una immane speculazione edilizia e commerciale. Come dice il sindaco Velluti, ringhiando contro una destra ottusa, «la sinistra ha risposto con una mossa concreta (...). Vi ha spiegato che potete essere proprio come loro. Potete vedere le loro stesse trasmissioni televisive, parteciparvi, non leggere, non istruirvi, prendere tangenti, restare al vostro posto quando siete inquisiti». È il pessimismo politico di Benni, che potrebbe portare a moralismi fastidiosi. Ma ci sono appositi esorcismi: nel cuore del paese c' è anche il Bar Sport, forse un parente del primo e leggendario Bar Sport di Benni, e di sicuro un emblema della resistenza alla modernità improvvisa che si manifesta sotto il segno livido di ipermercati, spazi commerciali in concessione, luci, rumori e suoni della post-civiltà. Questa resistenza all' irruzione di ruspe e martelli pneumatici è l' occasione per allestire un inesorabile teatro popolare, che mette in scena praticamente tutti, diconsi tutti, gli abitanti di Montelfo, dal Nonno Stregone, lo splendido settantenne, coscienza del paese, che ogni mattina al risveglio compie «le ventisette operazioni della civiltà umana», a tutti gli umanie disumani frequentatori del bar. La cifra di Benni è infatti l' iperbole. Ogni personaggio possiede una caratteristica individuale irrinunciabile e unica, che lo rende peculiare e subito riconoscibile. Il talento dello scrittore bolognese nel mettere fori dal sipario i protagonisti della sua piccola saga è invidiabile. Siamo davanti a un epos popolare che gioca con il possibile e l' impossibile, l' antico e il futuribile. Si avverte l' istinto praticamente infallibile dello scrittore umoristico, ma nello stesso tempo anche la capacità, questa sì analoga ai racconti di Zavattini, di proiettare le sue figurine in un mondo altro, dove vigono regole diverse da quelle nostrane. Per questo il romanzo prende pieghe e svolte inaspettate. A ogni curva ci sono svariate digressioni, alcune che fanno tornare alla mente gli interludi comici del primo Guareschi (indimenticabile per gli aficionados l' intermezzo sudamericano in Il destino si chiama Clotilde ), in cui tuttavia emerge la "filosofia" di Benni. Una visione politicamente scorretta, perché non riformista, e anzi si direbbe deliberatamente reazionaria. Per la logica interna di Pane e tempesta, un bosco e un ruscello, popolati inopinatamente da appositi gnomi ed elfi, più qualche amichevole dropout che vive selvaticamente in una capanna, hanno un valore infinitamente più grande di qualsiasi operazione mercantile e di ogni grande e "democratica" speculazione edilizia e commerciale. È un racconto, quello di Benni, in cui sulla comicità incombe, e la si avverte di continuo, una tragedia. Con ogni probabilità il paese di Montelfo verrà spazzato via, e con lui tutte le culture di tutti i Bar Sport del mondo. La post-civiltà ha già vinto, e tutti gli innumerevoli personaggi di Pane e tempesta sono destinati a scomparire, o meglio a addormentarsi per sempre sul profilo di un paesaggio destinato a rendersi irriconoscibile. Le irresistibili figurine di Benni continueranno forse a vivere in una palla di vetro con la neve, per raccontarci storie passate, e per mostrarci com' era il mondo prima della grande trasformazione: un romanzo di nostalgie, di cose trascorse, di sentimenti che non hanno più una piccola patria, neppure nell' Emilia favoleggiata delle estati e delle nebbie.
La Repubblica, 12/10/2009, R2
QUEL SACCONI SEMBRA BATTIATO
Occorre evocare suoni suggestivi, che richiamino le immagini di «furbi contrabbandieri macedoni», «gesuiti euclidei» e «la dinastia dei Ming». E poi farsi risuonare nella mente versi remoti: «La prevalenza dell' asse transpacifico sull' asse transatlantico espone la vecchia Europa al rattrappimento baltico della sua capacità di crescita». Guai ai dubbi: davanti a quelle parole così bellamente sdrucciole, con il rattrappimento baltico in primo piano, non possiamo sbagliarci: questo è il miglior Battiato. Sentiamolo ancora: «l' integralità geopolitica», «l' Italia baricentrica». Manca solo «a Beethoven e Sinatra preferisco l' insalata», o «sul ponte sventola bandiera bianca». E invece no, non è Franco Battiato, quel Battiato che metteva in versi cantati un catalogo Adelphi narrato al popolo: è il ministro Sacconi, responsabile del Welfare, che in una recente intervista a un foglio borghese, diventato malauguratamente di sinistra, si scatena su ritmi inesorabili. C' è l' asse transpacifico, c' è il rattrappimento baltico, manca una vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù. Forza ministro, un passo ancora e ci siamo: «Cerco un centro di gravità permanente...». © RIPRODUZIONE RISERVATA
La Repubblica, 11/10/2009, LA DOMENICA DI REPUBBLICA
Farabutti Tutti insieme nella piazza-web
Sarà la voglia di metterci la faccia. O più semplicemente di esserci, di farsi vedere. Il fatto è che non ci sono più, o si sono rattrappiti nell' insignificanza, i luoghi che una volta creavano le comunità, cioè le sezioni dei partiti, le associazioni culturali, i centri di dibattito, le parrocchie. E quindi viene naturale cercare altri luoghi e altri strumenti per la polis. Da questo punto di vista, il web è un luogo infinito, una dispersione, una galassia inflazionaria. Ma nello stesso tempo è un' opportunità continua: i "farabutti" possono cercare una contiguità psicologica, presentare il proprio volto per dire con ironia o insofferenza «noi siamo qui». Ed è su quel "noi" che conviene interrogarsi. Facce giovani, finalmente, a dimostrazione che un orientamento politico, anche un semplice "no", può trovare uno strumento di autorappresentazione nell' universo proliferante di internet. Come diceva Giorgio Gaber qualche decennio fa? «La libertà è partecipazione». Era forse già un' illusione allora, quando comunque la politica era fatta di grandi assemblee, di fabbriche pronte a mobilitarsi, di cortei tambureggianti nelle città, di proteste collettive che facevano appello alle identità politiche. Era l' epoca nella quale la classe operaia poteva pensare di raggiungere il proprio paradiso, e il soggetto della partecipazione, e della contestazione, era facilmente definibile. Mentre oggi la partecipazione è un concetto sfuggente, addirittura scivoloso: infatti si può apparire per esserci. Una delle finzioni più potenti, l' apparenza, riesce a trasformarsi in sostanza politica, a creare quel "noi" che sempre più raramente si riesce a creare con l' esserci. Certo, talvolta le folle riescono a mostrarsi, come di recente è avvenuto a Roma, in piazza del Popolo, con la manifestazione per la libertà d' informazione. Ma l' apparire sul web, in una colossale manifestazione di massa nell' era internettiana, è infinitamente più leggero rispetto alle iniziative di piazza. C' è minore impegno, non c' è dubbio, ma c' è tuttavia un' intenzione riscontrabile, definibile, leggibile, quindi concreta e concretamente realizzabile. Il "farabutto" singolo, demonizzato da un potere prepotente e lontano, decide di ritrovarsi in una comunità, o meglio in una community. Condivide uno sberleffo, mette a disposizione di tutti una creatività contestatrice. Esibirsi, mostrare il proprio volto, significa allora offrirea tutti gli altri frequentatori del web una parte della propria intimità intellettuale. Vuol dire "scoprirsi", lasciar cadere il velo del pudore imposto dalla quotidianità, accettare il piccolo scandalo della messa in comune della propria faccia, cioè della propria identità formale. Sarà una politica in formato tessera, o meglio nel protocollo informatico "jpg", ma è un' invenzione meravigliosa della nostra tarda modernità. Ogni immagine costituisce una sorpresa e insieme un riconoscimento: nella folla dei "farabutti" sembra sempre di individuare un volto, qualcuno che si conosce, un amico, un' amica. Ed è anche per questo che ogni fotografia genera un sorriso. Ci si ritrova insieme: la società atomizzata delle metropoli siè proiettata nell' universo virtuale ritrovando così un senso appropriato alla condizione che sta vivendo, all' opposizione che sta praticando, alla protesta che esprime. Sono giovani, donne, sono individui che cercano nell' anomia contemporanea una radice e una ragione. Che questa ragione e questa appartenenza vengano trovate nel mondo imprendibile del web è il segno di una metamorfosi: un cambiamento così profondo da poter essere affrontato solo con grandi e felici esperimenti collettivi. © RIPRODUZIONE RISERVATA
La Repubblica, 05/10/2009, LETTERE, COMMENTI & IDEE
LA GUERRA CIVILE TELEVISIVA
UNA volta alla Rai c' era la lottizzazione. Era il metodo più efficace per assicurare l' equilibrio frai partiti. Un sistema matematico ferreo, una specie di inesorabile manuale Cencelli applicato alle assunzionie alle nomine di appartenenza, agli spazi e ai tempi per i partiti. Non è il caso di rimpiangere i bilancini e gli equilibrismi di quella che fu definita da Pietro Scoppola la «Repubblica dei partiti». Tuttavia non si può neppure apprezzare, e anzi è decisamente intollerabile, la guerra civile televisiva che siè aperta di recente, per decisione unilaterale: con il primo editoriale di Augusto Minzolini, il direttore neonominato che ritenne opportuno apparire in video per spiegare il silenzio del Tg1 sullo scandalo della prostituzione di regime (con la giustificazione che non c' erano elementi di rilievo giudiziario, e quindi si trattava semplicemente di "gossip", come ripetono all' unisono tutti gli esponenti della destra). E poi con il nuovo intervento del medesimo direttore del Tg1 contro la manifestazione di Piazza del Popolo per la libertà di stampa, qualificata come una iniziativa volta a instaurare «un inaccettabile regime mediatico». Di quale regime mediatico si tratti, in un paese che vede il dominio diretto o indiretto del premier sul sistema televisivo e su un ampio settore dell' informazione stampata, è difficile dire. Tuttavia siamo abituati da tempo alle distorsioni e alle manipolazioni della maggioranza politica. È la tipica tecnica che si riassume nell' immagine popolare del "bue che dà del cornuto all' asino". Metodo infallibile se ripetuto e ribadito con regolarità, e senza possibilità di smentita. Mentre al contrario sarebbe il caso di parlare della combinazione nefasta fra l' apertura delle ostilità da posizioni di forza e la militarizzazione blindata delle funzioni di potere nella televisione pubblica: per intenderci quella che viene sostenuta in larga misura dal canone, pagato dalla generalità dei cittadini, e che in quanto tale, come ha rilevato ieri anche il comitato di redazione della Rai, deve rappresentare tutti, e qualsiasi posizione, anche quelle di coloro che vanno in piazza a protestare in nome della libertà dell' informazione. Il Tg1, sempre nelle parole del Cdr, è un organo di informazione «istituzionale». È chiamato a dare voce a tutti. Figurarsi: dalla fine degli anni Sessanta in poi il nostro paese ha conosciuto una quantità impressionante di manifestazioni di massa. Partiti di opposizione e sindacati hanno trovato spesso nella piazza quelle possibilità di espressione che sembravano inibite da una politica bloccata. Se i direttori dei tg "di maggioranza" avessero dovuto intervenire a seguito di ogni protesta sociale o sindacale sgradita all' ispirazione politica del loro editore di riferimento, avremmo avuto un sistema televisivo brezneviano. Invece il regime cinquantennale e dolce della Dc e dei suoi alleati si preoccupava di filtrare la realtà sociale italiana in modo da farne emergere il "pluralismo": il sistema doveva essere eterno ma morbido, modellato sui numeri della proporzionale, infallibile nella sua capacità rappresentativa. Non è una inutile nostalgia per le felpate scaltrezze del passato registrare che oggi stiamo assistendo a continue dichiarazioni di guerra dei potenti contro i più deboli, della maggioranza contro la minoranza, del governo contro l' opposizione, senza nemmeno le diplomazie lambiccate della lottizzazione. Non per nulla, Minzolini definisce «intolleranti» tutti coloro, a cominciare dal Cdr e dal sindacato della Rai, che criticano la sua sortita. Ciò significa semplicemente che anche la Rai si è trasformata nello strumento esplicito di un' offensiva politica. E questo avviene con i metodi ampiamente sperimentati dalla destra di casa nostra: individuando i "nemici", selezionandoli ed esponendoli alla gogna (come per esempio ha fatto il premier alla festa del Pdl, con il suo triplice «vergogna» verso presunte e impresentabili opposizioni che festeggerebbero gli attentati dei Taliban contro i nostri militari a Kabul). Ora, va da sé che la Rai non è un santuario di virtù. È sempre stata la rappresentazione più completa e precisa del potere in Italia. Forse proprio per questo oggi rischia di divenire l' immagine allo specchio di una politica brutale, che non conosce più mediazioni, né nobili né ignobili, e che anzi usa l' informazione pubblica per alimentare strumentalmente i conflitti. È l' effetto di un sistema maggioritario interpretato in modo violento, di un conflitto d' interessi che non finisce di deformare la democrazia, di una manipolazione mediatica che alla fine umilia l' opinione pubblica. Tutto ciò costituisce la conseguenza più clamorosa e invasiva del populismo berlusconiano, che si realizza nell' occupazione sistematica di ogni spazio politico e civile. La Rai e i suoi circuiti di potere interno tendono a rappresentare la politica nella sua identità più immediata. Se poi ci si mette la spregiudicatezza degli uomini del Cavaliere, altro che finzioni istituzionali, altro che servizio pubblico, sarà il trionfo dell' interesse privato.
La Repubblica, 05/10/2009, R2
BARBAROSSA DEMOCRISTIANO
Dopo la presentazione al Castello Sforzesco di Milano si può arrischiare il giudizio per cui il Barbarossa di Renzo Martinelli, che doveva fondare l' epica della Lega, non è piaciuto granché. Erano anni che se ne parlava, che Umberto Bossi lo aspettava, che Silvio Berlusconi si impegnava perché questo film venisse completato, e adesso, trac, eccolo qui, una ciofeca. Adesso aspettiamo il verdetto del pubblico, anche se non siamo ottimisti: Alberto da Giussano e Barbarossa, roba da scuola media, abbiamo già dato. Ma il sospetto più grave non è sul film. È molto più radicale: se erano anni che si aspettava questa opera colossale,e poi arriva una delusione, non sarà che questo rappresenta una metafora dell' avventura della Lega? Tanto chiasso, il federalismo, il secessionismo, i popoli pronti a scendere dalle valli,e poi alla fine che cosa rimarrà? Barbarossa, l' imperatore che sparse il sale sulle rovine di Milano. Cattivi presagi per Bossi, Maroni, Formigoni, la Moratti. E non dimentichiamo che lo scudo crociato, il simbolo dei comuni lombardi nella battaglia del 1176 contro l' imperatore, fu poi assunto dalla Democrazia cristiana. Tanta fatica per tornare alla Dc. Bah.
La Repubblica, 28/09/2009, R2
LUNEDÌ I DOLORI DEL PRETE-RAGIONIERE
Vita difficile peri responsabili spirituali. Qui in Italia la scarsità dei sacerdoti porta al prete-mercato, con una forte circolazione di stranieri. Ma le cose non vanno bene nemmeno all' estero. In Grecia, il patriarca ortodosso Ieronimo ha licenziato 56 parroci. Proprio così, licenziati. Perché erano poco spirituali? Niente affatto: perché non avevano presentato il rendiconto economico delle loro parrocchie. E noi che pensavamo che la religione ortodossa fosse dedita a una fede profonda, fra canti sommessie preghiere sussurrate: invece no, l' economia ha invaso tutto, non c' è salvezza. Quei poveri parroci, che magari dedicavano la loro intera vita a liturgie complesse, sono stati travolti dall' economia. Dal denaro, che per i padri del cristianesimo era stercus diaboli. Credevano di dover fare il loro mestiere di sacerdoti, e invece dovevano fare i ragionieri. E certo non immaginavano di subire un' ingiustizia simile. Perché in genere i professionisti falliti della finanza si ricollocano, patteggiano, trattano. E invece un povero parroco licenziato che può fare? Affidarsi a Ieronimo. Speriamo che il patriarca sappia essere clemente. Caro patriarca, al diavolo, proprio a Lucifero, l' economia.
La Repubblica, 27/9/2009, POLITICA E SOCIETA'
SCHIAFFO ALLA VERITÀ E AL PARLAMENTO
IL CLIMA è livido, l' azione del governo è torva; dopo l' attacco ad Annozero del ministro Claudio Scajola per conto del premier, ieri c' è stata la minacciosa invasione di campo del viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani, che ha prospettato un' istruttoria sul programma di Michele Santoro, perché si esamini se sono stati rispettati i termini del contratto di servizio. In sintesi: il governo interviene sui contenuti di una trasmissione; nei fatti mostra di pretendere la testa di un conduttore, prospetta la soppressione di un programma, e in generale assesta un colpo formidabile al principio della libertà di espressione. In primo luogo: la Rai non è proprietà del governo, anche se il regime di occupazione manu militari delle reti e dei tg pubblici è già una realtà. Ha il Tesoro per azionista ma risponde alla commissione di vigilanza, cioè al Parlamento. Quindi il cosiddetto servizio pubblico è il frutto di un equilibrio molto delicato, su cui il governo sta intervenendo scorrettamente a piedi uniti, con l' intenzione evidente di mettere definitivamente la mordacchia all' informazione pubblica. È superfluo chiedersi il perché di questa azione: il programma di Santoro ha squarciato il velo, rendendo comprensibile a cinque milioni e mezzo di spettatori ciò che il muro mediatico alzato dalla destra aveva oscurato per mesi. E cioè lo scandalo della prostituzione di regime. Quello che Berlusconi chiama un insieme di «infamie, falsità e calunnie», e che nel lessico minimizzatore della maggioranza parlamentare viene definito «gossip». Il caso delle escort di casa nelle residenze del premier, procurate dall' imprenditore barese Tarantini, che i tg omologati hanno accuratamente nascosto durante l' estate all' opinione pubblica, mentre tutta la stampa estera ne parlava e ne parla. Soffocare le ultime voci non condizionate appare quindi la volontà esplicita del governo Berlusconi. Il governo fondato sul conflitto d' interessi, e circondato da un' impressionante potenza mediatica, mostra il suo volto autentico. Perché è vero ciò che ha detto il presidente del cda della Rai, Paolo Garimberti, e cioè che «il telecomando è libertà», nel senso che è la pluralità dell' offerta ad assicurare all' informazione un mercato libero; ma proprio per questo l' offensiva dell' esecutivo delinea con chiarezza una strategia tesa a spegnere ogni voce dissonante. L' obiettivoè di una semplicità disarmante, e consiste nel completare il programma di omologazione già realizzato con i tg (a proposito di adeguatezza del servizio pubblico, non converrebbe allora aprire un' istruttoria sul silenzio e le omissioni praticati scientificamente dal Tg1 e dal Tg2?). Poi toccherà alla normalizzazione di Raitre, e ai programmi come quello di Milena Gabanelli, o di altri eccentrici. Una pressione costante, esercitata con contratti non firmati, mancata copertura legale, in sostanza una vischiosità quotidiana, faticosa e scoraggiante, al cui termine c' è probabilmente la resa per stanchezza. In tutto questo ci sono almeno due fenomeni da considerare: l' assuefazione dell' opinione pubblica, ipnotizzata dall' informazione di regime; e in secondo luogo la soggezione minoritaria dei partiti d' opposizione, in particolare il Pd.È singolare infatti che, di fronte alla violenza dell' attacco della destra berlusconiana, non ci sia una risposta minimamente efficace, e che anzi le uniche iniziative vengano da alcuni organi di informazione (come la raccolta di firme di Repubblica per la libertà di stampa) e più generalmente dalla mobilitazione spontanea della società civile. Il silenzio e l' evasività del Pd sono il frutto di un ripiegamento sulle beghe interne, ma non solo: c' è anche un giu dizio scolasticamente errato sul regime berlusconiano («basta con l' antiberlusconismo!»), che perciò non riesce a produrre un' espressione realistica ed efficace nel dibattito politico. Mentre cadono le braccia per una democrazia sotto comando, viene naturale appellarsi all' opinione pubblica, per quanto narcotizzata. La manifestazione del3 ottobre per la libertà di espressione sarà una piccola cosa, rispetto alla potenza di fuoco del governo e del sistema berlusconiano. Ma mentre l' offensiva organizzata dal potere prova a estinguere gli ultimi fuochi di libertà, e di anticonformismo, anche una sola fiaccola servirà a qualcosa.
La Repubblica, 21/9/2009, R2
L’ ALTRO MIRACOLO DI SAN GENNARO
Si sono viste le foto di Antonio Bassolino che baciava la teca del sangue liquefatto di San Gennaro. C' erano state in precedenza discussioni sull' opportunità del bacio al santo, nel timore di una diffusione virtualmente spaventosa dell' influenza suina. Si tratterebbe di un contagio e di una beffa, come se i santi si mettessero a fare miracoli a rovescio, diventando untori. Ma questa volta scienza e fede hanno raggiunto un compromesso. Si è stabilito che il contagio non può avvenire. Sotto i buoni auspici del cardinale Crescenzio Sepe, Bassolino ha accostato le auguste labbra alla teca, baciando la reliquia della "faccia gialluta". Naturalmente è presto per sapere se questo atto di devozione di massa è davvero innocuo, o se invece possa procurare l' influenza di tipo A. Io confesso che nel dubbio mi sarei astenuto dal bacio santo, ma si sa che un leader politico ha obblighi che i privati cittadini non hanno. Tutti i nostri auguri a don Antonio. Ma se per caso San Gennaro dovesse contribuire a diffondere la sciagurata influenza, si potrebbe invitare la classe politica campana a baciare la teca. Si sa mai che in questo modo non si proceda a un ricambio. E quindi: baciate, baciate, baciate. © RIPRODUZIONE RISERVATA
La Repubblica, 21/9/2009, LETTERE, COMMENTI & IDEE
I nemici del governo descamisado
L' EXPLOIT cortinese di Renato Brunetta non è una stravaganza, e nemmeno una semplice provocazione. È il segnale di un fenomeno politico naturale per una destra senza codici, "l' insurrezione del potere", che è lo strumento e il destino dei movimenti che si appellano al popolo, mobilitandolo contro altri poteri, indicati come eversivi rispetto alla volontà popolare. Certo, fa impressione un ministro descamisado che demonizza le élite e le opposizioni, le sinistre, «i miei compagni», con un' acredine particolare per quei settori di establishment che a suo dire manovrano nell' ombra per sostituire il governo, e comunque per alterare dall' alto i risultati ottenuti dal basso attraverso le elezioni. Si potrebbe liquidare quella di Brunetta come un' imitazione "postpolitica" del giustizialismo latinoamericano, impersonato storicamente dalla figura di Perón. Addensamenti "nuovi" e spregiudicati di potere politico chiamano a raccolta il popolo contro altri poteri, in particolare quelli tradizionali: la chiesa, le banche, le rappresentanze imprenditoriali, le università, i partiti, i ceti "conservatori". Tutto molto semplice da capire e già visto se non ci fossero alcuni elementi da tenere in considerazione. In primo luogo, l' attacco contro le élite viene condotto da una forza politica che ha per capo l' uomo più ricco e più potente d' Italia, il monopolista per eccellenza, il magnate che ha munto le concessioni pubbliche per appropriarsi di una parte del sistema televisivoe che ha usato la politica per controllare l' altra metà. Subito dopo va segnalato che le suddette élite appaiono del tutto prone rispetto al potere in carica. Non si è mai visto un consenso silenzioso come quello che si manifesta oggi verso il governo Berlusconi. Nel biennio di Prodi, 20062008, ai vantaggi messi in cassa con il taglio del cuneo fiscale la Confindustria rispondeva a ceffoni; con l' attuale assetto di potere è tutto un minuetto nonostante una politica economica, durante la recessione, che si dovrebbe giudicare evasiva, se non deludente. Tutti i centri di interesse e di cultura sono prudentissimi rispetto a un potere, quello di Berlusconi, che interviene con una pesantezza mai vista sul sistema dell' informazione e sulle sue articolazioni economiche, compresa la destinazione di risorse alla pubblicità. Anche la gerarchia ecclesiastica e vaticana si esprime con una infinita prudenza verso i comportamenti pubblici e privati del premier, nonostante l' insofferenza che si manifesta nella base cattolica verso la prostituzione di regime e la violenza brutale dell' attacco all' indirizzo di Avvenire e del suo (ex) direttore Dino Boffo. Il fatto è che l' "insurrezione del potere" non è una trovata di questo o quel ministro. Ciò che Brunetta porta all' estremo, Tremonti lo teorizza e Berlusconi lo pratica. Tutto questo non fa una cultura ma prospetta un atteggiamento verso la società. Una destra anomala rispetto alla tradizione europea si rivolge agli istinti presenti nella comunità e cerca di coinvolgerli contro i "nemici", cioè chiunque non accetti di sostenere la politica del capo carismatico. Fu Giuliano Amato, anni fa, a sostenere che la destra non ha «una cultura di mercato» bensì solo «istinti di mercato». Più lontano nel tempo, per spiegare il consenso di cui godeva il regime fascista, individuò la categoria della «plebe borghese», cioè quegli strati sociali anarcoidi, insofferenti di qualsiasi governo e mobilitabili da qualsiasi potere, disposti a farsi massa di manovra quando in politica si affacciano un individuo e un movimento che si proclamano "contro". Contro tutti, contro i ceti tradizionali, contro le culture tradizionali, contro i codici comunemente accettati. Sotto questo aspetto è di prim' ordine la capacità del Pdl di evocarei nemici, veri ma soprattutto immaginari. I comunisti di Berlusconi, gli economisti di Tremonti, la sinistra deviata di Brunetta, i clandestini di Umberto Bossi: l' elenco potrebbe proseguire all' infinito, con tutta la scia di rancori che si sono raggrumati a destra. Ma sono sufficienti i "nemici" appena indicati per capire la concezione di fondo che regge anche l' informazione della destra e il suo metodo, con le campagne ad personam, e l' idea che si attaccano non tanto le idee, non sempre le culture, ma soprattutto gli uomini, gli avversari designati: i portatori, come dice Brunetta, di rendite economiche, politiche, «editoriali» (e chi vuol capire capisca, soprattutto dalle parti del gruppo Espresso). Il problema è che in questo modo si afferma la visione di una democrazia stressata e depauperata, in cui ciò che conta è soltanto il consenso ottenuto per via elettorale. Secondo i classici della politologia, questo è il populismo nella sua essenza. Al cui fondo c' è una politica che deve sempre procedere per strappi, per scarti rispetto alle attese e alla norma, in modo da sollecitare strumentalmente il conflitto contro poteri amorfi ed élite inerti, e in modo da chiedere un' ondata di consenso popolare per politiche ogni volta ecc e z i o n a l i , s t r a o r d i n a r i e , emergenziali. Serve a poco deprecare il degrado della democrazia. Converrebbe uno sforzo anche cognitivo da parte delle opposizioni, a cominciare dal Pd. Il "modello Brunetta" propone una democrazia conflittuale, per giungere a una situazione plebiscitaria. I buoni, cioè chi coopera, contro i cattivi, che si rifiutano di collaborare. Questa visione manichea può essere il futuro dell' Italia. Ma non è una condizione europea. Con un principio di sudamericanizzazione, contiene l' idea di un giudizio di Dio quotidiano, il verdetto di condanna che ogni giorno sanziona i nemici. È il peronismo di casa nostra, con sessant' anni di ritardo sull' originale. E verrebbe naturale intonare il canto di Evita: «Don' t cry for me». Oppure, meglio: piangi per noi, Italia. © RIPRODUZIONE RISERVATA
La Repubblica, 14/09/2009, R2
IL BONUS DI MONSIGNORE
Papa Ratzinger si è rivolto alla comunità ecclesiale segnalando che nella chiesa ci sono diverse persone in posizioni di responsabilità «che lavorano per se stesse e non per il bene comune». In sostanza, vescovie alti prelati sembrerebbero avere una visione manageriale della loro missione (o "mission", come si diceva prima della crisi economica) e più che all' evangelizzazione si dedicherebbero alla ricerca del successo personale. Anche questo è un segno dei tempi: una volta i vescovi erano figure ispirate dalla carità, estranee alle logiche di potere. Soltanto personalità sulfuree, cioè in odore di zolfo, si occupavano di carriere e di trame politiche, nei sacri e segreti corridoi. Se adesso prevale l' idea che i pastori non devono curare il gregge, bensì la loro posizione nella gerarchia, come se il risultato della loro azione pastorale fossero i bonus ad personam, alla stregua dei banchieri, non ci sono speranze. Già si sono sentiti autorevoli prelati, come l' arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, usare ripetutamente la parola "governance". Se si va avanti così, si rassegni Benedetto XVI, vedremo principi della chiesa che alla richiesta di una benedizione risponderanno: «Si rivolga al mio procuratore».
La Repubblica, 12/09/2009, R2 LA STORIA
Miss Italia Settant’ anni tra scandali e candore così è cambiato il sogno delle bellezze
Pubblichiamo parte dell' introduzione di Edmondo Berselli a "Miss Italia 1939-2009: storia, protagoniste, vincitrici", Mondadori, pagg. 304, euro 35, che sarà presentato oggi a Salsomaggiore Prima della televisione viene la mamma. E la famiglia. Madri, padri, genitori, nonne. E si capisce: già nel 1952 lo slogan della manifestazione risuona "Mangano - Bosè - Pampanini - Lollobrigida - Rosi - Bonfatti: erano delle sconosciute prima che il concorso le rendesse famose... potreste diventare anche voi... Miss Italia". Si percepisce davvero il crearsi di un successo e di una partecipazione di massa. Lontanissimi i tempi in cui Lucia Bosè, iscritta a sua insaputa dagli amici, si presenta infine con la guancia segnata da un ceffone della madre, che pure decide di accompagnarla alla rassegna di bellezza. Ci vorranno pochi anni prima che le mamme diventino le manager, e le "press agent", come si diceva allora, delle figlie (...). Nel 1959 si scopre che una concorrente, Lidia Frera, è sposata da quattro anni e ha una bambina. E lo si individua con una precisione alla Sherlock Holmes perché sull' anulare ha una piccola striscia bianca che risalta nell' abbronzatura. Espulsa immediatamente. L' anno dopo le mamme imperversano. Una ritira la figlia dal concorso, perché deve sfilare in un abito da sera che non possiedono e non possono permettersi, e l' orgoglio famigliare viene prima di tutto. La madre di Nuccia Carmagnola, invece, è tentata di ritirare la figlia, perché non vuole che sfili in costumee nemmeno che il padre venga a scoprire che non sono andate a Salsomaggiore a passare le acque, bensì a partecipare a "quel" concorso. La giuria inventerà per la figlia la fascia di "Miss Candore"(...). Qualche volta i genitori sono fasulli: nel 1961 Franca Cattaneo si presenta a Salsomaggiore con due genitori di comodo, in realtà l' insegnante di ginnastica e sua moglie. Quando la vera madre vede la foto della figlia con i due genitori nuovi di zecca, minaccia di azioni legali i falsi parenti e l' organizzazione poiché, a distanza di due giorni, non era ancora tornataa casa (...). Nel 1962 si presenta Gianna Vettori, 23 anni, sposata con tre figli. Non potrà aspirare al titolo principale ma la più grande dei suoi bambini, Bianca Maria, verrà eletta Baby Rimini (...). Anno di grazia 1968: la neoeletta, la calabrese Chiappalone, sparisce per un intero pomeriggio. Si pensa sia stata rapita dal fidanzato geloso, è stato invece un cugino, focosissimo ammiratore. La Chiappalone, tra l' altro, passa alla storia, o perlomeno alle cronache, per aver detto di no a Fellini e Visconti, preferendo la famiglia e lo studio al cinema. Passa qualche anno e dopo l' ennesimo caso di topless di una miss, e le numerose richieste di molte mamme, incollerite come Erinni, di toglierle la fascia, Mino Guerrini sull' Unione Sarda trova le definizioni più azzeccate per le madri in guerra: "Mater Dolorosa, Mater Ferox, Mater Bona, Mater Sospirosa, Mater Vociferans...". Successivamente tentano di candidarsi madre e figlia (la mamma si ritira). Alla fine le convenzioni cedono e le regole si adattano alla realtà: a metà degli anni Novanta arriva il via libera alle miss sposate e con figli, e la manifestazione qualche volta diventa una nursery. Bellezza dimessae cultura di massa. Ma allora, bella o intelligente? Vistosa o dimessa? "La fanciulla che si vorrebbe dare in moglie al proprio figlio o un tipo che si vorrebbe per amante?"(...). A mano a mano che il maggiore beauty contest italiano, come lo definì Natalia Aspesi, diventava effettivamente un riflesso dell' evoluzione culturale del paese, la semplice bellezza dei vent' anni, ossia la "bellezza dell' asino", non bastava più. Anche in un concorso come Miss Italia si sentiva l' esigenza di valorizzare la personalità,a suo modo la cultura (...). L' eterno dilemma fra bellezza e intelligenza, fra estetica e cultura, riemergeva periodicamente, senza tuttavia mai essere risolto. Ecco allora a metà degli anni Ottanta i sondaggi sulle preferenze letterarie: Fallaci, Morante, Calvino, Freud, Shakespeare, Cartesio, Pirandello, Flaubert, Dostoevskij, Pavese e Dickens vengono indicati come autori preferiti delle miss. Le quali a proposito del rock e del pop sono incerte fra i Duran Duran e gli Spandau Ballet, con una leggera preferenza per questi ultimi, forse perché hanno un nome più esotico (...). Per alcuni osservatori l' anno dello stacco è il 2008. Finalmente la cultura, l' università, la laurea. In realtà la vincitrice, Miriam Leone, è soltanto laureanda. E come si può immaginare il dilemma fra bellezza e intelligenza non si scioglierà mai.
La Repubblica, 11/09/2009
LE MENZOGNE DEL FUNAMBOLO
NON è stata una conferenza stampa. È stato uno choc. Alla Maddalena, dopo l' incontro con il premier spagnolo Zapatero, Silvio Berlusconi ha realizzato uno dei suoi exploit più sfrontati, anzi, la sua prova suprema di improntitudine pubblica. Ma anche una dimostrazione di completo autismo, in cui ha alternato sorrisi e minacce, menzogne e autoesaltazione, in un crescendo al termine del quale, automaticamente, si era indotti a porsi due domande. La prima: dov' è in questo momento Silvio Berlusconi, dov' è la sua psicologia politica, il suo codice di comportamento? E la seconda: dov' è adesso l' Italia, e almeno dov' è quella parte di paese ancora in grado di non farsi fagocitare dal cerchio stregato del consenso coatto, da quel «68,4 per cento di ammirazione» che il capo del governo si attribuisce? È stato sufficiente l' intervento di un giornalista del País per spezzare l' incantesimo di un paese ipnotizzato dalle tv e dai media di regime. Prima, si erano sentite amenità da Tg1 minzoliniano, tipo «Presidente, quali sono le nuove regole per non ricadere nel vecchio sistema?». Il professionista del País, Miguel Mora, ha posto a Berlusconi sostanzialmente un doppioe in apparenza elementare quesito: non crede il premier italiano che il giro di prostituzione e di veline alle sue feste abbia danneggiato l' immagine internazionale dell' Italia? E sulla scia delle polemiche sorte da questo scandalo, non ha mai pensato di dimettersi? Siamo disabituati alla semplicità essenziale di domande di questo genere. E probabilmente non siamo ancora abituati neppure all' atteggiamento spudorato con cui Berlusconi attua la sua strategia rispetto al caos che ha suscitato e in cui è precipitato. Ragion per cui non riesce facile descrivere dove sia in questo momento il Cavaliere. È nello stesso tempo fuori e dentro. Fuori da tutto, fuori della politica, anche intesa nel senso più populista e anti-istituzionale, fuori dagli stili di azione e comunicazione dei leader europei, fuori dalla dignità istituzionale dell' uomo di governo, fuori da ogni circuito di moralità civile; ed è dentro, dentro se stesso, calato integralmente in una sindrome di cui è la causa e la vittima, il gestore e il prigioniero. Fuori, dentro, dentro, fuori. Nel giro di pochi minuti, Berlusconi ha praticato volteggi che si potrebbero definire funambolici se non fossero le acrobazie di un presunto uomo di Stato che parla di se stesso, all' Europa, negando di «avere mai pagato un euro per ottenere prestazioni sessuali». Le notizie, anzi la «disinformazione» sulla prostituzione di regime sono «calunnie», dovute all' «attacco di una persona che ha voluto artatamente creare uno scandalo»e che nelle profezie di Berlusconi rischia diciotto anni «di detenzione»; le cene nelle sue residenze sono pura articolazione quotidiana della politica, un naturale sistema di relazioni con i circoli del Pdl «intitolati "Meno male che Silvio c' è"»; gli harem di escort sono le corti di amiche di «un imprenditore di Bari, Tarantini, o Tarantino» (quest' ultima, praticamente una gag alla Emilio Fede). Non si finirebbe mai di citare, fino a rischiare la saturazione se non fosse che queste espressioni sono state pronunciate nel clima di un appuntamento europeo; e nel contesto di una minacciosità verso la stampa non allineata che questa volta si è indirizzata anche verso una realtà editoriale prestigiosa in Spagna e all' estero come il País, ventilando sarcasticamente la sua probabile rovina economica come conseguenza di una «caduta di credibilità, copie, lettori e pubblicità: in questo caso si va al fallimento e credo che il País ne sappia qualcosa». Silvio c' è, quindi, ma è fuori da ogni convenzione, norma, consuetudine. E contemporaneamente è asserragliato dentro il castello di bugie che ha usato come catastrofico sistema di giustificazioni a partire dalla festa per il diciottesimo compleanno di Noemi Letizia, e chiuso nell' atteggiamento di autoelogio, compulsivamente esercitato oltre il grottesco, che usa come schermo a propria difesa. Non c' è altro modo per definire il giudizio che si è attribuito come uomo di governo, dopo avere ricordato di avere appena battuto «i 2497 giorni di governo di De Gasperi», e quindi di essere un «recordman»: autoironie apparenti (con storielle in dialetto meneghino sulla zia che specchiandosi vantava da sola la propria bellezza), per poi tuttavia ribadire la convinzione di essere «di gran lunga» il migliore capo del governo che l' Italia unita abbia avuto in 150 anni di storia. Scoraggiante? Non certo per un' opinione pubblica condotta passo passo, per condizionamento televisivo, a una specie di truce «consenso organizzato» di stampo brezneviano. Ma per trovare una risposta alla seconda domanda, su dove sia l' Italia non ottenebrata da un processo di omologazione totale e silenziosa, che ha coinvolto e travolto anche la quasi totalità del Pdl, occorreva cercarla nello sguardo di Zapatero. Nella sua espressione attonita, nello stupore muto di chi doveva assistere a uno spettacolo mai osservato, di chi sentiva l' interlocutore istituzionale impartire una lezione non richiesta sulla situazione politica in Spagna, «dove il governo è minoranza e deve trattare caso per caso»,e infine dibattersi nelle sue difese e nei suoi attacchi. L' Italia che si sottrae ai sondaggi sull' «ammirazione» per il recordman Berlusconi è in quello sbalordimento che il 68,4 per cento vantato dal premier non avverte più, essendo mitridatizzato da mesi, e prima da anni, di veleni che sembravano dolci e alla lunga sono diventati letali. Berlusconi ha parlato della disinformazione da lui attribuita alla carta stampata, nella «povera Italia» funestata dai giornali e dalle loro falsificazioni, come di «un brutto incubo». Per l' Italia che ancora sfugge al condizionamento pavloviano del consenso obbligatorio, la conferenza della Maddalena è la prova che a essere diventato un incubo è invece il «sogno»a cui molti cittadini hanno creduto e su cui il capo della destra ha costruito, dentro e fuori la politica, nell' antipoliticae oltre, le sue fortune.
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