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videocracy show

03/12/2009
ATTUALITA'
La pellicola evento di Venezia 2009

Presidente siamo con te, meno male che Silvio c’è… Il coro professionale delle veline canta gorgheggiando il nuovo inno del Pdl, quello che è venuto dopo «e Forza Italia, per essere liberi». E a quel punto ci si rende conto, senza scampo e senza sconti, che "Videocracy", il film documento di Erik Gandini, evento a Venezia 2009, è un autentico documentario dell’orrore. Ma è l’horror italiano contemporaneo, quello in cui siamo calati tutti. Aveva ragione Nanni Moretti nel "Caimano": sono vent’anni che Berlusconi si è impadronito dell’anima degli italiani. Ci siamo abituati all’orrore? Di sicuro non sembra che abbiamo un’alternativa disponibile. "Videocracy" è la testimonianza secondo cui non pare esserci un antidoto al velinismo, a Fabrizio Corona, a Lele Mora: e di seguito alla propensione degli italiani a cercare il colpo che risolverebbe le loro vite. Un colpo televisivo, naturalmente. Perché l’Italia è la televisione. Gli italiani guadagnano mille euro al mese ma vogliono vivere come Flavio Briatore. Per questo si affollano a Porto Cervo per fotografare i vip o presunti tali: per vedere quelli che vanno in televisione e la fanno. Fuori il cellulare e via con le istantanee. Metti lo zoom. Quello dev’essere qualcuno; quella pure. Poi può esserci nel panorama pure la passeggiata trionfale di Berlusconi, accompagnato, come dice lui, da «due ali di folla». Il potere televisivo logora davvero solo chi non ce l’ha. E Berlusconi non solo ce l’ha, l’ha inventato, creato, rifinito, perfezionato. Cosicché alla fine il vecchio "Drive In", ossia il tetteculismo, è diventata pura quotidianità, anzi, pura normalità. Non sarebbe altrimenti se non si vedessero casalinghe sovrappeso e con le smagliature che tentano la carriera come "velone" mostrando il corpo nudo e deplorevole, con i 20 chili di troppo e le mammelle pendule. Se non ci fossero coatti lombardi, operai in fabbrica, che si esercitano pazzamente nel karate e nella dance, facendo decine di provini e sperando in una chiamata (santo cielo, non hanno nemmeno la faccia giusta, ma: «Che faccio, resto in fabbrica tutta la vita?»). Meno male che Silvio c’è. È davvero lui l’autore dell’Italia di oggi, come in un Rinascimento a rovescio? Il regista Gandini porta in luce un fondo di disperazione, proprio perché l’Italia di Corona e Lele Mora, della televisione imperante, dei soldi facili per pochi e difficili per molti, ma appetibili per tutti, sembra non avere aperture. Monade senza finestre, la tv ha replicato se stessa fino a diventare macrocosmo compatto. Come nel "Truman Show" è un universo chiuso, artificiale, intoccabile, non scalfibile. Nel suo genere, è la perfezione. Ma in questo modo, si chiederebbero la vecchia politica e la vecchia cultura, dove finisce la televisione, con i suoi riti mediocri, e dove comincerebbe la società? Siamo sinceri, "Videocracy", sottotitolo "Basta apparire", non ha esitazioni: ormai non c’è soluzione di continuità. Se non riesci a essere protagonista, come minimo vorrai, o dovrai, essere parte del pubblico. Ma non semplice spettatore: piuttosto meccanismo attivo del sistema, applaudendo la velina di turno su ordine del direttore di studio e mostrando entusiasmo per lo show, e per esserci. Oppure anche assistendo ai programmi tutto colore del mattino e del pomeriggio, dove l’effimero tracima, e i "dibattiti" toccano vette di imbecillità assoluta. In sostanza sembra che nessuno possa dirsi innocente, nel mondo di "Videocracy". Forse nemmeno noi che proviamo a rifiutare l’horror, gli yacht, le discoteche della Costa Smeralda, le donne scosciate, il clima di festa assurda, le ville clamorose, le piscine, il bianco sul bianco di Lele Mora nel divanone e sul lettone. Non siamo innocenti perché non abbiamo saputo elaborare una risposta, cioè una cultura altra. E quindi ci tocca assistere allo spettacolo di un potere scandaloso e avvolgente, di un kitsch che non è neppure kitsch, bensì il trash che fa la sua metamorfosi finale nel rubbish, immondizia pura, quintessenza di pattume. E quindi c’è poco da fare e molto da aspettare. La provocazione di "Videocracy" non ammette elusioni. O stai con Corona o stai altrove. Altrove vuol dire una riserva di significati e di aspettative tutte differenti rispetto al potere della televisione: una nicchia di senso in cui contano ancora la politica e la cultura, e il fatto che esistono ancora legami sociali non determinati soltanto dalla potenza dell’immagine. C’è un’altra parte dell’Italia che non si diverte a essere inglobata nella televisione. Chissà se questo può significare un’ancora di salvezza. n

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