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UNA STAGIONE FINITA

30.09.1998

Malgrado tutto, Francesco Saverio Borrelli non è mai stato un simbolo. Troppo intellettuale, borghese, sosfisticato: il simbolo autentico di Mani pulite era il «plebeo» Di Pietro. Borrelli non ha mai lanciato proclami sulla diffusione di Mani pulite nel mondo: si direbbe piuttosto che abbia trattato le indagini su Tangentopoli come un esercizio di razionalità organizzativa. A suo tempo non ha mancato di spedire avvertimenti al mondo della politica, invitando chi aveva «scheletri nell’armadio» a farsi da parte. Ma sarebbe sommario attribuirgli un’etichetta giustizialista. Dal giorno dell’arresto di Mario Chiesa, il 17 febbraio 1992, a oggi, il freddo, razionale, illuminista Borrelli ha attraversato un’altalena sconvolgente: era il capo di una struttura investigativa divenuta popolarissima perché i suoi uomini avevano messo allo scoperto Tangentopoli; poi, in seguito a una guerra via via più rovente con Berlusconi e il Polo, è divenuto la «toga rossa», l’esempio più scandaloso dell’uso politico della giustizia. In questi anni in realtà Borrelli ha convissuto non solo con l’aspro conflitto politico innescato dalle inchieste giudiziarie e dai processi, ma anche con un impulso, un orientamento, una tentazione coessenziale con Mani pulite, che ha serpeggiato per tutti questi sei anni e che non è mai giunta a compimento: la tentazione (sommata alla percezione della necessità) di dare una sistemazione a ciò che l’inchiesta di Milano aveva aperto. È una vicenda che comincia assai presto, se è vero che è proprio uno dei pm di punta del pool, Gherardo Colombo, a ipotizzare una soluzione politica per Tangentopoli, solo pochi mesi dopo l’arresto di Mario Chiesa, nella consapevolezza che la magistratura non potesse assumersi i doveri dlela politica. Sotto il governo Amato, nel marzo 1993, un tentativo organico di arrangiamento viene praticato con la fallita operazione del decreto Conso, affossato come tentato colpo di spugna. Nel luglio 1994 è la volta del decreto Biondi sulla custodia cautelare, quello che provoca la rivolta televisiva del pool e lo scatenamento del «popolo dei fax». All’inizio del settembre successivo, ecco «l’articolato di Cernobbio», una specie di disegno di legge preparato da Di Pietro con il pool e alcuni avvocati milanesi per una «soluzione legislativa» di Tangentopoli. Infine c’è da sottolineare l’episodio più controverso dell’era Mani pulite, cioè l’addio di Di Pietro alla magistratura, quella toga abbandonata il 6 dicembre 1994 che ieri Borrelli ha ricordato come la delusione più grave della sua esperienza di magistrato. Il fatto è che la questione giudiziaria è fortemente condizionata da una transizione politica irrisolta. Se un sistema elettorale più lineare avesse condotto a un rinnovamento radicale di partiti e schieramenti, e se la riforma delle istituzioni avesse avuto successo, il ridisegno dei confini fra politica e magistratura sarebbe avvenuto fisiologicamente, come effetto della nuova architettura. Dal momento invece che la giustizia è restata una fonte di conflitto fra i due schieramenti principali (e anche all’interno del centrosinistra), si è assistito allo scambio mancato dentro la Commissione bicamerale, e quindi al suo fallimento. Quindi la decisione di Borrelli di abbandonare il pool è forse figlia di una rassegnazione giustificata dal succedersi degli eventi. La parte «storica» di Mani pulite è agli atti. Ora rimarrebbe da trovare quell’equilibrio che è saltato in modo drammatico e che non si è ancora riusciti a ripristinare. I grandi progetti istituzionali si sono rivelati fallimentari; l’azione giudiziaria ha perduto l’alone di consenso generale che aveva all’inizio. È probabile quindi che Borrelli abbia pensato che il miglior modo per rientrare nella normalità consista nel ridare peso ai meccanismi dell’ordine giudiziario, alle funzioni di carriera. Visto che la rivoluzione è rimasta incompiuta, tanto vale tornare alla burocrazia: nella certezza che l’unica riforma davvero praticabile è quella di laicizzare le inchieste, reinserirle in funzionamenti spersonalizzati, rinunciando defininitivamente agli eroi, da una parte, e ai geni del male, dall’altra.

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