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politica dell’odio

22/12/2009

Si chiede Berlusconi dal San Raffaele: «Perché mi odiano?». E qui ci vuole un po’ di storia, altrimenti la vicenda dell’odio in politica si perde fra opposte polemiche. In realtà sono 15 anni, esattamente dall’ingresso in politica di Silvio Berlusconi, che l’Italia è stata divisa in due parti separate da una ostilità addirittura antropologica. E non per caso. Berlusconi nel 1994 ruppe ogni convenzione della prima Repubblica. Leghista al Nord con Umberto Bossi e post-fascista nel Centro-sud con Gianfranco Fini. Ma l’invenzione più spettacolare fu la demonizzazione totale dei «comunisti»: un termine con cui Berlusconi intendeva tutti i suoi avversari, in politica e nella società. Per un quindicennio l’Italia si è trovata così divisa in due blocchi nemici. Prima il ceto politico era colluso, nelle tangenti; dopo divenne separato da una malevolenza implacabile, alimentata a destra dalla rivincita contro Mani pulite. Da un lato ecco il Polo, la Casa, il Popolo della libertà, le imprese, il lavoro autonomo, le partite Iva; dall’altro l’area "comunista", composta dai fannulloni, dal pubblico impiego, i magistrati, i sindacalisti, gli insegnanti, il lavoro dipendente, in una parola gli antiberlusconiani innati. Per anni, grazie al controllo dei media, il Cavaliere ha inoculato veleni nei loro confronti, fissando la leggenda di una macchinazione permanente ai suoi danni, gestita dalle «toghe rosse», oltre che naturalmente dalle «sinistre» nemiche della libertà e incapaci di un esito «socialdemocratico» (accusa che ha ripetuto ancora nel «pacato», e in realtà tiratissimo, comizio di Piazza del Duomo, prima dell’aggressione di cui è stato vittima). Curioso: in quindici anni, Berlusconi non ha mai fatto il nome di un pm persecutorio. Ha tentato di approvare il decreto "salvaladri". Al momento buono si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ha fatto procedere 18 leggi ad personam. Ha sempre rivolto accuse generiche verso «certa magistratura», e soprattutto si è dedicato a una reinvenzione sistematica della storia: come la caduta del suo primo governo, attribuita all’avviso di garanzia durante un vertice internazionale (in realtà fu il «traditore» Umberto Bossi, il «ladro di voti», a ritirare la fiducia e a uscire dalla maggioranza dopo uno scontro sulla Finanziaria). Qualcuno ha dimenticato il «questa volta non faremo prigionieri» di Cesare Previti? Il «kapò» all’indirizzo di Martin Schulz nel gelo del Parlamento europeo? E la violenza quasi eversiva con cui Berlusconi respinse la sconfitta elettorale del 2006, attribuendo i 24 mila voti di vantaggio dell’Unione ai «brogli» nei seggi? Mentre ora ci dimenticheremo l’inimicizia contro chiunque sia in odore di sinistra, dalla Corte costituzionale agli «ultimi tre presidenti della Repubblica»? Quindi prima di parlare di odio e di chi l’ha scatenato ci vuole discernimento. Metà della società italiana, anche e soprattutto quella che non crede al Berlusconi mafioso e stragista, e tuttavia consegnata al disprezzo da riservare ai «comunisti», aspetta ancora che la strenua cortina di ostilità sollevata nei suoi confronti venga revocata.

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