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Perché Pinocchio batte il Grande Fratello

04/11/2009
Il caso - Due milioni di spettatori in più, ci rifugiamo nei vecchi miti per salvarci dalla realtà

IL GRANDE Fratello arranca mentre la fiction in due puntate su Pinocchio si staglia nel cielo degli ascolti televisivi. Sorpresona mediatica da restarci secchi. Ieri sera, sette milionie mezzo di spettatori per la nuova trasposizione televisiva del romanzo di Collodi; due milioni in meno per la decima edizione del Grande Fratello. Con questo, forse si potrebbero archiviare diverse decine di volumi di teoria e tecnica della tv, con gran dolore di molti critici più o meno antennati. E poi, a mente finalmente sgombra, chiedersi dov’ è il mistero. Mistero misterioso, anche perché il nuovo Pinocchio ha avuto il privilegio raro di venire malmenato indiscriminatamente da tutta la critica, per l’ appunto: il Grillo parlante Luciana Littizzetto «molto meglio con Fabio Fazio», il pinocchietto Robby Kay giudicato all’ unanimità la personificazione dell’ antipatia puerile, Margherita Buye Violante Placido fuori ruolo, la regia di Alberto Sironi una schizofrenia. E allora? I tecnici del marketing televisivo proveranno a opporre disperatamente le cifre disaggregate dello share, mostrando il successo del reality condotto da Alessia Marcuzzi fra il pubblico giovanile; ma alla fine della fiera, della fiction e del reality i risultati li fanno i valori medi, e in media Pinocchio batte il Grande Fratello. Quindi il mistero permane e si aggrava. Non siamo più ai tempi eroici della prima televisione a colori e al kolossal di Luigi Comencini, quello con i divi nazionalpopolari e, chissà, gramsciani come Nino Manfredi, Gina Lollobrigida e Franchi e Ingrassia. E neppure siamo dentro le atmosfere del cinema postfelliniano dell’ ambizioso Pinocchio di Roberto Benigni. Ci troviamo dentro un format di televisione pura, artificiale, astratta, digitale, che si rivolge a un pubblico sensibile più che altro al colore, catodico o al plasma che sia. In ogni caso, a un pubblico reso passivo dalla narcosi generalista, in cui tutti i Pinocchi sono grigi e legnosi, e anche la palpebra calante degli ascoltatori pre-dormienti fa la sua parte di audience. Ma non bisogna neppure cadere nel razzismo fastidioso del mercato. Se l’ antico Collodi sbanca i giovani reclusi della Casa con il piccolo prato verde, devono esistere anche ragioni più profonde di quelle commerciali. Tanto per dire, se si assume che Pinocchioè il mitoe il Grande Fratello è la realtà, almeno nella forma particolare del reality, la vittoria sghemba del burattino di legno equivale al successo dell’ immaginazione ottocentesca sulla verità sociologica odierna. Se si vuole, l’ affermazione dell’ Italia comunitaria di oltre un secolo fa sul paese frammentario dei nostri giorni avventurati. La fuga dal reality, dunque, rappresenta una fuga dal chiacchiericcio quotidiano, dal gossip domestico, dalla società tatuata, dai ragazzi che stanno cambiando sesso, dal consumo sociale della cocaina, dalla sessualità esibita fino a proporre come generale e comune un’ estetica da viados. Ci sarà di mezzo anche un impulso difensivo, del genere: santo cielo, non se ne può più. Non ne possiamo più di calciatori e veline, di aspiranti letteronze con plateali ghiandole mammarie e di palestrati dai muscoli spettacolari, e dei loro cloni di quartiere. Ma l’ atteggiamento in difesa comporta sempre anche un po’ di vergogna. Si fugge dalla realtà perché si teme che il Grande Fratello sia davvero, come si dice con un’ espressione abusata, lo specchio dell’ Italia contemporanea. E in fondo, rivedendo nel teleschermo come il paese è diventato, è legittimo avvertire un sottile senso di ribrezzo. Senza esagerare, si può ammettere che «questa Italia non ci piace». O perlomeno che il Grande Fratello, come format, può fare schifo. E allora, di fronte a questo sentimento così profondo, scegliere Pinocchio, anche se come film fa pietà.

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