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Moplen, i nostri anni di plastica

5/12/2004
DOMENICALE
il racconto - Boom italiano - È il 1954: Andreotti critica il neorealismo, Visconti e Fellini firmano i loro capolavori. C'è Mike Buongiorno in tv, la Giulietta 1300 che sfreccia sulle autostrade. Un'invenzione dal nome difficile, polipropilene, diventa il simbolo di un Paese in movimento: sospeso tra la povertà del passato e la voglia di futuro

Con il Moplen, il nome commerciale del polipropilene di Giulio Natta, cominciano in tutti i sensi i nostri anni di plastica. Bentornati nel passato: ci troviamo nel pieno degli anni Cinquanta, decennio vituperato, dominato secondo la vulgata dal disprezzo democristiano di Mario Scelba per il "culturame". Ma sotto la cappa clericale deplorata dagli intellettuali di punta vicini al Pci e dai cineasti progressisti, e dopo che Giulio Andreotti aveva criticato il neorealismo di De Sica e Zavattini perché i panni sporchi si lavano in casa, bisogna anche provare a guardare sotto la superficie, osservando la società italiana con una buona lente. Anni di plastica vuol dire una nazione che ha imboccato la via verso la modernizzazione. Un po’ a casaccio, ma l’ ha imboccata. All’ inizio dei Cinquanta, la pubblicità della Fiat mostra una donna alla guida della Millecento. E il 1954, pur scontando tutto il grigiore provinciale dell’ Italietta del centrismo, è un anno seminale, in cui cominciano le trasmissioni televisive, nasce un programma come La domenica sportiva, viene realizzato il primo sceneggiato (Il dottor Antonio, con Virna Lisi, destinata più tardi a diventare un’ icona dell’ Italia di Carosello, «con quella bocca può dire ciò che vuole»). E di un regista vicino al Pci come Luchino Visconti esce uno dei capolavori, il decadentissimo Senso, mentre Federico Fellini si impone con La strada, Pier Paolo Pasolini pubblica La meglio gioventù, Moravia i Racconti romani, e Einaudi traduce i Minima moralia di Adorno. Insomma, c’ è una certa esuberanza mentale e psicologia, per essere un Paese che non aveva ancora compiuto il primo decennio dalla fine della guerra; e si rimane impressionati, soprattutto a pensare che il brevetto del polipropilene nasceva dalla collaborazione fra la ricerca e l’ industria, e avrebbe dato una spinta formidabile al cambiamento delle abitudini quotidiane, non soltanto alla produzione industriale, creando di fatto i nuovi oggetti della vita comune, le nuove "cose della casa". Per dire, non c’ è soltanto la nascita della Giulietta 1300, la minibomba dell’ Alfa che raggiunge i 160 all’ ora, c’ è anche la Breda che commercializza la prima cucina componibile. Ci sono i primi elettrodomestici bianchi. è il mondo dei consumi che entra nelle case, modifica i comportamenti e soprattutto altera le aspettative. è come se una pulsione sotterranea si facesse sentire dentro una società compressa, mettendola in tensione e preparandola alle straordinarie novità che si sarebbero manifestate poco più tardi: con la motorizzazione di massa, l’ Autostrada del Sole e naturalmente Mike Bongiorno. Già alla morte di Alcide De Gasperi, il 19 agosto di quell’ anno ‘ 54, l’ equilibrio politico che aveva portato il Paese fuori dal primo dopoguerra appariva esausto, sempre più visibilmente incapace di rispondere alle esigenze di una società che voleva risollevare la testa e respirare a pieni polmoni. Nei semestri successivi, le strade della penisola si sarebbero affollate dei primi esemplari delle utilitarie, dopo investimenti altissimi nella produzione (300 miliardi per le linee della Seicento). Perché anche la Fiat non era soltanto la grande azienda in grado di produrre il caccia tattico leggero G.91, adottato da diversi membri dalla Nato: era l’ industria totale, l’ industria emblema, a partire da Mirafiori, la «fabbrica delle fabbriche» nella definizione dello storico torinese Giuseppe Berta: dalle linee di montaggio della Fiat sarebbe uscita una fiumana di "piccole", le auto della ripresa economica, le Seicento e le Cinquecento, anch’ esse color plastica, con tinte squillanti e artificiali sulle strade spesso non ancora asfaltate del finale dei Cinquanta. Plastica fuori e plastificate dentro, nei cruscotti, nelle poltroncine, nei tappetini, nei cagnolini che dondolavano la testa, nei primi gadget supplementari del narcisismo automobilistico italiano. Proprio per questo, per governare una società che scopriva il consumo, occorreva una politica capace di interpretare il cambiamento, la nuova mobilità, quel primo benessere che cominciava a diffondersi nelle città, nelle periferie, nelle campagne. Ci voleva l’ informazione, argutamente democristiana ma "pettegola" rispetto agli standard coevi, del Giorno voluto da Enrico Mattei per l’ Eni, il persuasore non troppo occulto, con Valletta, dell’ apertura a sinistra. La stessa grande industria fordista, che aveva mutuato dall’ America la tempistica e i metodi della produzione di massa, così come il rock e i primi supermercati self-service, aveva compreso che il proprio futuro dipendeva dalla possibilità di integrare la classe operaia nei circuiti dell’ economia avanzata. D’ altronde, che il cambiamento fosse vertiginoso, lo si era capito: prima dello scoccare del 1960 il Financial Times aveva assegnato alla lira l’ Oscar delle monete; e venti mesi di crescita furibonda, con tassi di crescita intorno al sette per cento, avevano spinto il Daily Mail a scrivere che l’ efficienza e la prosperità del sistema produttivo italiano costituivano «un miracolo economico». Era scoppiato il boom, sull’ eco urlata di Volare e l’ entusiasmo per la scoperta del petrolio in Sicilia da parte dell’ Eni; era esploso il miracolo identificato dal Sorpasso di Dino Risi e dalla poetica dell’ alienazione, malattia dei ricchi, oltre che dall’ immigrazione, malattia dei poveri. Sulla scorta della grande sociologia americana, dei Parsons, dei Merton, dei Riesman, gli intellettuali raccolti da Adriano Olivetti nel cenacolo industrialista di "Comunità" tentavano di pensare a una qualità diversa della politica: suggestioni e illusioni del neocapitalismo inducevano a considerare la forza lavoro in modo non deterministico, non solo manodopera, bensì un soggetto socio-economico che doveva essere in grado di partecipare alla grande festa dei consumi evoluti, moderni. Quel soggetto doveva poter comprare la televisione ed essere in grado di apprezzare lo stile della pubblicità. Nei convegni degli Amici del "Mondo" e degli intellettuali di "Comunità" si parlava sempre più spesso del neocapitalismo come orizzonte simpatetico con un orizzonte schumpeteriano, impresa e socialdemocrazia, industria e welfare. Da questo punto di vista, il Moplen è un prodotto perfetto. Serve per fare tutto, stoviglie e giocattoli, componentistica per le automobili, bacinelle per l’ acquaio, in case che avevano magari appena ricevuto l’ acqua corrente. In un televisore dallo chassis di plastica, sarebbe apparso a Carosello lo sketch "Quando la moglie non c’ è", sceneggiato da Leo Chiosso, l’ originale scrittore-paroliere di Fred Buscaglione (insieme hanno scritto Che bambola, 980 mila copie vendute): Gino Bramieri rimane solo in casa, perché la moglie è un architetto impegnato nella sua professione. Eh sì, in attesa del centrosinistra si modificano anche ruoli tradizionalmente immutabili come il lavoro delle donne. Sicché al casalingo Bramieri non rimane che arrangiarsi, e risolvere i problemi domestici all’ insegna dello slogan «E mo’ e mo’ e mo’ … Moplen!» (in versioni successive, lo slogan diventa «Ma signora badi ben / che sia fatto di Moplen»). Un simile universo cognitivo, la galassia in espansione di informazione, pubblicità, spettacolo e intrattenimento collettivo, aveva bisogno di una politica adeguata. La contrapposizione fra il pianeta dc con i suoi satelliti, e le sinistre, i "socialcomunisti", non era più in grado di rappresentare i nuovi rapporti di classe. Le famiglie andavano in vacanza, la riviera si affollava, nasceva il weekend, sperimentato per la prima volta nel 1957 con la settimana lavorativa di 45 ore alla Olivetti. Stavano finendo gli anni d’ acciaio e di ghisa, modellati dalla contrapposizione rigida fra lavoro e capitale. Adesso tutto diventava più fluido, «trasparente e flessibile» come le pellicole di Natta. Nel regno della plastica, avremmo visto di lì a poco i primi giochi "globali", come l’ hula hoop e lo scubidù. Risuonavano ancora le canzoni, queste sì davvero di plastica, della Mina fenomenologica, amorale, oggettuale: «Tintarella di luna, tintarella color latte… », «Una zebra a pois, fotunato chi ce l’ ha… ». Nella politica italiana, sarebbe nato l’ esperimento del centrosinistra di Moro, Fanfani e Nenni, che con alcune variazioni avrebbe retto le sorti del Paese per quasi quattro decenni, anche se con un consenso declinante e una carica riformista esauritasi prima del Sessantotto. Ma per qualcuno dei ragazzi cresciuti nelle strade degli anni Cinquanta, il miracolo, lo sviluppo, il progresso avranno sempre la tinta artificiale delle Cinquecento e la trasparenza di una bacinella colorata, un Moplen capace di far diventare rosa shocking o ultraceleste il colore dell’ Italia.

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