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Modello Minoli

18/02/2010
TELEVISIONE

Ogni tanto compaiono sulla Rai, per "La Storia siamo noi", documenti imperdibili: è il caso di "Emilia Rossa", un documentario curato da Lorenzo Stanzani, completato da un’ampia intervista di Giovanni Minoli al segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Il documentario era interessante e gradevole, e toccava tutti i punti del "compromesso socialdemocratico", quel rapporto fra «ceti medi e Emilia rossa» descritto da Palmiro Togliatti ancora negli anni Quaranta, che avrebbe formato il modello emiliano, quel sistema di piccole e medie imprese, riunite nei distretti industriali emiliani e romagnoli. Ma da vedere assolutamente era l’intervista di Minoli a Bersani, perché in questo caso erano i segnali nascosti a parlare, il body language, la gestualità. Chi ha conosciuto Bersani sa che è un tipo estroverso, pronto alla battuta, disponibile alla chiacchierata e, se è il caso, alla convivialità. Tutto questo è scomparso nell’intervista, bellissima, di Minoli. È rimasto un protagonista rivolto verso se stesso, una specie di re shakespeariano, inatteso e per molti aspetti anche più interessante del personaggio pubblico che conosciamo. O che crediamo di conoscere. Perché il Bersani "minolizzato", che a ogni domanda distoglieva gli occhi e si rifugiava dentro se stesso, cercando le parole oppure perfino tacendo, appariva più vero dell’uomo politico. Succede raramente di interpretare la psicologia autentica di un protagonista della scena pubblica. Con Minoli e Bersani è sembrato di andare vicini alla verità: una verità implicita, quasi sottaciuta, fatta dagli indimenticabili occhi di Bersani che abbandonano il faccia a faccia e si rifugiano nella propria interiorità.

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