gli articoli La Repubblica/

MANGIAGATTI E NO

20/02/2010
R2 CULT
SABATO

In pieno Cinquecento, Teofilo Folengo, nel poema maccheronico Baldus, passa in rassegna i "tipi" italiani. I milanesi che lavorano come matti, i fiorentini che fanno burle, Napoli popolata da baroni falliti. Un catalogo di luoghi comuni efficace ancora oggi. Giunto nel Veneto, scrive che "saltantes generat bellax Vincentia gattos"; cioè che la bellicosa Vicenza alleva gatti prontissimi a scattare (per paura di essere cucinati dai vicentini "magnagàti"). Oggi l’ esperto di cucina Beppe Bigazzi espone in tv la ricetta per cucinare i felini, e c’ è da preoccuparsi visto che Bigazzi è stato amministratore delegato dell’ Agip, quindi di fornelli a gas se ne intende. Bigazzi tuttavia è il Morgan dell’ homo carnivorus, prima lancia il sasso e poi ritira la zampa. Dice che il gatto va lasciato per tre giorni nel torrente, in modo che le sue "carnine bianche" risultino perfettamente frollate, e poi racconta che ha avuto in casa un gatto di nome Ciro, morto serenamente di vecchiaia. Io comunque sto con il grande scrittore Jonathan Safran Foer, il quale sostiene che le attività legate all’ allevamento del bestiame generano più emissioni di gas serra di tutti i mezzi di trasporto presi insieme. Di fronte alla bistecca con il tubo di scappamento mi dico; non sono vegetariano, ma quasi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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