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MA NON E’ SOLO UN TATTICO

18.07.1996
ATTUALITA' ITALIA
IL POTERE IN ITALIA

Si sta comportando come se fosse l’ unico leader con le idee chiare per il futuro. Compie un raid nel Nord-est in cui appare più come il tutore della nazione che come il segretario di un partito. Coopta Giuliano Amato per fargli rappresentare una quota di socialismo riformista, scuote così tutta la politica italiana, sfronda l’ Ulivo, sferza lo "scoopismo" della stampa asservita al capitale. Lo si osserva come una delle meraviglie politiche contemporanee, ma intanto Massimo D’ Alema oggi suggerisce più domande che risposte. Innanzitutto: grande stratega o tattico esasperato? Per capire il segretario del Pds conviene abbandonare l’ idea che sia un uomo di governo. E` un uomo di partito. In questo senso, un perfetto togliattiano: solo che la doppiezza è divenuta oggi una funzione tripla o quadrupla. Patrono dell’ Ulivo, ma anche tessitore dell’ accordo Maccanico che l’ avrebbe disseccato; garante di Prodi e Ciampi a sinistra, ma sostenitore di Berlusconi per impedire la disintegrazione di Forza Italia; pivot della politica di risanamento finanziario e nello stesso tempo referente della Cgil. Tutte le strade conducono a D’ Alema, e da lui si dipartono. Ma in questo complicato incrocio non è chiaro se il segretario del Pds ha in mente un progetto e, se ce l’ ha, a chi è destinato. Perché il Paese "normale" da lui identificato come traguardo politico conteneva una valenza alternativa in quanto era speso contro l’ Italia dei miracoli evocata da Berlusconi. Dopo di che, conseguita una parvenza di normalità con la vittoria elettorale del 21 aprile, D’ Alema ha immediatamente segnalato che la normalità appena raggiunta non bastava. Che occorreva una normalità più normale. Inutile dire che questo nuovo gradino della normalità implicava soprattutto un ritorno del Pds al centro del gioco politico. Perché l’affermazione dell’ Ulivo rischiava di confinare il Pds in una posizione gregaria. Il centrosinistra era uno strumento elettorale, quindi qualcosa di inevitabilmente transitorio, intrinsecamente mutevole, ampiamente ristrutturabile. D’ Alema pensa che è la forza a fare l’ unione: se l’ alleanza fallisce, il Pds deve rimanere. Dunque quale interesse avrebbe avuto D’ Alema a investire sull’Ulivo? Su un embrione di soggetto politico dai contorni imprecisati? Su un accordo con settori del mondo cattolico comunque ricontrattabile? Ancor prima che a un "progetto" per il Paese e all’ architettura del segmento di sinistra del bipolarismo, D’ Alema si sentiva obbligato a pensare in termini di rafforzamento del Pds come blocco portante della sinistra: capace quindi di esercitare un’ egemonia, di minimizzare i pericoli della concorrenza di Rifondazione comunista, di tenere sotto controllo da una roccaforte sicura i settori centristi. Ed ecco allora l’ idea del Pds nuovamente socialdemocratizzato. Un partito pesante, organizzato, solido, strettamente legato al sindacato. Che accetta lo schema bipolare ma che mette in conto fin d’ ora la possibilità che gli schieramenti debbano rimescolarsi: e va da sé che ogni rimescolamento può essere meglio affrontato con un partito compatto, dall’ identità forte. Curioso: mentre quasi tutti hanno scommesso sul "post" (i postfascisti, i postdemocristiani, i postliberali), D’ Alema punta sulla storia, riprende il passo dal socialismo "europeo". Lo fa nella certezza di non sbagliare i calcoli a breve termine. Ciò che è più brigoso valutare è se la dura consistenza politica di questa operazione può offrire soluzioni adeguate, anche culturalmente, a una società che non è più quella, e non lo sarà mai più, in cui i socialisti tedeschi acchiapparono l’ appuntamento con la storia a Bad Godesberg. O se quello socialdemocratico è l’ unico volto credibile con cui può presentarsi al mondo, oggi, un postcomunista

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