gli articoli LA STAMPA/

MA E’ ALTO IL PREZZO DA PAGARE

14.10.1998

La prudenza del presidente della Repubblica è diventata di nuovo protagonista della fase politica. Occorreva trovare il modo di mettersi alle spalle il voto sulla fiducia che aveva costretto il governo alle dimissioni, di cicatrizzare le ferite nei partiti e nello schieramento di centrosinistra. Il Quirinale ha trovato la formula nel «pre-incarico» a Prodi. È un metodo che serve a stemperare le conflittualità e ad accertare se effettivamente esiste la base parlamentare necessaria per sostenere un nuovo governo. Ma è anche una scelta che rivela le difficoltà oggettive di trovare una soluzione convincente alla crisi. Per ora si può solo dire che Scalfaro ha preso una decisione pressoché obbligata: l’indicazione unanime dei partiti dell’Ulivo, senza candidature subordinate, insieme con il possibilismo di Cossiga, conduceva automaticamente a Prodi. Nello stesso tempo tuttavia c’è da osservare che la crisi è lungi dall’essere risolta e che i passaggi possono essere ancora numerosi e complessi. Cossiga e l’Udr infatti, in cambio di un via libera, devono dimostrare di avere sradicato l’Ulivo in quanto alleanza politica. Prodi, al contrario, per dare seguito alla sua rivendicazione di «coerenza personale e politica» è obbligato a minimizzare il ruolo dell’Udr, a sottrarsi alle condizioni che gli sono state proposte, a evitare un coinvolgimento politico consistente dei cossighiani nella prossima maggioranza. A prima vista si tratta di due posizioni che non sembrano incoraggiare le prospettive del Prodi-bis. Ma ammettiamo pure che fra qualche obbligata ambiguità si riesca formare un nuovo esecutivo: il suo compito si limiterà all’approvazione della finanziaria. Un compito sicuramente rilevante, e necessario per il Paese, ma chiuso in se stesso. Riesce difficile pensare che sia possibile intervenire su temi che richiedano intese più ampie, ad esempio sulla questione cruciale della legge elettorale (tanto più che ieri il Polo all’unisono ha giudicato un’operazione «da saltimbanchi» il nuovo mandato a Prodi, prospettando di conseguenza un’opposizione senza sconti). Ci troviamo quindi davanti a una soluzione di basso profilo, suggerita più che altro dall’incombere delle circostanze e dal convergere degli interessi sul punto di minore resistenza? È presto per dirlo con sicurezza, ed è presto anche per valutare quali implicazioni ha, sul piano politico generale, la soluzione basata «sulle forze politiche che hanno votato il Dpef». Di sicuro sappiamo solo che i giorni dopo la crisi sono stati percorsi da una sorda contrapposizione fra i partiti della coalizione di centrosinistra, a cominciare naturalmente dai Ds, e il partito virtuale dell’Ulivo. La ri-designazione del premier dimissionario è anche il frutto del timore che Prodi potesse radicalizzare le sue posizioni, agitare il simbolo dell’Ulivo in funzione anti-partitica, cercare mobilitazioni dal basso, approfondire le divisioni che esistono nel centrosinistra sulla natura e il formato dell’alleanza politica. Proprio per questo, mentre rimane intatto l’auspicio che un governo si faccia, e che riesca ad affrontare con linearità e puntualità il compito essenziale per cui verrà formato, viene spontaneo rilevare che le premesse da cui nasce sono largamente insoddisfacenti. Le condizioni elencate da Prodi per dare vita a un governo sono due: una coerenza politico-programmatica con l’esperienza precedente; una solida base di consenso parlamentare. Bene, le due condizioni sono in realtà una contraddizione piena. Soltanto con l’accettare la nuova designazione, Prodi ha negato di fatto tutto ciò che ha sostenuto negli ultimi giorni. Malgrado i toni sopra il rigo del suo intervento bolognese di domenica scorsa, il leader dell’Ulivo aveva visto trasformarsi lo schiaffo in Parlamento in un successo di stima per la coerenza e l’integrità del proprio comportamento. Il tentativo in cui è impegnato fin d’ora sarà invece intessuto di compromessi, di negoziati poco trasparenti, di accordi opachi. Comunque vada a finire, Prodi rischia di perdere una parte significativa della sua credibilità. La sua sconfitta alla Camera era stata brutale ma onorevole. Un suo eventuale successo, cioè la rinascita octroyéé come successore di se stesso, potrebbe consegnare agli italiani un uomo politico di lungo corso in più, e un programma, un progetto, un’idea in meno.

Facebook Twitter Google Email Email