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La partita di Bersani

26/11/2009

Con una certa sorpresa si è visto che il Partito democratico cresce nei sondaggi e si avvicina al 30 per cento. Miracolo? Le spiegazioni ufficiali appaiono incerte, e investono soprattutto la mobilitazione provocata dalle primarie. Ma l’effetto della scelta del segretario dovrebbe essere ormai in archivio, e quindi sarebbe meglio cercare altre indicazioni. Tanto più che in capo al Pd si preparano difficoltà fortissime, che sarà bene tenere presenti. In primo luogo la leadership del partito è ancora debole. Pier Luigi Bersani sta cercando un ruolo e una visione, ma deve ancora incardinarsi nella sua funzione. L’impegno a definire la scacchiera interna, cioè il sistema di rapporti e di poteri dentro il Pd, rende più difficile l’esercizio pubblico, e anche la polemica contro il governo e la maggioranza. Bersani al momento non è in grado di promuovere il dibattito frenetico che Dario Franceschini praticava contro Silvio Berlusconi, e forse non lo vuole nemmeno. Questo si vede nella discussione quotidiana, specialmente sul caso della giustizia e del processo breve, dove il comando della sacrosanta guerriglia è affidato di fatto al ruolo istituzionale di Anna Finocchiaro. Ma il problema principale del Pd, in questo momento, è ancora la sopravvivenza come alternativa credibile. La risalita nei sondaggi infatti può essere più razionalmente attribuita alla sensazione, da parte dell’opinione pubblica, della necessità di un’opposizione efficiente. Un partito che si avvicina a un terzo dell’elettorato comincia a essere un’opportunità politica. Certo, c’è da fare attenzione, perché si tratta probabilmente di un consenso volatile. In questo momento il Pd è una entità politica ancora molto fragile, e sottoposta a tensioni che per il momento riguardano segmenti di classe dirigente, ma in futuro potrebbero impattare la fisionomia stessa del partito, la sua composizione ideologica, il suo statuto pubblico. Bersani infatti è il portatore di una visione tradizionale del Pd. Il suo schema in fondo è ancora quello del compromesso socialdemocratico all’emiliana, derivante dai "ceti medi ed Emilia rossa" di togliattiana memoria, aggiornato secondo schemi che assomigliano ancora a quelli di Romano Prodi. Tessuto industriale, piccola e media impresa, cooperazione, collaborazione fra capitale e lavoro. La crisi economica, che si farà sentire pesantemente nei prossimi mesi nella manifattura, reca insidie velenose al modello. Ed è per questo che assume peso e importanza anche la piccola diaspora cominciata con l’esodo di Francesco Rutelli, e con abbandoni annunciati come quello del sindaco di Venezia, Massimo Cacciari. Perché ciò che viene messo in discussione da queste fuoruscite è proprio il progetto stesso del Pd. Roba da intellettuali e da politici di lungo corso come Rutelli, che potrebbero interessare pochissimo militanti e simpatizzanti del partito, e di sicuro quasi niente gli elettori che guardano al Pd semplicemente come un’ancora antiregime, quale che sia il suo disegno politico e culturale. Ma il veleno è sottile. Apre varchi nel sistema bipolare, e riporta il centrosinistra a un metodo di alleanze che potrebbe diventare complicatissimo. Ritorna il trattino, con l’illusione della coalizione con l’Udc, mentre qualcuno sogna l’invenzione di Kadima, il nuovo partito della nazione, un centro capace di condizionare spregiudicatamente l’intero arco politico, facendo di nuovo riscaldare i due forni di italica memoria. Il punto critico fondamentale, comunque, concerne le prossime elezioni regionali. Una sconfitta grave, con il mantenimento soltanto delle regioni rosse, non sarebbe facilmente assimilabile dal partito. Il segretario Bersani deve quindi concentrarsi su candidature e alleanze, tenendo presenti le difficoltà fondamentali, dalla Campania di Bassolino alla Puglia di Vendola. L’obiettivo, ancora una volta, è la resistenza. Se il Pd supera onorevolmente la prova delle elezioni regionali, le prospettive diventano progressivamente migliori. Per ottenere questo risultato, per il partito "bocciofila" occorre un pancia a terra senza sconti. A cominciare da un forcing sull’economia reale, per uscire dal concerto di bugie e falsi ottimismi della destra. A Bersani occorre trovare un buco nel sistema di consenso berlusconiano. Come è possibile infatti che crisi e disoccupazione determinino acquiescenza verso il governo, e passività politica di massa nei confronti della destra? Se il segretario trova la formula per smascherare le favole di regime, forse la partita politica si può ancora giocare.

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