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LA NORMALIZZAZIONE DELLA MAGLIA NUMERO 10

9/6/2008
R2
SPORT

Ci sarà di certo una scuola di pensiero ispirata dal pragmatismo, scienza anglosassone, secondo cui i numeri sulla schiena dei calciatori non contano un bel niente. Conta lo schema, il modulo, il gioco, i gol, il risultato. Di conseguenza, che a indossare la maglia numero 10 della nazionale italiana di calcio sia un mediano, Daniele De Rossi, non deve sollevare scandalo alcuno. Agli Europei non c’ è spazio per i sentimentalismi. Anni e annorum fa era diverso, ci si poteva accapigliare sulle innovazioni in campo. C’ era chi faceva muovere caoticamente i giocatori sul terreno di gioco per supplire al deficit di classe della "Giuventus" (Heriberto Herrera con il «movimiento») e chi invece distribuiva i numeri a caso, per sconcertare almeno sulle prime le difese a uomo, urtando i tradizionalisti (Oronzo Pugliese). Movimento reale e movimento numerico-virtuale. Ma adesso si tratta di scegliere. Perché l’ altra scuola dice che ogni numero contiene il proprio significato. Ogni cifra possiede un’ anima e implica una caratteristica tecnica. Vero o no che l’ 11 evocava guizzi di follia, talvolta fumi e veleni satanici? E che l’ 8 consacrava i cursori, i portatori di mattoni, gli adepti di un’ applicazione onesta e modesta? (il 2 la determinazione arcigna nel contrasto, il 9 la potenza spavalda del centravanti, e così via). Secondo la tesi numerologica, quindi, non è il caso di sfidare la perfezione platonica e pitagorica del mondo dei numeri e delle Idee, e così quella nozione astratta e iperuranica che in questo mondo imperfetto si realizza nell’ entelechia della posizione in campo, nell’ essenza concreta del gioco, nella tecnica espressa con la palla. Dunque, se intere generazioni si sono abituate a vedere nella sostanza mondana del numero 10 il tunnel satanista di Omar Sivori, il lancio da 40 metri di Luisito Suarez, e poi via via il tiro biliardista di Michel Platini, gli eccelsi gesti nevrotici di Diego Armando Maradona, il palleggio zen del «fanciullo ferito» (come scrisse pascolianamente il poeta "Nando" Acitelli) Roberto Baggio, le pennellate di «Pinturicchio», cioè Alessandro Del Piero, riesce difficile immaginare in quel ruolo il romanista De Rossi, che non ha né il codino né il tocco divino, e difficilmente il tiro a parabola e l’ effetto a rientrare. Per carità, il centrocampista della Roma sa portare il tackle, possiede il dono della stangata da fuori, dà battaglia su ogni pallone, e all’ occorrenza distribuisce gioco e verticalizza con la sapienza tattica di un vecchio mediano inglese. E dunque le storielle sui numeri possono essere valutate come sovrane ubbie, tic da babbioni. Ma siamo dalle parti della Mitteleuropa, in terre che hanno conosciuto la classe suprema di "Cartavelina" Sindelar, l’ uomo che umiliò il nazismo con la sua sapienza di campione al tramonto (allora, negli anni Trenta, i tramonti erano infiniti e gloriosi). E allora si conceda un briciolo di dignità a queste romanticherie: così fuori moda, anzi più propriamente «altmodisch», e perciò capaci di ridare al calcio contemporaneo, con un dubbio sui numeri, la lieve suggestione della storia, e di una filosofia.

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