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IN BILICO TRA FUTURO E TRADIZIONE

01.03.1998

A Verona si sta celebrando la definitiva omologazione di Alleanza nazionale, ma la metamorfosi finale del partito erede dell’Msi è solo uno degli aspetti della rappresentazione scaligera. E forse neanche il principale. Perché il punto critico è piuttosto la configurazione del Polo. Certo, An è un segmento importante del Polo: tuttavia non sembra esserci un interesse frenetico per sapere che cosa potrà diventare dopo l’addio all’ideologia. Sarà un partito di programma, come vuole Fini, prenderà un carattere «nazional-democratico» e si dimostrerà ancora insufficiente in liberalismo, come ha scritto Sergio Romano su liberal, si proporrà come una forza di governo che punta le sue carte sul successo mediatico del suo leader? In realtà la sensazione prevalente è che Fini e Fisichella abbiano lavorato soprattutto in vista di un obiettivo: e cioè la stabilizzazione di An come elemento permanente dell’orizzonte politico italiano. Quel sentore di precarietà che ha accompagnato anche le fasi di maggiore successo del partito di Fini si sta effettivamente dissolvendo. Le facce e le voci di una destra sovversiva, terzomondista, anticapitalista sono al margine. Gli autori maledetti della destra sono stati consegnati alle cantine. An prova a presentarsi come come un grosso partito popolar-conservatore, in bilico fra tradizione e futuro, modernizzatore con juicio. Si direbbe quanto di più simile alla Cdu-Csu ci sia in Italia, se non fosse che Fini è costretto dalla storia, sua personale e del suo partito, a proclamarsi di destra. Questa collocazione risponde più alle esigenze del suo elettorato tradizionale che non alla posizione politica che Fini e Fisichella stanno delineando. Tanto è vero che la conferenza di Verona è interessante non tanto per il contenuto programmatico della An futura, quanto perché tende a mostrarsi come gli «stati generali» dell’intero centrodestra. Stati generali che nessuno ha convocato: eppure in queste ultime due settimane si sono riaperte tutte le discussioni, dato che l’iniziativa di Francesco Cossiga ha scompaginato il fronte del Polo. E a Verona si sta assistendo per questo a una scena animatissima, a un veloce gioco dei quattro cantoni, con i i vecchi alleati preoccupati di tenere le posizioni, e con un intruso, Cossiga, fin troppo dinamico, beffardo, disinibito: in totale, una situazione in costante evoluzione. Anzi, una situazione con accenni di frenesia: Berlusconi sente il rischio da un lato dell’alternativa cossighiana, mentre dall’altro non può guardare senza inquietudini all’autoriforma di An, che dovrebbe renderla più concorrenziale: e quindi, come ha detto ieri, fa di necessità virtù sostenendo vibratamente l’«asse» con Fini, in modo da riproporsi come il regista e l’attore principale del Polo. Nel frattempo Casini, rimasto orfano a causa della defezione cossighista di Mastella, elabora la sua coerente e costosa scelta bipolare, chiedendo di «rivisitare» il Polo in funzione di un più qualificato orientamento politico centrista. Già, ma intanto si direbbe che l’asse Fini-Berlusconi cominci a spostare a destra tutta l’opposizione; e questo proprio mentre l’irruzione di Cossiga «strappa» nella direzione esattamente opposta. Il fatto è che in questo momento i giochi, e le guerricciole, di posizione dentro il centrodestra sono più che altro la dimostrazione evidente di un disagio politico serio e di una inquieta carenza di prospettive. Il Polo oggi è escluso dall’area del potere e soprattutto non ha alcuna probabilità a breve termine di ottenere la rivincita delle elezioni del 1996. Inoltre ogni giorno che passa ci avvicina alla data in cui si avrà la decisione sull’ingresso italiano nell’euro, che potrebbe consegnare al governo Prodi un’aureola degasperiana; e in ogni caso risulterà penoso per tutta l’opposizione restare esclusa dal «dividendo europeo», cioè dai vantaggi economici più o meno immediati che dovrebbero coronare l’approdo italiano alla moneta unica. Il centrodestra insomma sta giocando da solo, nella propria metà campo. Ma ha ancora senso la parola centrodestra? Due entità sempre più distinte, il centro e la destra, stanno cercando a tentoni una soluzione praticabile, che dimostri la vitalità dello schieramento. Quella di Fini, soluzione a destra, non ha chances elettorali; quella di Cossiga, soluzione al centro, almeno nel chiuso del Parlamento è potenzialmente in grado di disgregare non uno ma entrambi i poli, specialmente se l’attrazione governativa risultasse irresistibile per l’Udr. Nell’incertezza di fatto tra l’irrilevanza politica e la disintegrazione, il Polo si muove di qua e di là. L’unico problema, non insignificante, è che ci si può agitare molto e restare irrimediabilmente fermi.

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