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IL PARTITO ESTREMISTA DEI MODERATI

20.04.1998

Senza un repentino colpo di fantasia di Berlusconi, con il congresso di Forza Italia si sarebbe consumata solo una liturgia: priva di drammaticità nelle scelte politiche, dal momento che esiste un solo uomo in grado di sintetizzare la filosofia politico-culturale «azzurra», senza l’ombra di un concorrente; priva di alternative programmatiche, in quanto il decalogo politico-economico di Forza Italia è indiscutibile. C’erano insomma molte premesse affinché il congresso milanese si risolvesse in una cerimonia celebrativa, suoni e luci senza significati. Silvio Berlusconi deve avere colto il rischio dell’inconcludenza, ed è per questo che a metà evento ha sterzato clamorosamente. Si è impadronito del congresso, come solo un vero padrone può fare, ha interrotto il festival piuttosto ripetitivo del liberismo, della sussidiarietà e dello sviluppo, e ha cominciato ad attaccare con inusitata violenza il governo e in particolare Romano Prodi, a parare le risposte e a contrattaccare con sempre maggiore violenza. A quella decisione si può far risalire il momento che ha mutato la pelle politica di Forza Italia. Nasce lì l’ultima invenzione politica di Berlusconi, il «partito estremista dei moderati». Estremista lo è senza dubbio, a giudicare dai messaggi mandati da Milano. I suoi ingredienti sono riassumibili in un rancore da ricettario quarantottesco verso tutto ciò che per Forza Italia rappresenta il male: «le sinistre», l’egemonia comunista sul governo, il governo stesso, la sua politica. Il lievito per sollevare l’entusiasmo militante è dato poi dal sentimento di ribellione indignata per i modi con cui un governo ricattato da Rifondazione comunista ed egemonizzato dal Pds è riuscito a raggiungere l’obiettivo europeo. Ecco quindi la mitologizzazione nostalgica dei sette mesi di governo nel 1994, la profezia nerissima che l’Euro così faticosamente raggiunto sarà sicuramente un inferno per le imprese e i cittadini, ecco la polemica appassionata contro le tasse e le punizioni che i ceti medi verrebbero subendo, ecco le proteste vibranti contro il regime, ossia «l’alleanza cupa di poteri forti e fortissimi che tendono a occupare tutto: scuola, cultura, grande finanza, informazione e magistratura». Non importa qui analizzare la qualità di queste argomentazioni; è utile invece metterne a fuoco l’intensità, perché l’improvvisa radicalizzazione politica di Forza Italia è un passaggio importante. Il congresso di Milano era nato, con l’intervista di Berlusconi a Panorama, per rilanciare Forza Italia come una Democrazia cristiana secolarizzata, un rinato partito delle mediazioni: il perno, complice l’auspicato ritorno alla proporzionale, di un futuro ritorno al pentapartito. Si è trasformato invece nella chiamata a raccolta di un movimento antagonista. È possibile che sia stato proprio l’incontro a caldo con la «gente» di Forza Italia a convincere Berlusconi che il partito «c’era» effettivamente. Tutt’altro che il nulla additato, a torto, e con stile censurabile, da Prodi. Ma bisogna anche considerare che l’esistenza empirica di Forza Italia è uno dei fenomeni più prodigiosi e ad un tempo più effimeri che esistano sul mercato politico. Si tratta di ceti tenuti insieme da «istinti ed esperienze di mercato» (la definizione è di Giuliano Amato), ben più che da una cultura o una fede politica consistente. E quindi è un insieme eterogeneo, a identità debole, incline alle delusioni, che nelle lentezze della politica, senza l’occasione di uno scontro elettorale, rischia di precipitare a «volgo disperso». Questo deve avere capito Berlusconi, e quindi ha scandito il ritmo di una nuova mobilitazione. La festa azzurra in piazza del Duomo, non oceanica ma neanche irrilevante, ha dato un tocco di massa al desiderio di rivincita dei moderati-estremisti, che si sentono ingiustamente espropriati del governo ed esclusi dal potere. Ma quanto può durare una mobilitazione? La fine della legislatura è remota, soprattutto se a qualcuno venisse in mente di fare saltare il tavolo delle riforme, inducendo così la maggioranza di centrosinistra a restare fermamente dov’è per l’intero triennio. Ragionevolmente, non si può fare durare tre anni l’eccitazione innescata a Milano. Si sa che la politica è più pazienza che priapismo. Per Berlusconi dunque la traversata del deserto comincia in realtà adesso, con due anni di ritardo rispetto alla sconfitta elettorale. Ed è una strada più tortuosa di quanto non lascerebbe pensare l’animosità rivelatasi a Milano. L’altra faccia degli attacchi al governo è infatti il sostanziale silenzio su D’Alema. Chi viene riparmiato dal «furor» berlusconiano è l’interlocutore obbligato per le riforme. È probabile allora che nel futuro di Forza Italia assisteremo a un’operazione di alta acrobazia. Vedremo il Berlusconi capo del «partito estremista dei moderati», ostinatissimo e vocale contro il governo. E vedremo il temporeggiatore che cercherà di tenere aperto il canale con l’uomo che potrebbe facilitargli, con la riforma della giustizia, una soluzione ai suoi tormentosi problemi. Vedremo la tensione mobilitante verso l’identità e una strategia silenziosa di contatti e accordi. Insomma, Berlusconi è atteso a un nuovo miracolo politico, riunire in sé l’eroe del 27 marzo e l’oppositore ragionevole, l’uomo di piazza e il frequentatore del Palazzo. Chi volesse scommettere sull’esito dovrebbe sapere che difficilmente i miracoli accadono due volte.

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