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IL GRANDE AZZARDO DEL CAVALIERE

16.07.1998

In Silvio Berlusconi c’è una determinazione straordinaria. Basti pensare che buona parte della classe politica italiana, partiti storici come la Dc e il Psi, leader di razza ed esponenti importanti della vita pubblica sono stati spazzati via dall’offensiva giudiziaria. Sotto le inchieste di Mani pulite buona parte del sistema politico si è afflosciata, quasi con rassegnazione, senza nemmeno resistere.. Invece il Cavaliere è sempre lì. Una volta bastava un avviso di garanzia per liquidare un ministro. Lui, pluricondannato, ha fatto diventare le sentenze ai suoi danni la trincea del Polo. Non solo: ieri ha nuovamente attaccato il «disegno politico-giudiziario» di alcune procure, e questa non è una novità; ma ha aggiunto che se gli fosse tolta la libertà personale «sarebbe il loro ultimo errore perché la mia parte politica sarebbe largamente vincente nel paese». Può essere la naturale iattanza di un combattente: già da qualche giorno infatti Berlusconi diffonde sondaggi trionfali sui consensi del Polo e di Forza Italia. Ma può essere anche qualcos’altro. E cioè una scommessa politica, spregiudicata come tutte le scommesse del capo di Forza Italia: la scommessa secondo cui in questo momento si è coagulato un fronte garantista, antigiustizialista, pronto a trasformarsi in un fronte politico. Berlusconi non sta scommettendo a vuoto. Con il passare del tempo è riuscito a imporre l’idea di essere un perseguitato politico. È riuscito anche a trasferire sulle sue posizioni tutto il Polo, dai postdemocristiani al partito di Fini. Anzi, proprio la posizione di An, un partito che non annovera nel proprio passato ispirazioni particolarmente garantiste, e che è stato uno dei più colossali beneficiari dell’opera della Procura di Milano, proprio la posizione di An rivela che la linea di Berlusconi ha avuto successo. In sostanza, il Cavaliere è riuscito nell’impresa di trasformare la propria posizione personale nella questione cruciale della politica italiana. Talmente cruciale che in questo momento, di fronte al dilemma della Commissione parlamentare (d’inchiesta o di indagine, come si discute adesso), tutto il resto sfuma tristemente sullo sfondo. Ormai, ciò che conta è il conflitto terribilmente reale, ma anche terribilmente mediatico, giocato nei tribunali ma anche nell’immaginario, ad un tempo concreto e astratto, fra Berlusconi e la magistratura. La magistratura nel suo insieme: non è possibile infatti distinguere la Procura di Milano o di Palermo dal resto dell’ordine giudiziario. La scommessa di Berlusconi implica necessariamente che il regolamento dei conti avvenga con tutta la magistratura, in quanto istituzione complessiva. Il calcolo non è affatto illogico. Il leader di Forza Italia mette nel conto che il clima è cambiato vistosamente dai tempi di Tangentopoli. Oggi settori consistenti dell’establishment vedono nelle disgrazie giudiziarie berlusconiane qualcosa che li colpisce per interposta persona; e nell’opinione pubblica sembra diffondersi insofferenza per «l’accanimento» del pool di Milano. Ma la razionalità di questo calcolo e della scommessa conseguente forse trascura un particolare. Certo, è probabile che la scorta di indignazione sia esaurita. Tuttavia le velleità di ritorno al passato stanno assumendo una tonalità francamente eccessiva. Cossiga che chiede l’amnistia, i molti che fanno atto di contrizione rispetto al destino di Craxi, il coro dei complici, se non altro, del grande intreccio politico-affaristico chiamato Tangentopoli, che rivendica un ruolo e un avvenire. C’è qualcosa di troppo. Certo, è possibile che la storia del sistema italiano sia ancora tutta da fare, da analizzare con equilibrio e senza demonizzazioni. Ma la consueta genialità strategica di Berlusconi, la capacità di convincere l’opinione pubblica di essere una vittima, l’abilità strepitosa nel vellicare l’anticomunismo del proprio elettorato anche in assenza dei comunisti, si portano dietro anche il fardello di una parata di revenant da fare impressione, insieme a una ventata di restaurazione che lascia disarmati. Per lo spirito provocatorio di Cossiga, gli «straccioni» dell’Udr, il plotone di semi-leader e mezze figure recentemente riemerse nelle sale romane, costituiscono una rivendicazione della politica in quanto tale. Per il Cavaliere, questa specie di esercito della santa fede, di lazzari che vogliono tornare, potrebbe essere al contrario una delle peggiori compagnie possibili. Perché la scommessa di convincere la «gente» di essere condannato ingiustamente può avere successo, malgrado la sua carica anti-istituzionale; ma se in questo modo si legittima il ritorno del passato – di quel passato, così ben noto – anche nella strategia di Berlusconi potrebbe aprirsi una crepa.

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