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IDEE TROPPO PICCOLE PER DOMINARE TUTTO

18/11/2009
R2
l'analisi - Sempre più rari i casi di tuttologia applicata a problemi complessi

Un bell’ esempio di tuttologia è stato raccontato da un grande tuttologo, Timothy Garton Ash, quando si rivolse a un’ assemblea di studenti in una università inglese, chiedendo se avrebbero preferito vivere in Europa o in America. In Europa, rispose uno studente prontissimo. Perché? «Perché ci sono meno probabilità che mi sparino, qui fuori. E se mi sparano, in ospedale mi curano gratis». Sono sempre più rari i casi di tuttologia applicata a problemi complessi; e d’ altronde la "complessità" fu un totem intellettuale degli anni Ottanta, che richiedeva fulminei cortocircuiti intellettuali per essere semplificata. Lo studente inglese era un tuttologo vero, razza perduta. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVA Ancora adesso si avverte la necessità di mentalità e formule che riducano a ordine il nuovo caos, cioè la crisi economica mondiale. Una volta assunto che la grande recessione non è semplicemente una questione tecnica e di regole, bensì un problema di distribuzione fallita della ricchezza a vantaggio dei ricchi contro i poveri, ci vorrebbero i paradigmi del grande Novecento per provare a districare qualcosa dal disordine poco creativo del nuovo Ventinove. Occorrerebbero in sostanza le costruzioni culturali di Max Weber e di John Maynard Keynes, giganti del pensiero, architetti irripetibili della «modernità», altra parola totem dei nostri anni. Anche perché la tuttologia, qualsiasi cosa significhi, implica una concezione generale della società umana. Vero è che Weber ammoniva ironicamente: «Chi vuole delle visioni, vada al cinematografo». Eppure l’ autore di Politik als Beruf, cioè «politica come professione e vocazione», aveva individuato con intuizioni trascendentali i processi novecenteschi di secolarizzazione e burocratizzazione, e gli urti semplificatori della vocazione carismatica. In modo complementare, opponendosi alle «procedure» giuridiche di Kelsen, Carl Schmitt aveva configurato la dialettica «amico-nemico», giungendo alla sintesi decisionista e fenomenologica attestata dalla tesi: «Sovrano è chi decide sullo stato d’ eccezione» (a sua volta, simmetricamente, vale la pena di soffermarsi sulla inimitabile formula di Hannah Arendt, ovvero «la banalità del male»). E allora, esaurite le famose «ideologie», e perdute anche le radici socialdemocratiche che avevano costituito l’ alternativa più efficace al socialismo reale, gli ultimi trent’ anni sono stati il campo di tuttologi e tuttologie apparentemente irresistibili, eppure alla fine fallimentari. Quando finisce il keynesismo, c’ è pronto il monetarismo; ma quando cade il monetarismo non esiste un altro paradigma collettivo, una tuttologia pronta a sostituirlo. Certo, finiscono in archivio i grandi tuttologi come Martin Laffer, l’ economista capace di convincere Ronald Reagan, con la sua celebre «curva a campana», che riducendo le aliquote tributarie il gettito fiscale sarebbe aumentato. E finiscono maluccio anche le super-tesi come quella di Francis Fukuyama, l’ autore di La fine della storia, che dopo il trionfo del capitalismo aveva previsto un hegeliano superamento dei conflitti (e invece aveva ragione il democratico eppure realista Samuel Huntington, che nel suo Clash of Civilization evocava il sorgere di guerre «fermentate dal basso», in un disordine mondiale perdurante lungo linee di faglia tribali-culturali). Alla fine, l’ estinzione del tuttologo non esime dalla ricerca di una corrente intellettuale che possa offrire indicazioni di sintesi per lo sviluppo della società contemporanea. In Italia ci ha provato Giulio Tremonti, recuperando chissà quanto consapevolmente la distinzione di Tönnies fra Gemeinschaft e Gesellschaft, ossia fra comunità «calda» e società «fredda». Si ritorna così più o meno al primo Novecento, quando la modernità europea comincia a imprimersi sulle forme sociali del secolo. Oggi, occorrerebbero sintesi impressionanti; mentre c’ è la sensazione che le idee siano troppo piccole e parziali per investire e controllare il tutto che ci domina.

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