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I TRE GOL DELLA LIBERTA’

06.07.1998

In genere è consigliabile lasciare gli eventi sportivi nei loro confini, senza farli diventare una metafora geopolitica o un’allegoria storica. Allorché la nazionale di Bearzot nel 1982 vinse il Mundial in Spagna, con Sandro Pertini festante in tribuna, Alberto Ronchey intravide nelle feste di piazza e nell’orgoglio pubblico un embrione di nazionalismo italiano. Nella realtà, la vittoria al Santiago Bernabeu preludeva al quadriennio craxiano, quando la nave certamente andava, ma era un catorcio, e la rotta portava nei mari dell’indebitamento e di Tangentopoli. Tuttavia, malgrado ogni cautela possibile, come si fa a ignorare la potenziale portata simbolica della vittoria di Lione della Croazia sulla Germania? La nazionale croata rappresenta una nazione di poco più di quattro milioni e mezzo di abitanti, uscita così com’è dalla disintegrazione della Jugoslavia, grazie anche al riconoscimento tedesco, alla protezione di una potenza di oltre ottanta milioni di abitanti. La simbologia della partita di sabato scorso è così suggestiva da indurre a prendere la parola non solo il vincitore Tudjman, ma anche lo sconfitto Kohl. Il presidente della repubblica croata ha parlato naturalmente di un risultato «storico», esattamente come il centrocampista Boban, che ha definito quella sulla Germania una vittoria della libertà, deprecando i tempi in cui «in campo era proibito anche parlare croato»: e intanto la piazza principale di Zagabria (settecentomila abitanti) si riempiva di gente impazzita di gioia che si tuffava nelle fontane, perché tutto il mondo è paese. Dal canto suo, il cancelliere Kohl ha sentito il bisogno elettorale di spiegare che la colpa è stata dell’arbitro, e nulla può essere rimproverato ai giocatori e al tecnico. Una mano santa e democristiana si è stesa quindi su Berti Vogts e sulla sua «banda di pensionati» (la definizione è della stampa tedesca, listata a lutto). E allora diciamolo, qual è il simbolo rappresentato dalla Croazia calcistica, guardiamo in faccia qual è la paura che incute questa nazionale riuscita inopinatamente ad arrivare alle semifinali nella sua prima partecipazione al Mondiale. Sarà una simbologia irrazionale e una paura irrealistica, ma la piccola repubblica croata ha il profilo adatto per rappresentare l’outsider che attacca il gigante obeso dell’Europa dell’euro. A guardarli, i croati in campo, danno tutti l’idea di essere matti e pirati, gente disinibita, furba e sgherra. Il duro Stanic, il versatile Boban, il corsaro Suker che sogghigna con una vena di pazzia dopo avere appena mancato un gol fenomenale sembrano tutti tipi pronti ad aggredire senza esitazioni gli europei dell’Unione. Loro sono nazionalisti, affamati di successo, pronti alla competizione, mentre in confronto Germania e partner appaiono molli e oberati dalle loro pensioni e dai loro pensionati, appesantiti loro società invecchiate tristemente come la squadra di Klinsmann e Matthäus. L’auspicio irresistibile è che dove hanno drammaticamente fallito Bierhoff e Kohl, riescano Chirac (o il coabitante Jospin) e Deschamps, complice anche il fattore campo ed eventualmente l’arbitro. Altrimenti la simbologia diventerà irresistibile: la grande balena attaccata dai pesci piranha, l’Europa immolata sull’altare crudele della globalizzazione, l’asse franco-tedesco spezzato dalla furia degli ultimi arrivati, il satellite che distrugge il pianeta. Per la pace di tutti, per non toglierci il sonno, per esorcizzare i simboli, è meglio che Zidane e Djorkaeff, Thuram, Desailly e tutti gli europei acquisiti sotto le insegne dei Blu di Francia, si diano da fare, nel nome di un cosmopolitismo illuminista, o nel segno di Maastricht.

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