gli articoli PANORAMA/

HOMO MODERATUS I POLI A CACCIA DI UN MITO ITALIANO

28.03.1996
ATTUALITA' ITALIA
POLITICA ANATOMIA DEL SOGGETTO PIU' CORTEGGIATO E MISTERIOSO DELLA STAGIONE

Nell’ immaginario della politica italiana, nel suo lessico iniziatico, nelle sue realtà illusionistiche, ci sono almeno due fantasmi, due entità specificamente mitologiche: uno è un luogo, il centro; l’altro è una persona, o un idealtipo weberiano, l’ "homo moderatus". Del centro ormai si è detto quasi tutto. Dei moderati invece no: si sa soltanto che, proprio in quanto tali, essi dovrebbero essere i naturali abitanti del suddetto centro. Disintegratosi il quale, l’homo moderatus sarebbe un esule politico in patria, uno straniero, uno sradicato, una figura costantemente a disagio fra le tensioni indotte dal sistema maggioritario o dalle sue interpretazioni fondamentalistiche. In musica, il "moderato" è un’indicazione di movimento fra l’andante e l’ allegro. Per ciò che ci riguarda, di allegro c’ è poco. Lasciando gli spartiti per i partiti, si tratterebbe innanzitutto di capire perché la moderazione sarebbe diventata la virtù suprema. Secondo un illuminista radicale come Thomas Paine, che vide sia la rivoluzione americana sia la rivoluzione francese, "la moderazione nel carattere è sempre una virtù, ma la moderazione nei principi è sempre un vizio". Sta di fatto che i moderati catalogati con marchio d’ origine controllata non esistono in nessuna democrazia avanzata. In Germania i socialdemocratici parlano con una visibile acredine della Cdu, definendola sprezzantemente "il partito conservatore". Nella Gran Bretagna thatcheriana e post-thatcheriana la contrapposizione fra laburisti e tory raggiunge asprezze che saranno certo molto british, ma che di moderato non hanno niente. La Francia ha una lunga tradizione in fatto di rivoluzioni e radicalismi. E poi: era un moderato De Gaulle? E’ un moderato il nazionalpopulista Chirac? E l’elenco potrebbe naturalmente continuare. Ma il senso dovrebbe essere già chiaro: in sistemi politici assestati, ciascun partito è libero di proporre la sua strategia, intensificando o attenuando le proprie caratteristiche politico-programmatiche, rendendo flessibile la propria strategia, ora radicalizzandola ora ammorbidendola. Mentre in Italia, all’ interno di una struttura politica ancora disequilibrata, si avverte come primaria la necessità di superare gli estremismi, tipiche malattie infantili di qualsiasi fase politica; solo che il prezzo da pagare per smussare gli integralismi della politica è a quanto pare il tuffo nell’ antropologia. Si dice moderato, infatti, ed è come dire un soggetto politicamente indistinto, ugualmente disponibile al centrodestra e al centrosinistra purché il centro abbia la preminenza nella sigla politica, ne sia il massimo comun divisore. Quindi l’homo moderatus sarebbe in realtà qualcuno che oltre ad aborrire gli estremismi è anche sostanzialmente disponibile al "questa o quella per me pari sono": la scelta neoliberista di Forza Italia per lui sarebbe di fatto equivalente all’ "economia sociale di mercato" dell’Ulivo. Insomma, l’importante è non esagerare, né con il liberismo né con il solidarismo, né con Antonio Martino e Sergio Ricossa né con Rosy Bindi e don Giuseppe Dossetti. Già, ma questo approssimativo identikit non è quello di un moderato, è quello, a dirla schiettamente, di un conservatore. Una specie politica scarsamente adatta all’ ecosistema nazionale (ironizzava Leo Longanesi: "Sono un conservatore in un paese in cui non c’ è nulla da conservare"), e ridotta al silenzio dalla rivoluzione strisciante cominciata in Italia a partire dal ‘ 92, allorché si scatenò l’ offensiva di Mani pulite, la Lega di Bossi sembrò dilagare in tutto il Nord, l’ ondata verso il sistema maggioritario parve destinata a spazzare via ogni residuo di cultura e comportamenti di quella che lo storico cattolico Pietro Scoppola identificò come la "Repubblica dei partiti". Isola di proporzionalismo Che avrebbe potuto dire e fare, il moderato, di fronte a una magistratura che abbatteva un’intera classe politica, all’ urlante "Roma ladrona" di Umberto Bossi, alla promessa travolgente che l’uninominale avrebbe ritagliato due perfetti figurini bipolari, ponendo fine al rito romano consociativo? Avrebbe fatto con ogni probabilità ciò che gli eredi della Prima repubblica hanno fatto, ora conducendo una lotta sorda e strisciante contro la magistratura, ora annacquando le leggi elettorali per mantenere qualche isola di proporzionalismo, ora coinvolgendo il Carroccio in governi e alleanze. A proposito, non fu una coalizione fra i "moderati" di Carnot e alcuni montagnardi compromessi che spense nel Termidoro il Terrore rivoluzionario di Robespierre e Saint-Just? "Nihil sub sole novi", anche le rivoluzioni hanno avuto i loro ribaltoni. Ma se le cose stanno così, l’homo moderatus non è il protagonista del futuro, è piuttosto una stratificazione del passato. Erano moderati gli elettori che nella seconda metà degli anni Ottanta accettarono di farsi confiscare il loro voto dal pentapartito e poi dal Caf. Era moderato il Pci, che a causa della consapevolezza del proprio costituzionale, statutario deficit democratico ha sempre abbassato il livello della propria opposizione verso il "sistema di potere democristiano e socialista" in cambio del riconoscimento di legittimità. Era moderato il sindacato, che si guardava bene dal chiedere volgarmente soldi, perché la rivendicazione di più salario avrebbe comportato la richiesta, per calcolo di compatibilità, di più produttività; e Luciano Lama preferiva quindi chiedere più Stato, più legislazione sociale, tutele, protezioni: col risultato che la struttura produttiva veniva soffocata da una rete esiziale di vincoli e che il lavoro dipendente è stato spinto sempre più vicino alla povertà. La prima rottura politica in questo terreno della moderazione, il primo sbrego nel centro fu naturalmente scandito dall’ avventura politica di Silvio Berlusconi. "Un matto" disse di se stesso il Cavaliere scendendo in campo "insieme ad altri matti". Solo che Berlusconi era l’antitesi del moderatismo solo per i suoi ultrà, da Giuliano Ferrara a Marco Taradash, comodamente sistemati nell’ iperuranio dell’iperliberalismo. Molto più legato alla terra, il capo di Forza Italia aveva fabbricato una macchina politica anfibia, che in parte mimava la mobilitazione neoconservatrice dei ceti borghesi che si era avuta con la "reaganomics", e in maniera ancora più rivoluzionaria con il grande esperimento radicale di Margaret Thatcher (ma anche in Germania, seppure mediato dalla imponente sapienza democristiana di Helmut Kohl); in parte radicale, dunque: ma per l’ altro verso invece rifiutava ogni etichetta oltranzista, voleva essere indistruttibilmente "di centro, a capo di una grande forza moderata". La doppiezza del Polo nasce anche e soprattutto qui, non solo nell’ estremismo pasticciato di Alleanza nazionale, con Gianfranco Fini che a Torino, nel "giorno dei commercianti" e dei fischi a Romano Prodi, sostiene che sarebbe il caso di licenziare sette impiegati pubblici su dieci, mentre ci si immagina che Pinuccio Tatarella (un moderato a 24 carati, l’ex ministro dell’ Armonia) pensi e dica ben altro, es-sendo An l’ impresario politico della protezione e dell’ assistenza del pubblico impiego meridionale. Il fatto è in ogni caso che sul santino dell’elettore moderato si è costruita una religione politica spuria, che intorbida il confronto politico. Se i simboli della moderazione sono gli occhialetti di Fini, il sorriso del Cavaliere, l’abilità manovriera di Casini e Mastella, l’ "inclinazione sociale" autoattribuitasi dal tecnocrate Lamberto Dini, le 88 volonterose tesi di Prodi, l’ equilibrismo fra subsistemi di Antonio Maccanico, il parlamentarismo vecchia scuola di Gerardo Bianco, la disponibilità di D’ Alema alle larghe intese, beh, questi sono sottoprodotti politici molto fungibili e poco qualificanti. C’ è la sensazione, ed è piuttosto spiacevole, che il fantasma del cittadino-elettore "moderato" sia il grande alibi per non fare nessuna scelta. La conquista dell’homo moderatus costituisce l’obbligo per stemperare programmi senza affrontare nessun problema. Ciò che è singolare è l’enfasi sulla moderazione mentre il Paese è una sintesi di malattie esagerate. Come dice il ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio, per fare fronte agli oltre 2 milioni di miliardi di debito accumulato per mantenere standard elevati di benessere, si può effettivamente tagliare la spesa pubblica: è sufficiente licenziare "200 mila insegnanti, 200 mila ministeriali, 50 mila dipendenti degli enti locali, e poi paramedici, ferrovieri, falsi invalidi…". Ci vuole solo un massimalista, un estremista che lo faccia: ah, trovarlo. Rigorismi di bilancio L’ alibi dell’homo moderatus consente poi di non guardare in faccia la realtà. Avere immaginato la politica sul profilo del moderato ha consentito di progettare il risanamento come se fosse tutta una questione di grandezze macroeconomiche. Questo era anche uno dei peccati di un falso moderato (in realtà un radicale storico) come Ugo La Malfa, che percepiva nettissimo lo scandalo dell’indebitamento e della redistribuzione a pioggia come un autentico pervertimento dello schema ciclico keynesiano (che prevedeva il deficit di bilancio come strumento espansivo, da compensare con il futuro aumento di gettito determinato dalla crescita economica). Ma che, da tecnocrate qual era, non era abituato a scendere dal livello macroeconomico al livello del funzionamento dello Stato, dei servizi pubblici, degli ospedali, delle scuole. Di fronte ai rigorismi di bilancio lamalfiani, il cattolico sociale Donat Cattin parlava beffardo di economicismo. Oggi, di fronte alle politiche contabili di risanamento finanziario, e alle proposte di tagli alla spesa pubblica per riacchiappare la periferia di Maastricht, si potrebbe chiedere: benissimo, e che diciamo dei 121 adempimenti fiscali che affliggono ogni anno i commercianti? Insomma, non c’ è più spazio per immaginare un piano nobile della politica economica in cui si parla come in un seminario organizzato dalla Banca d’ Italia, tra grafici e diapositive sull’ andamento dei tassi d’ interesse, e un sotterraneo dove alcuni dannati dovrebbero fare il "dirty job" di ridare efficienza al carrozzone pubblico italiano. Il risanamento del carrozzone avviene, se avviene, più sul versante micro che sul versante macro. Il che significa mettere mano ai ministeri, alle poste e alle usl, così come alla scuola e alle ferrovie, ai comuni e alle regioni, rivoluzionandone il modo di operare, budgetandone le funzioni, responsabilizzando i centri di spesa, reintroducendo una catena gerarchica. Ma per fare un’operazione simile non c’ è moderato o moderazione che tenga. Ci vuole radicalismo, e anche un po’ di sadismo, come quello esibito da Sabino Cassese sotto l’ala del governo Ciampi. In caso contrario, il simbolo dell’Italia del Duemila non sarà l’homo moderatus, basterà togliergli la mascherina e riapparirà, sotto i tratti della moderazione, l’ uomo doroteo: quel singolare e diffusissimo esemplare politico capace di mediare, scomporre, e alla fine rinviare qualsiasi scelta pur di ritagliare o mantenere una quota di potere. Oppure una sua versione più moderna ed efficiente del doroteismo, che è il baudismo: sì, proprio dal suo inventore Pippo Baudo, che concepisce l’ offerta di spettacolo non con una fisionomia esclusiva, riconoscibile, targettizzata, ma con un approccio da marketing generalista: e qui ci metto il cantante per le nonne, qui quello per i giovani, qui l’ aggressivo postmoderno, qui il timido romantico per le ragazzine, qui il replicante di Vasco Rossi, e poi il facsimile di questa o di quella; insomma una perfetta lottizzazione, che tiene altissima l’ audience accontentando e nello stesso tempo scontentando tutti. Moderato: cioè politically correct su ogni argomento. Contrario alla tassazione dei Bot e alla patrimoniale, ma diffidente verso invenzioni tipo la "flat tax". Favorevole alla razionalizzazione del fisco ma, nel frattempo, propenso a temperare la pressione tributaria con una dose "ragionevole" di evasione. Desideroso di misure sostanziali per ristrutturare la pubblica amministrazione e i servizi, purché non riguardino la sua posizione di dipendente dello Stato. Emblema, l’homo moderatus, di un paese che si appassiona al dibattito sulle regole esattamente come è incline a dribblarle, che si tratti di deformare il sistema maggioritario con le desistenze oppure di interpretare personalisticamente i limiti di velocità e comunque il codice della strada: homo moderatus, homo italicus. LA BIBLIOTECA DEL MODERATO Il moderato deve trascurare la Bibbia, Omero, i tragici greci, in quanto propongono storie smisurate, archetipiche, inquietanti. Bene Tacito e i suoi Annali. Male anche l’età moderna, con le esagerazioni di Rabelais e Milton. Si può trovare un rifugio in Voltaire, che pure è un radicale fanatico, e scrisse un pamphlet come Candide per distruggere l’ottimismo razionalista di Leibniz, ma vi consegna l’immortale figura del dottor Pangloss, certo di ritrovare il migliore dei mondi possibili anche nelle tragedie peggiori, tipo l’improvviso ritorno del Caf con Giulio e Bettino in testa. Tutta la letteratura non si segnala certo per moderazione. Per un verso o per l’altro Dante, Petrarca, Boccaccio e Chaucer risultano eccessivi, come pure Ariosto, Tasso, Cervantes, Marlowe, Defoe, Swift. I russi, da Dostoevskij a Tolstoj, gente esagerata. Come pure i romantici, i simbolisti, i veristi, gli espressionisti, i decadenti. A parte Alessandro Manzoni, che probabilmente è il vero autore mondiale della moderazione, un Martinazzoli della letteratura europea. L’ intero Novecento poi è una sequela di catastrofi stilistiche. Meglio cercare conforto nella filosofia. Si potrebbe consigliare Platone, se non fosse che a furia di inseguire la ragione prepara repubbliche totalitarie. Meglio quindi il pragmatico Aristotele. Oppure, più avanti, san Tommaso d’ Aquino. Bene John Locke, sufficiente la Critica della ragion pura di Immanuel Kant. Male Hegel, malissimo Nietzsche, pessimamente Marx. Molto meglio il Tocqueville della Democrazia in America, che moderato non è ma preveggente sì, visto che indica come pericoli per la democrazia conformismo, individualismo e dispotismo della maggioranza. Fra gli storici, grandissimo l’olandese Johan Huizinga, fra i sociologi, Vilfredo Pareto. Una filosofia apparentemente moderata è quella di Benedetto Croce, che però ha aspetti radicali nell’ opporsi a pseudoscienze come sociologia e psicologia: visti i risultati, forse aveva ragione. Perfetto Hans Kelsen. Pollice verso per tutti i francofortesi. Giungendo all’ oggi, si nota la scomparsa dei maestri di pensiero, rivoluzionari o moderati. Tramontato Alberoni, ci si può rifare con Umberto Eco, meglio Il nome della rosa del Pendolo di Foucault. Ma Eco è stato più fenomeno di massa che teorico del moderatismo. Se uno vuole cercare la moderazione assoluta, deve cedere a Susanna Tamaro: Va’ dove ti porta il cuore, cioè in nessun posto.

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