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ELOGIO DI UN MINISTERO SENZA QUALITA’

16.05.1996
ATTUALITA' ITALIA
L' OPINIONE

Come prima misura di profilassi, a proposito del ministero della Cultura del futuro governo dell’Ulivo sarà bene evitare di citare Minculpop e Jack Lang. Troppo lontana la nazionalizzazione totalitaria del duce e troppo lontano anche l’orgoglio nazionale transalpino: nel nostro piccolo, il ministero della Cultura è una di quelle trovate sulle quali, dopo avere preso atto di tutte le discussioni in proposito, viene da dire: ebbene sì, fatelo, questo ministero. Però dopo non venite a lamentarvi se la realtà è destinata a superare i sospetti. Perché sappiamo che nella modernità, nel clima volatile di fine secolo che piace tanto a Walter Veltroni e a Furio Colombo, la cultura è talmente differenziata da risultare irriducibile a una sintesi burocratica unitaria. Non solo: nel Paese dell’università inefficiente, dei musei dimenticati, della ricerca stagnante, del sistema formativo inadeguato, dell’editoria languente, delle biblioteche sfornite, quale migliore soluzione di un Ente assoluto come il ministero, che attrarrebbe su di sé tutte le critiche e le proteste per ogni caso di malfunzionamento che riguardasse ogni infinitesimale segmento del mondo della cultura? Si può già sentire l’eco degli appelli, delle denunce, delle indignazioni. Una colossale occasione da autogol, insomma. E allora quale sarà il motivo profondo che induce a persistere nell’ intenzione? Se a pensare male si fa peccato ma ci si azzecca, si potrebbe anche immaginare che il magnifico ministero della Cultura sarebbe, in realtà, un fastoso ufficio stampa del governo dell’Ulivo, e una formidabile agenzia pubblicitaria dell’Italia gestita dal centrosinistra. Destinata cioè a produrre una struggente e corale mitologia sull’ Italia buona e consapevole, tollerante e pensosa, leale e politicamente corretta, destinata a realizzarsi grazie al concerto di Prodi, Dini, bianco, D’ Alema e Bertinotti. Per l’ironica celebrazione della finis Austriae, Robert Musil aveva illustrato il progetto indefinito dell’Azione parallela, cioè un insensato giubileo laico; noi ci accontentiamo di un ministero senza qualità. Ci mancano film capaci di coniugare a spese dello Stato la solidarietà e l’efficienza? Abbiamo bisogno di programmi tv in grado di liturgizzare la normalità dalemiana del Paese e la forza tranquilla della sinistra? Sentiamo l’urgenza di prove sociologiche sulla riformabilità (morbida, mi raccomando) del welfare? E di stagioni teatrali, di balletti e di concerti, ma anche di show per famiglie, che sappiano sfuggire all’ aspra logica del mercato e dell’audience? Ci vuole poco. Basta una volonterosa burocrazia che abbia ben chiaro il messaggio da spedire agli italiani e i modi per farlo. L’ ideologia più adeguata potrebbe essere, perché no, "la Resistenza più Internet", ma va bene anche "ceti deboli e multimedialità". Si tratta in sostanza di preparare un kit che contenga le due anime del centrosinistrismo: da una parte, tutto ciò che rappresenta con sobria dignità l’attrazione per il passato, dalle lotte operaie alla musica classica più colta e ignota, dall’ arte minore e povera alle epopee della più dolente subalternità; dall’ altra, la propensione irrefrenabile a tutte le forme del nuovo o similnuovo, arte marginale metropolitana e rock a sfondo sociale, sfrenatezze divistiche e miracoli cibernetici. Polvere del tempo e fascino della cablatura. Convenzioni pedagogicamente ineccepibili e trasgressioni autorizzate dall’ ufficio competente. Agitare prima dell’uso e spedire "on line". L’ unica avvertenza è non alzare il ditino se poi il ministero della Cultura assomiglierà a un ibrido assistenzialista fra un istituto storico della Resistenza e il postmoderno liceo "Marilyn Monroe" di Nanni Moretti. ("Rido?" chiedeva lo sfrontato preside di Bianca prima di spalancare la bocca in spettacolari sghignazzi. Ebbene sì, conviene ridere).

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