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COS’E’ IN E OUT NELL’ERA DELL’ULIVO

30.05.1996
IDEA DELLA SETTIMANA

Il 21 aprile c’ è stato un contraccolpo spettacolare. Tutti coloro che cavalcavano l’onda del centrodestra come provetti surfisti, rincorrendo la possibile, probabile, praticamente certa vittoria del Polo per le libertà, si sono trovati all’ improvviso con il didietro a bagnomaria a qualche metro dalla spiaggia. "Quelli che l’Ulivo", invece, si sono trovati dentro una festa imprevista. Da una parte, quindi, ministri in pectore rimasti senza dicastero, e dall’ altra gente presa in contropiede dalla sorpresa della vittoria. E’ cominciata l’era dell’Ulivo? I titoli del Giornale di Vittorio Feltri hanno già aperto il fuoco contro il "regime" di centrosinistra. Ma la banale realtà è che invece, in modo diffuso, in modo appena percettibile, si sta procedendo a una specie di spoils system all’ italiana, a una virata nel costume e nel gusto, nelle abitudini consacrate e nelle convenzioni, nella cultura e nell’ intrattenimento. Sintomi, indizi. Fatto sta che per quanto corteggiatissimo, il guru del volley Julio Velasco non ha accettato di sostituire Fabio Capello al Milan; l’ex capitale morale Milano ormai è una caotica periferia di Bologna; la mortadella rischia di diventare un affettato di culto. Meglio attrezzarsi, quindi, perché percepire in tempo il mutamento d’ atmosfera può aiutare a vivere (e bene) malgrado quelli che Berlusconi talvolta chiama ancora con tenacia "i comunisti". Quel che segue è un primo catalogo di ciò che va su e ciò che va giù nell’ Italia dell’Ulivo, che fino a ieri era la terra dei cachi e oggi, secondo i criteri di D’ Alema, sarebbe un Paese normale. Visioni del mondo. Prima veniva annunciata la strepitosa buona novella del liberismo, del mercato, della deregolazione. Adesso la curva di Laffer (troppe tasse uguale minor gettito, abbassare le aliquote per aumentare l’introito dello Stato), su cui Ronald Reagan aveva pilotato l’economia ruggente degli Ottanta, e la famosa economia supply side sono considerate merce fuori corso. L’ex Lady di ferro, ovvero Margaret Thatcher, viene dipinta come un’anziana signora bizzarra, colpevole di avere "spaccato", come ripete Romano Prodi, la società inglese, allargando in modo insostenibile il divario fra le classi. E si capisce. I teorici vicini all’ Ulivo sono in grado di argomentare che il liberismo non spiega fenomeni angosciosi come la "jobless growth", cioè la crescita senza aumento dell’occupazione. Amartya Kumar Sen, indiano metà economista e metà filosofo, sta girando per l’Italia ammonendo sui pericoli dell’estremismo del bilancio in pareggio. Si sente profumo del deficit spending e di John Maynard Keynes? E dove sarebbe il New Deal? In realtà il centrosinistra non lo dice ma è terrorizzato dalla tecnologia e dal suo impatto sull’ occupazione. Per evitare la delocalizzazione delle industrie verso i paesi a basso costo del lavoro, occorre fare leva sulle potenzialità dell’innovazione tecnologica. Ma se la tecnologia fa salire troppo la produttività, si distrugge occupazione. Lo ha illustrato con chiarezza Lester Thurow, autore alla fine degli anni Settanta del best-seller La società a somma zero: se la produttività cresce del 6 per cento ma il mercato solo del 3, per un po’ si accumuleranno scorte di magazzino, ma poco dopo si comincerà a tagliare il personale. L’ orrore per il "downsizing", cioè le ristrutturazioni occupazionali al ribasso, unito ai timori generati dagli apocalittici come Jeremy Rifkin (La fine del lavoro), che profetizzano a breve la perdita irrecuperabile di decine di milioni di posti di lavoro in tutto l’Occidente, fa sì che l’Ulivo sia un formidabile produttore di concetti intermedi. Lo stato sociale sì, naturalmente, ma snellito e reso sostenibile. La solidarietà, ma efficiente. Il federalismo, ma solidale, come lo intende il cardinale Carlo Maria Martini. Il tutto tenuto insieme da un unico strumento di governo, la concertazione, che a dire la verità ha già funzionato in Italia a metà degli anni Ottanta, facendo cadere il tasso d’ inflazione, e poi con i governi Amato e Ciampi. Governo, sindacati e imprenditori uniti nella resistenza, tentando di realizzare un’edizione italica della "soziale Marktwirtschaft", l’economia sociale di mercato di stampo tedesco. E allora, come simbolo del centrosinistra teutonico, si potrebbe utilizzare Michael Schumacher, il fenomenale pilota tedesco della Ferrari, un autentico würstel dal volto umano, magari fotografato sulla bicicletta italiana di Romano Prodi. La cultura. Prima delle elezioni andava per la maggiore la politologia, a partire naturalmente da Giovanni Sartori e dal suo libro Ingegneria costituzionale comparata, ma ora del semipresidenzialismo si parla meno, e la situazione si è fatta molto più articolata. Tutti gli scienziati politici in previsione del 21 aprile puntavano sullo stallo politico, e Sartori più di tutti, e Paolo Mieli, direttore del Corriere della sera, se possibile ancora di più: perché se ci fosse stato lo stallo si sarebbero realizzate tutte le previsioni di Sartori e tutte le speranze di Mieli, che sarebbe stato il perfetto punto di equilibrio al vertice di una Rai senza padroni politici. Adesso vanno fortissimo naturalmente i semiologi, Umberto Eco in testa, nonostante le sue obiezioni piuttosto fondate, ma chissà quanto gradite, contro la proposta veltroniana di ministero della Cultura. Perfetto Furio Colombo per avviare la gestione dell’Ulivo su Internet. Ma se tanto ci dà tanto, la prossima "nuova scienza" è la sociologia, grazie al nuovo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Arturo Parisi, una delle più fulminanti intelligenze analitiche italiane. Rischiano di rimanere spiazzati i nuovi intellettuali del Polo, Saverio Vertone, Lucio Colletti, Marcello Pera, Giorgio Rebuffa, Piero Melograni, i ministri della fede liberale, sacerdoti laici del centrodestra contrari a ogni mediazione, inorriditi di fronte a ogni sentore di inciucio, sbigottiti da ogni tentazione "consociativa". Forse è consigliabile per tutti un periodo di astinenza dal conflitto politico immediato. Se quindi si decide di partire per una breve vacanza (evitare Cuba, fa troppo Rifondazione comunista; bene invece la Germania, preferibili la Romantische Strasse e i castelli del Reno), è bene ricordare di mettere in valigia qualche libro fresco fresco. Per i nostalgici, i pidiessini in vena per l’appunto di romanticismo, Botteghe oscure, addio di Miriam Mafai. Per saperne di più sul Modell Deutschland, il saggio di Federico Rampini Germanizzazione. Come cambierà l’Italia. Bene anche Liberista? Liberale di Mario Deaglio, che spiega a puntino perché la secessione del Nord sarebbe più costosa del mantenimento del Sud. Come breviario per il buon governo assolutamente irrinunciabile è Un metodo per governare di Carlo Azeglio Ciampi. Ma se volete sbalordire tutti, anche i tedeschi e la Bundesbank, con la vostra competenza economica, citate la proposta formalizzata nel pamphlet Il miracolo possibile da Mario Baldassarri e dal premio Nobel per l’economia Franco Modigliani: risanare i conti pubblici e acchiappare Maastricht per la coda evitando quelle che Umberto Bossi chiama "manovrine e manovrone", concertazione alla Ciampi, programmazione dell’ inflazione a zero, planata clamorosa dei tassi d’ interesse, e il gioco è fatto. In vacanza, attenti anche al look: evitare lo stile "sinistra di governo", con abiti su misura da grandi magazzini. Meglio un’eleganza alla Michele Salvati, professore di economia sconfitto con onore da Silvio Berlusconi a Milano: finto-casual, molto british, a metà strada fra D’Alema e Tony Blair. Spettacolo. Bene Alba, Parietti naturalmente, anima pura e dura della coscienza di classe televisiva. Non male Simona Ventura, sulla cui purezza ideologica non si potrebbe giurare, ma che è garantita dal marchio alternativo della Gialappa’ s. Precipitano invece le quotazioni di Valeria Marini, ma non quanto quelle di Luca Barbareschi o, ancora di più, di Lando Buzzanca, merlo maschio improvvisamente riscoperto come intellettuale d’ area di Alleanza nazionale e altrettanto rapidamente dimenticato. Tra Bertolucci e Rosy Bindi Quanto al cinema, il vero autore del momento è Bernardo Bertolucci. Dopo avere tentato, vent’ anni fa, di fare il poeta epico del compromesso storico con Novecento, adesso potrebbe diventare il cantore crepuscolare dell’Ulivo con Io ballo da sola, un film che pur fra pudicizie e impudicizie, chiacchiere demenziali e personaggi e caratteri altamente improbabili, non è dispiaciuto nemmeno alla castigatissima Rosy Bindi. Quanto alla musica italiana, dopo avere accettato di prestare la sua Canzone popolare come inno dell’Ulivo, furoreggia Ivano Fossati, che ha appena pubblicato un nuovo album, Macramé, che rappresenta la sua produzione più deliberatamente impopolare. In buona posizione anche Claudio Baglioni, che di recente ha fatto sapere di essere di sinistra, mentre tutti lo consideravano il cantore gozzaniano della democristianità, e naturalmente il ricostituito duo De Gregori-Venditti. Da tenere invece d’ occhio con molta attenzione due o tre tipi altamente sospetti. Zucchero "Sugar" Fornaciari, che pur essendo reggiano come Romano Prodi ha dato spesso l’ idea di occhieggiare a Comunione e liberazione ("Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’ Azione cattolica"); Vasco Rossi, antiproibizionista – vedi caso – e cultore di Marco Pannella; e naturalmente Adriano Celentano, che era già berlusconiano in potenza trent’ anni fa: e per fortuna che nel Clan di allora, pur fra calzoni bicolori a zampa d’ elefante e canottiere a righe, non c’erano contesse né avvocati, ma solo Milena Cantù e, nella parte del cattivo, niente di più che Don Backy.

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