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CHE BELLO, GIOCHIAMO ALLA POLITICA!

01.02.1996
PRIMO PIANO

Cronaca. Durante l’inaugurazione del restauro degli affreschi di Masolino nella basilica romana di San Clemente, dalla folla che attorniava Carlo De Benedetti si è alzata la voce di una suora: "Ingegnere, mi deve fare un favore. Deve salutarmi Di Pietro". Naturalmente De Benedetti ha risposto: "sarà fatto", rendendo a suo modo esemplare, oltre che rivelatore, questo piccolo episodio. Vale a dire: se anche le monache hanno messo a fuoco che c’ è stata una telefonata politica fra Mister Olivetti e l’emblema di Mani pulite, e se di conseguenza una delle spose di Cristo non rinuncia alla tentazione di inserirsi in questa "liaison" telefonica, vuol dire che nel costume italiano è successo qualcosa. E’ successo semplicemente che le intercettazioni telefoniche e le rispettive trascrizioni divulgate dai giornali hanno reso evidente che il gioco della politica è diventato una pratica di massa. Ricordate quando gli "arcana imperii" erano custoditi occhiutamente dai partiti, dalle correnti, dagli attori principali? Adesso è crollata la paratia, ciascuno può pensare di salire sul palcoscenico: basta un cellulare, un’agendina, una rete di conoscenze. Tutto è diventato più facile, visibile, "partecipato". Nelle pause del processo di Milano, Silvio Berlusconi firma autografi e scherza con i suoi fan; Romano Prodi lo si può incontrare con il suo staff sotto i portici di Bologna, il tecnocrate Dini è, per il popolo, "er mejo fico der bigoncio" (parola di sua moglie). Di Pietro ha tanti amici che parlano e si agitano, De Benedetti ha una gran voglia di sapere che farà Romiti, se scende o non scende. Tutto molto pop – anzi, folk – una specie di circolo Arci della politica. Prima c’ erano i professionisti, gente che teneva in mano il pallino e non lo avrebbe mai ceduto a nessuno. Adesso, il trionfo del dilettantismo rende possibile a quasi tutti un quarto d’ ora di celebrità, magari sponsorizzata Telecom. Anni fa questo strato di politici di taglia media, avvocati, faccendieri, ma anche industriali, giornalisti, magistrati, politologi, si sarebbe limitato a scambiare commenti su ciò che avveniva nei sancta sanctorum romani, officiato dai grandi sacerdoti del potere. Ora invece non si commenta, si passa immediatamente all’ azione. Una telefonata allunga lo status. Fra un "sono qui con la Dellera" e un "abbiamo molti amici in comune" c’ è la possibilità di lanciare un complottino, una trametta, una macchinazioncina, oppure di bloccare un dossier, una rivelazione, un documento, e poi di fare circolare un’ipotesi, una congettura, un’illazione. Se poi va bene, ci scappa una strategia. Tutti i bricoleur della politica vanno a nozze. Nulla resta segreto. L’ oligarchia partitica sta diventando una perfetta democrazia telefonica. Durante l’ancien régime era la velina di Vittorio Orefice a rivelare le liturgie interne alla politica. Non ce n’ è più bisogno, la trasparenza è sovrana. Ai massimi livelli, Berlusconi telefona a Lucia Annunziata per avere il numero di telefono di Giovanni Sartori, e quella gli passa D’ Alema. Dialogo surreale: "Chi è?" chiede il Cavaliere. "E chi vuole che sia, sono io" risponde Baffino. Ma anche scendendo a livelli più medi, si ha la sensazione che tutto è diventato permeabile, tutti parlano con tutti, e l’eventuale reticenza è solo un espediente temporaneo per aumentare l’interesse di chi ascolta. E’ sufficiente portare in dote un’informazione o un pettegolezzo e si aprono i centralini, cedono le segretarie, si spalancano i Gsm. Dopo di che, con l’interlocutore, non si tratterà solo di scambiarsi chiacchiere e segretucci: no, su ogni chiacchiera si può costruire un progetto, allestire un abbozzo di squadra, dividere il mondo fra "noi" e "loro". In ogni caso, si entra subito a far parte del grande club. L’ unico dubbio, come al solito, è se vale davvero la pena di entrare in un circolo che accetti noi, e tutti loro, come soci.

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