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BOLOGNA La vita in città ai tempi di Vasco

19/11/2008
R2
IL RACCONTO
Arriva in libreria il nuovo libro di Enrico Brizzi che in sette brevi storie racconta con affetto e ironia la metamorfosi del capoluogo emiliano, i personaggi e le strade dove risuona l' eco delle canzoni del Blasco

Sette "epoche" per raccontare la lenta metamorfosi di Bologna. O sette romanzetti brevi per rendere epica, con una certa ironia, la vita dell’ autore. Sia come sia, è l’ ultimo libro di Enrico Brizzi La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco (che esce da Laterza, pagg. 182, euro 10). Brizzi è conosciuto per il clamoroso successo, a vent’ anni, del romanzo generazionale e manierista Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Poi ha pubblicato una serie di libri in cui sta facendo il possibile e l’ impossibile per mantenere il suo spazio nella narrativa italiana: l’ ultima sua recentissima prova, L’ inattesa piega degli eventi, uscito pochi mesi fa, è un ampio romanzo di storia ipotetica, basato sull’ idea che Benito Mussolini, come Francisco Franco, sia morto nel suo letto, in un’ Italia imbelle e placidamente fascista ben oltre il Ventennio. La prima caratterizzazione di questo nuovo libro è ambientale. Come tutte le città, infatti, ma forse più di diverse altre, Bologna è prima di tutto un paese. O meglio: una serie di paesi. Un paese di paesi. Ciascuno con una sua comunità e una sua identità, che persiste nonostante le modernizzazioni e le transizioni. Sicché il paese di Brizzi, un pezzettino del capoluogo emiliano fuori porta Saragozza, rappresenta al suo meglio la Bologna storica, dove in classe si canta Bella ciao, e dove i contestatori dell’ egemonia comunista sono tipi originali, che «hanno fatto il ‘77»: già, perché allora «gli uomini si dividevano in tre classi d’ età: quelli che avevano fatto la guerra, quelli che avevano fatto il ‘68 e quelli del ‘77, come se la maturità coincidesse fatalmente con l’ aver partecipato a disordini su media o larga scala». Lo stesso panorama umano della Bologna fiore all’ occhiello del Pci era ancora, al tornante del decennio Settanta, ben riconoscibile, senza bisogno di troppe sociologie: «Fra i quarantenni reduci del ‘68 si notava in città qualche socialista all’ arrembaggio, poi si percepiva la presenza di un po’ di repubblicani e d’ un discreto numero di controrivoluzionari sparso nelle parrocchie, di cui facevano parte anche i miei nonni e i famosi fratelli Prodi, spesso evocati come esempio di onestà e devozione al lavoro nonostante fossero democristiani». Ecco, in quella Bologna ancora "felix", sempre in testa alle classifiche nazionali della ricchezza, con i «comunisti in Mercedes e la gente in giro fino a tardi», la parola chiave era «partecipazione». La formula era semplice: «Tu partecipavi, e il Partito (senza bisogno di sponsor, all’ epoca) ci metteva l’ organizzazione». Eppure può anche capitare, dopo il celebre ‘77, che dopo i boy scout, la solida organizzazione comunista, i «visi pallidi» borghesi al Liceo Galvani, la tenuta sociale e civile della comunità, in una fantomatica via delle Bombe, nei pressi del Meloncello, a due passi dalla «monumentale eleganza» dello stadio Dall’ Ara, fissi la sua dimora un eccentrico, un deviante, un alieno, un figlio della notte: cioè Vasco Rossi, immediatamente riconosciuto come leader intellettuale e canoro che piace a tutta la sinistra, ai giovani come ai meno giovani, al padre di professione storico di Brizzi e ai suoi giovani assistenti, anche se ha tutto, fra coca e prigioni, per sembrare la negazione totale dello stile perbene di Bologna la Rossa: «Eh…», confida il Blasco anni dopo, «Se mi hanno messo dentro, evidentemente qualcosa di storto lo avevo fatto». In quella città, ai tempi di Bar Sport, può capitare di rincorrere Stefano Benni, l’ «arciscrittore» che pedala lungo via Farini, «la chioma simile a zucchero filato», semplicemente per confessargli un pensiero devozionale: «Volevo dirle che secondo me, lei è il più grande scrittore italiano». Sono storie affettuose, che mettono insieme il successo dei mostri sacri come Gianni Morandi, e di Lucio Dalla, di cui si commenta affettuosamente l’ eccentricità estetica e sessuale. Oppure raccontano la vita allegra, fra il quartiere Cirenaica e l’ Appennino di Pavana, del cantautore colto, il «maestrone» Francesco Guccini, e anche le apparizioni di alcuni cantanti ormai cinquantenni, abbonati alla nazionale cantanti, «di cui non avresti saputo citare una singola hit». E naturalmente la Virtus e la Fortitudo nel basket, e il Bologna calcio riscattato finalmente dalle prodezze balistiche di Roberto Baggio. Un paese. Dove si esce in bici verso i colli e si incontra Renzo Imbeni, e lo si saluta: «Buongiorno sindaco». Allora il modenese Imbeni «sorrideva con una cordialità che contrastava con i baffi austeri da dirigente di partito e, prima di sparire alle mie spalla, staccava una mano dal manubrio per ricambiare il saluto». Nella città che sarebbe stata ferita a morte dall’ attentato del 2 agosto, un alone progressista circondava il passato e un presente in cui risuonavano le cacofonie degli Skiantos e dei Gaznevada, e la sera potevi incontrare Pier Vittorio Tondelli, Freak Antoni, Bifo, ma pure il disegnatore Andrea Pazienza e «la ragazza più carina del caseggiato», Raffaella Bertolini, «che all’ anagrafe di nome faceva Miriam», e in seguito, con il nome d’ arte di Veronica Lario, sarebbe diventata la seconda moglie «di un milanese famoso senza bisogno di nomi d’ arte». Bologna è il paese delle meraviglie in cui le Torri guardano la libreria Feltrinelli e il bar Roxy, e in cui si può dare un esame con Umberto Eco, «il maestro», presentando una tesina sull’ universo semiologico degli 883. «Ognuno di noi era invitato ad analizzare un fenomeno culturale: poteva trattarsi del particolare epos di Corto Maltese, dello stile inconfondibile di una certa rivista o di una rassegna cinematografica (…) Diedi conto dello sbilanciatissimo, quasi imbarazzante, rapporto fra i due componenti della band, Max Pezzali e quel Mauro Repetto perennemente condannato a ballare sullo sfondo». Trenta e lode. I giorni felici, ai tempi di Jack Frusciante, quando Luca Carboni poteva guardarti di sbieco e chiedere, con la sua «celebre voce malinconica»: «Scusa ma tu sei Enrico Brizzi?», finiscono probabilmente con la caduta di Bologna nelle mani della destra, sotto il governo dell’ «ex presidente dei macellai bolognesi», Giorgio Guazzaloca, quando il Partito commise il suo «suicidio». Alla fine il «paesone» ritrova una parte di se stesso, anche se Sergio Cofferati si ritira. Anche se non c’ è più l’ incanto delle epoche magiche, resta l’ eco delle canzoni di Vasco, che ancora possono risuonare negli stadi o nella memoria, e forse fanno ancora un po’ di eco «sotto i portici pieni di musica della nostra città femmina».

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