gli articoli PANORAMA/

L’ INVISIBILE GUERRA DEI SOLDI TRA GIOVANI E ANZIANI

20.06.1996
ATTUALITA' ITALIA

Oltre a tenere in apnea i conti dello Stato, il debito pubblico ha anche effetti largamente perversi sulla redistribuzione del reddito. Le cose vanno all’ incirca così: se il bilancio statale, tolti gli interessi, è in attivo (il cosiddetto "avanzo primario"), e il deficit annuale è dato dal pagamento degli interessi sui 2 milioni di miliardi del debito pubblico, ciò significa che c’ è qualcuno che sta pagando affinché qualcun altro riceva. Cioè qualcuno paga in tasse e contributi somme di denaro di cui qualcun altro si appropria sotto forma di rendita sui titoli di Stato. L’ iniquità sociale di questo processo sta nel fatto che tendenzialmente i bassi redditi finanziano i redditi più elevati, il Mezzogiorno finanzia il Nord, e i più giovani finanziano implicitamente i più anziani. Queste informazioni sono tratte dalle analisi svolte in proposito da un economista dell’università Cattolica di Milano, Luigi Campiglio, su dati della Banca d’ Italia. Le cifre sono interessanti soprattutto per ciò che riguarda il rapporto fra componente giovanile e anziana della società del nostro Paese. Infatti i giovani fino a trent’ anni di età hanno una quota di reddito da capitale, sul totale familiare, del 18 per cento, quota che sale invece fino a oltre il 24 per cento quando il capofamiglia ha più di 65 anni. La situazione si complica se si tiene conto che "la spesa sanitaria si concentra, per evidenti motivi fisiologici, nelle classi di età più avanzate". Ciò significa che "i più giovani si indebitano con i più anziani ai quali trasferiscono simultaneamente sia risorse sanitarie sia interessi per il debito contratto". Ma tutto ciò resta nel campo delle grandezze macroeconomiche, cioè delle partite "invisibili" fra le generazioni. In realtà, se oggi c’ è una questione giovanile, essa si qualifica soprattutto in termini che potremmo definire non solo quotidiani e materiali, ma esistenziali. Si pensi che nelle grandi città del Nord, secondo le indagini più recenti, l’ età di uscita dalla famiglia d’ origine sfora la soglia dei trent’ anni: vuol dire che stiamo osservando una fase di paralisi generazionale. Se anche nelle aree del Paese a piena occupazione i giovani non riescono a emanciparsi dalla famiglia, significa che c’ è una condizione strutturale di crisi, che in parte è disagio economico e in parte è difficoltà psicologica e culturale. Si assiste infatti a una situazione contraddittoria e paradossale, in cui da un lato c’ è la sicurezza garantita dai genitori, la possibilità di ritardare l’ ingresso nel lavoro, il soddisfacimento assicurato dei bisogni marginali minimi, mentre dall’ altro si nota un’ acuta difficoltà di ricambio e l’ assenza di dinamismo sociale. Tutto questo con problemi e dilemmi praticamente irrisolvibili. Per esempio: dato l’ andamento demografico, apparirebbe essenziale prolungare la durata del lavoro, ma l’ innalzamento dell’ età pensionabile, mentre il tasso d’ occupazione è stazionario o in calo, non equivarrebbe a porre una barriera in più all’ entrata nel lavoro delle generazioni più giovani? L’ impasse generazionale che consente ai giovani di vivacchiare (nella famiglia d’ origine) in attesa del soddisfacimento delle loro aspirazioni è nello stesso tempo uno dei vincoli maggiori alla loro piena realizzazione sociale ed economica. D’ altra parte, per affrontare la vita autonoma c’ è da superare un dislivello economico immediato per molti aspetti scoraggiante. Nel caso più comune, non si tratta solo dell’ investimento iniziale per la formazione della coppia, ma soprattutto dell’ obbligo di affrontare, a regime, uno zoccolo di spesa che soprattutto nel Centro-nord risulta drammaticamente elevato rispetto ai redditi medi da lavoro dipendente. Si è anche accennato a una questione in senso lato culturale. Ed è questa: nel tempo si sono stratificate nella struttura di valori dei giovani una serie di aspettative in larga misura svincolate dalla possibilità concreta di realizzarle. Un lavoro gratificante, il benessere qui e ora, l’ integrazione rapida fra livello professionale e standard della vita non professionale (tempo libero, intrattenimento, vacanze) sono stati assimilati come obiettivi automatici, se non dovuti. Nel momento in cui invece tutto ciò si allontana, rimane solo l’oggi, con le sue gratificazioni vicarie: gli interessi giovanili si spostano sugli aspetti marginali del benessere, quelli che non implicano il coinvolgimento con gli obblighi sociali e professionali di medio-lungo periodo. I giovani vivono dunque in un presente eternizzato, senza investimenti sul futuro, in una condizione che tende a prolungarsi indefinitamente. Spezzare questa catena (vecchi che occupano la società e lo fanno per consentire ai giovani di restare giovani malgrado l’ età) costituisce uno dei problemi di fondo dell’ Italia contemporanea: perché da questa implicita collusione generazionale esce soltanto, come prodotto collettivo, una società bloccata.

Facebook Twitter Google Email Email