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Noi e loro

11/10/2001

Se si prende sul serio il fondamentalista Berlusconi, la discussione assume la solita piega epocale, fra il citatissimo scontro delle civiltà di Samuel Huntington, l’esorcismo contro il relativismo culturale di Angelo Panebianco, le distinzioni sulla "Kultur" di Massimo Cacciari. Se invece a inalberarsi è il segretario della Lega araba, la questione della superiorità dell’Occidente piglia una tonalità geopolitica aspra: tanta fatica nel costruire la coalizione con i regimi musulmani moderati, per vederla messa a rischio da una tirata provinciale. Nel merito, poi, la discussione è aperta, ci mancherebbe. Non c’è solo uno storico del valore di Franco Cardini a problematizzare, ad articolare, a spiegare la varietà della cultura islamica, nelle sue declinazioni di tolleranza. Per dire, che ne pensa il custode dell’ortodossia cattolica, il cardinale Ratzinger? «Per secoli la cultura dell’Islam è stata superiore alle altre forme socio-culturali, compresa quella cristiana». Relativista, Ratzinger? E ancora: le parole del papa, secondo cui l’odio, il fanatismo e il terrorismo «profanano il nome di Dio e sfigurano l’uomo», non sono d’inciampo a un altro cardinale di vertice, Sergio Sebastiani, nel ribadire la vocazione di Roma verso l’Islam: «La scelta della Chiesa è chiara: continuare, anzi intensificare il dialogo e l’amicizia con il mondo musulmano». Mettiamoci anche il cardinal Martini, che censura la tentazione di abbandonare il dialogo e spiega che va bandita «ogni semplificazione o generalizzazione», dato che «la denuncia del fondamentalismo violento presente tra alcune popolazioni islamiche non può condurre a ingiuste confusioni fra ideologia della violenza e religione musulmana», e il quadro, se non completo, è almeno riconoscibile. A maggior ragione se il cardinale di Milano aggiunge che «sofferenza e rabbia, con una crescente reazione da parte di chi è sfruttato ed emarginato, potrebbero sfociare in una pericolosa rivolta mondiale». Insomma non è, o non è solo, un confronto fra destra e sinistra, se è vero che Domenico Fisichella lancia moniti accademici al Cavaliere: «Ciascuno dovrebbe parlare in base alle proprie competenze». Gira e rigira, si torna invece al nodo della globalizzazione. Berlusconi aveva provato a coinvolgere i no global nella polemica sulla superiorità occidentale, segnalando la «singolare coincidenza» (un’espressione stigmatizzata da Adriano Sofri) fra mobilitazione antiglobale e raid terroristico. Il commissario europeo Mario Monti ha individuato un link simbolico fra le proteste di Seattle contro la World Trade Organization e l’attentato alle torri del World Trade Center. Due parole in comune, World Trade, e una sintesi tutt’altro che ovvia o rassicurante: «È chiaro che il fenomeno storico implicito è la globalizzazione e che queste sono due diversissime manifestazioni di disagio, di reazione, di odio nei suoi confronti». Ma non ci fosse stato il grido viscerale di Oriana Fallaci sul "Corriere", forse avrebbe prevalso come intonazione generale un atteggiamento sincretistico, magari il «castello delle ipocrisie» in cui Panebianco vede una classica inclinazione al disimpegno della «vecchia, cinica Europa». Ci voleva la sfrontatezza di una Mordecai Richler al femminile: «Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all’altra cultura che c’è? Boh! Cerca cerca, io non trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso… I suoi nonni, Illustre Signor Arafat, non ci hanno lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da millequattrocento anni mi rompono le scatole più di quanto i cristiani me le rompano con la Bibbia e gli ebrei con la Torah…». Dopo di che, il cosiddetto dialogo era pronto per essere tumulato. Punto e basta: se non fosse che l’apocalittica scorrettezza ideologica della Fallaci può indirettamente essere messa a frutto. Politicamente. Perché Berlusconi sarà anche apparso culturalmente inadeguato, nelle sue dichiarazioni, e anche in certi passaggi fin troppo confidenziali del discorso al Senato («I miei amici arabi e musulmani…», con il pensiero che corre veloce al principe Al Waleed); ma se dietro la polemica sul politicamente corretto e il politicamente scorretto si profilasse anche il politicamente utile? Non perché le argomentazioni del cardinale Biffi sulla necessità che lo Stato controlli l’immigrazione a favore dei più integrabili, cioè gli stranieri di matrice cattolica, abbiano avuto come riflessi diretti l’insulto «sporca araba» rivolto a una bambina egiziana a Grugliasco, i sigilli per le moschee "abusive" in Lombardia, o lo sparo con il flobert contro un algerino di una smarrita casalinga di Porta Palazzo a Torino. Ma perché la destra presunta "global" avverte il diffondersi del desiderio di protezione, e il clima sospettoso creatosi verso la diversità etnico- culturale. Dalla "superiorità" occidentale all’imprenditoria politica in chiave di chiusura nazional- populista il passo è lungo sul piano del governo, ma più breve come percezione delle paure e delle idiosincrasie della "gente". Dicono che Berlusconi è convinto che la grande maggioranza degli italiani la pensa come lui, sulla superiorità culturale. Può essere: fra il cielo della Weltanschauung e il terra-terra della produzione di consenso, fra la geo-strategia, «il nostro asse con il presidente Bush», e il cortile della politica, qualche nesso si può trovare.

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