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Il cordoglio per i caduti e il consenso politico

22/11/2003
COMMENTI

Un eccezionale cortocircuito mediatico, innescato dal trauma della strage di Nassiriya, ha immesso sulla scena pubblica l’ Italia che si raccoglie unita nel cordoglio per i carabinieri, i soldati, i civili uccisi in Iraq. L’ ondata di emozione è stata fortissima, e diffusa in tutto il paese. Ha trovato il suo acme nella ritualità di massa della cerimonia all’ Altare della patria. Ha coinvolto le istituzioni, le autorità e il popolo. E ha posto un problema, o diversi problemi. Chiediamocelo: esiste davvero una società, forse una nazione, che si unisce nel dolore? E che nel dolore trova ragioni di coesione tali da oscurare le divisioni politiche iscritte nella realtà politica italiana? La domanda coinvolge interpretazioni antiche e moderne del carattere italiano: è appena apparso nelle librerie un volume, curato da Ernesto Galli della Loggia e Loreto Di Nucci, che investe proprio le fratture politico-ideologiche che hanno segnato la storia italiana dall’ Unità a oggi. Il titolo del libro, pubblicato dal Mulino, è paradigmatico: Due nazioni. La tesi è che la vicenda nazionale sia attraversata da una serie di solchi che dividono i laici dai cattolici, i fascisti dagli antifascisti, i comunisti dagli anticomunisti, così come prima avevano diviso sanguinosamente la Chiesa dallo Stato liberale, gli interventisti dai neutralisti e i monarchici dai repubblicani. Si suppone quindi, su questo impianto logico, che la "delegittimazione" reciproca fra avversari abbia portato all’ impossibilità di modellare una collettività in cui le parti si accettino reciprocamente, e che alcune di queste fratture siano ancora presenti nella comunità. Viene da chiedersi allora se la folla che è affluita al Vittoriano possa rappresentare una smentita almeno parziale all’ eterno scontro di civiltà italiano, se non proprio l’ embrione di una identità in cui persone diverse politicamente possano riconoscersi. E verrebbe da domandarsi anche com’ è questa Italia solidale nella tragedia. Se esprime una tendenza politicamente accertabile, una tensione verso la dimensione comunitaria, se offre un modello di convivenza da cui la politica applicata abbia qualcosa da guadagnare. La risposta secondo cui si è trattato per larga parte di una deriva sentimentale, non dissimile nei suoi meccanismi dai funerali new age di Diana Spencer, e dalla partecipazione di massa alle esequie di Gianni Agnelli e di Alberto Sordi, sfiora un cinismo che tradirebbe la densità popolare delle manifestazioni di cordoglio. Semmai, non una visione cinica bensì il realismo suggerisce che il realizzarsi dell’ evento partecipativo (al Vittoriano, in televisione, in tutti gli spazi pubblici) ha fatto leva su alcuni aspetti prepolitici, che hanno esaltato l’ intensità retorica di quella cerimonia infinita. Il mormorio dei rosari recitati ogni mezz’ ora ha fatto simbolicamente da sfondo sonoro all’ incontro di Carlo Azeglio Ciampi con i congiunti in lutto. La selezione dei sostantivi nei titoli dei giornali ha scolpito in primo piano gli "eroi" e i "caduti" anziché le "vittime" di un attentato brutale. Ce n’ era a sufficienza per far prevalere la commozione sulla politica: anzi, la partecipazione della gente minuta alla liturgia nazionale e identitaria ha posto in secondo piano sia i riflessi politici che avrebbero potuto proiettarsi sulle 19 bare sia il sostanziale blackout comunicativo e politico del governo per tutta la durata delle manifestazioni. Non si è avvertito, nei giorni scorsi, se non in casi rari e politicamente inadeguati, lo stridore fra il giudizio popolare sulla guerra in Iraq e il pianto per l’ esito catastrofico di Nassiriya. La passione emotiva ha fatto premio sulla valutazione militante. Il tricolore si è affiancato alle bandiere arcobaleno rendendole meno conflittuali, meno ideologiche, meno antagoniste. Con l’ invito dal Campidoglio a esporre il vessillo nazionale nelle case romane, Walter Veltroni ha interpretato con una intuizione sottile un sentimento popolare che in quel momento rappresentava la tonalità dominante nel discorso pubblico. Ma è sufficiente tutto ciò per sostenere che è già in corso la riconciliazione fra le "due nazioni"? E, trasportando la domanda dalla storiografia alla materialità del conflitto politico sul campo, può essere questo l’ indizio che lo schematismo bipolare è una costruzione artificiale, che la conflittualità fra destra e sinistra è una faccenda tutta interna al Palazzo, mentre in realtà l’ Italia profonda è un Paese molto più unito di quanto non dicano le risse quotidiane a Montecitorio? Fosse così, saremmo davanti al maggiore successo politico del Presidente della Repubblica, dal momento che Ciampi ha sempre sostenuto che nella profondità della società italiana, nell’ Italia vera, non insidiata dal germe della mutua delegittimazione, la guerra civile fra gli schieramenti è un’ eco lontana, e le ragioni dell’ unità prevalgono ampiamente su quelle della divisione. Non è un caso che dal Quirinale il Capo dello Stato abbia sempre cercato di valorizzare questa unione profonda: preoccupato dalle lacerazioni che si manifestano al vertice, ha fatto il possibile per esaltare i simboli dell’ identità, dalla bandiera all’ inno nazionale, evocando di continuo l’ elemento comunitario che dovrebbe sterilizzare le asprezze dello scontro politico. In realtà, il fenomeno è stato largamente imprevisto. A priori si sarebbe scommesso più facilmente su una recrudescenza immediata del conflitto fra i sostenitori della missione irachena e tutto il larghissimo fronte antibellicista: e dunque ora è difficile formulare ipotesi unilaterali davvero convincenti. Piuttosto, conviene mettere sotto osservazione gli aspetti sicuramente positivi emersi nei giorni scorsi, come la consolazione di ritrovarsi serenamente italiani di fronte al dramma, e interrogarsi su quali saranno le conseguenze politiche che questo revival di sentimento nazionale può fare scattare. In sostanza, sarebbe il caso di chiedersi ancora quale sarà il destino politico della grande ondata d’ emozione. Chi sarà "l’ imprenditore" capace di trasformarlo in consenso e successivamente in patrimonio elettorale. Quale parte politica avrà la capacità di portare questa solidarietà comunitaria dentro un progetto politico congruente. Insomma chi riuscirà a comprendere sino in fondo le ragioni di una "società fuori squadra" (come la descrive il sociologo Arnaldo Bagnasco) che sta cercando, a tentoni ma con naturalezza, seguendo il proprio istinto, un proprio ordine psicologico. A prima vista, e considerando l’ esondazione retorica, negli ultimi giorni, della parola «patria», viene naturale pensare al centrodestra: nonostante gli strappi vertiginosi e contraddittori dettati da Gianfranco Fini, Alleanza nazionale sembrerebbe ancora il partito più in sintonia con questa richiesta di coesione nazionale. Il nome Forza Italia non ha bisogno di commenti in proposito, anche se il partito di Berlusconi, come ha segnalato Ilvo Diamanti nel suo ultimo libro, Bianco, rosso, verde… e azzurro, «evoca non la nazione, ma la nazionale». I centristi cattolici guidati da Marco Follini sono fra gli eredi della Dc, il «partito nazionale» di De Gasperi, che aveva aderito come una coperta alle pieghe della società italiana. Ma nello stesso tempo la Casa delle libertà comprende un soggetto evidentemente antinazionale come la Lega di Bossi, ed è tutto da vedere come possano conciliarsi la devolution e le pulsioni contro "los italianos" con la spinta all’ unità. E più in generale come il populismo berlusconiano, cioè il mastice ideologico del centrodestra, possa mettersi in sintonia con il popolo autentico, così come l’ istinto comunicativo del leader, di stampo televisivo e quindi generalista e sradicato, possa congiungersi con il patriottismo spontaneo del cuore. A sua volta, la questione diventa non proprio risolutiva, ma di certo critica per il centrosinistra. Perché come scrissero Giuseppe Berta e Bruno Manghi, la sinistra in Italia si è sempre caratterizzata per un atteggiamento negativo verso l’ italianità: ha indicato i vizi e non le risorse, ha deplorato i deficit di civismo senza valorizzare le doti spontanee del paese. è ragionevole pensare che nelle prossime stagioni politiche il consenso degli italiani che si sono sentiti accomunati da un sentimento comune dopo la tragedia di Nassiriya andrà più facilmente a chi dimostrerà di «voler bene all’ Italia». Sono meccanismi troppo elementari? Probabilmente no. Se ciò significa saper condividere gli umori del paese, interpretarne le sensazioni, parlare un lessico comune, il cammino del centrosinistra implica un bagno di umiltà, la comprensione partecipe di un futuro: in altre parole, l’ idea che il popolo non è una media aritmetica di viziosità connaturate, e il consenso non costituisce un atto dovuto per superiorità intrinseca; e per dirla tutta la qualità «riformista» non cala dall’ alto con la precisione fredda e astratta di una formula matematica.

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