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Dai Pacs ai Dico ai Cus ultima targa per non sposati

13/07/2007
COMMENTI
la polemica

In principio erano i Pacs, che hanno generato i Dico, da cui sono venuti i Cus. Questi ultimi sono i "Contratti di unione solidale", il cui testo è stato presentato ieri dal presidente della commissione giustizia del Senato Cesare Salvi al comitato ristretto della commissione, e che di fatto sostituiscono nell’ iter parlamentare il disegno di legge sui "Diritti e doveri dei conviventi" elaborato in avvio di legislatura da Rosy Bindi e Barbara Pollastrini. SEGUE A PAGINA 23 LOPAPA e POLCHI A PAGINA 4 Non è attraente come sigla, la parola "Cus", ha un che di sovietico, se non peggio: ma questo sarebbe il meno, perché alle sigle ci si abitua, come pure alla loro scomparsa. Il punto vero è che il dibattito che si svilupperà sui Cus riprende esattamente gli stessi termini della discussione che si era sviluppata sui Dico, senza che nel frattempo nessuno dei problemi che i Pacs all’ italiana intendevano affrontare sia stato affrontato. E così entrerà nel lessico sclerotizzato della politica un’ altra sigla a cui è poco prevedibile che corrisponderà un contenuto effettivo. Non si capisce infatti, o almeno non lo sa il cittadino comune, perché e dove si siano inabissati i Dico, ossia non si conosce con chiarezza la ragion politica e la ragion pratica che li hanno affondati. Né si intuisce per quale motivo i Cus dovrebbero avere sorte migliore nelle acque parlamentari. Si sa soltanto che come per molti fenomeni della politica di questi mesi, dal "tesoretto" allo "scalone", l’ apparenza è già pronta a sostituire la sostanza: la sigla prevarrà sul dispositivo di legge, l’ acronimo si trasformerà in un totem linguistico, il suono stesso della parola "Cus" in un simbolo che verrà brandito dalle schiere dei sostenitori e degli oppositori, in una specie di sterile stenografia del confronto pubblico. C’ è una capacità straordinaria, da parte della politica, nel produrre invenzioni che si sostituiscono ai fenomeni reali. Il disegno di legge Bindi-Pollastrini era una complessa tessitura di mediazioni politiche tese a riconoscere diritti individuali, sebbene derivanti dalla convivenza, senza istituire legami di tipo familiare. Che poi si concretasse nel grottesco di unioni sancite dall’ invio di una raccomandata con ricevuta di ritorno era la conseguenza di un arzigogolo fatto legge. Ciò nonostante, i Dico, anzi il fantasma dei Dico, ha avuto il privilegio di un’ opposizione durissima da parte della gerarchia cattolica, che li identificava come un matrimonio minore, e quindi una ferita all’ istituzione "naturale" della famiglia. Ma ben prima di scomparire nelle tortuosità dei rapporti fra governo e parlamento, l’ intelaiatura della legge era stata dimenticata nel dibattito pubblico. I Dico erano diventati una parola simulacro, o viceversa una parola esorcismo. Sostenere i Dico, come opporsi ai Dico, costituiva alla fine un esercizio in cui di solito l’ enunciazione suppliva integralmente all’ argomentazione. Nel frattempo, non uno dei problemi, talvolta penosi, che i fautori dei Dico volevano risolvere è stato affrontato. E non uno dei problemi che i detrattori dei Dico volevano affrontare invece con l’ estensione dei diritti previsti dal codice civile è stato risolto. Sicché si ha la sensazione di un gioco di prestigio: con una mossa a sorpresa spariscono i Dico; con un’ abile trovata appaiono i Cus; e all’ applauso dei laici integrali, o dei "laicisti", come li chiama la Cei, si unisce già la scomunica dei cattolici intransigenti, che non accettano "il matrimonio di serie B"; mentre i più radicali già rimpiangono che non sia stata presa in considerazione la soluzione più definitiva e forse più razionale, cioè l’ estensione del matrimonio civile agli omosessuali. Si avverte tuttavia un sentore di cinismo, forse involontario ma persistente, in questo gioco di sigle che si sovrappongono, scompaiono, riappaiono. Il carosello delle formule, Pacs, Dico, Cus, trasforma in un’ astrazione ogni dilemma implicito nella legge; la loro cancellazione dall’ agenda pubblica riduce a scenetta da teatro dell’ assurdo ogni eventuale drammaticità presente nella vita autentica delle coppie di fatto. A sua volta, ogni contraddizione istituzionale ma anche "filosofica", relativa alla regolamentazione delle unioni civili, viene annichilita: non serve a nulla porsi la domanda, certo irritante, se è giusto che a condizioni scelte soggettivamente, cioè a libertà, debbano corrispondere necessariamente dei diritti. Ciò che conta è far volteggiare un orientamento qualsiasi, a favore o contro, intorno alle bandierine dei Dico diventati Cus. Con la conseguenza implicita che se ogni volta si riesce a trasformare un problema empirico, e anche una questione etica e politica, in una sigla, ciò equivale a prendere la realtà e sfumarla in un miraggio. Che non è propriamente il compito della politica, ma è l’ espressione in cui si manifesta una qualità manipolatoria che riduce il messaggio al mezzo, e mortifica il cittadino a consumatore di slogan.

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