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UNA CRISI A BASSA INTENSITA’

05.09.1998

A volere una formula, la situazione politica è ancora riassumibile come una crisi a bassa intensità. Il centrosinistra infatti è attraversato da conflitti che coinvolgono più o meno tutti i partiti, ma nello stesso tempo è ragionevolmente improbabile che si verifichi un evento davvero traumatico. Si ha piuttosto l’impressione che tutta l’area che ruota attorno al governo, compresa ovviamente Rifondazione comunista e compresa meno ovviamente l’Udr, debba trovare un riequilibrio; e che il raggiungimento di questo equilibrio dipenda non tanto dalle intenzioni esplicite dei partiti e dei leader, quanto dalla loro adattabilità alle circostanze. Ciò significa che i movimenti di questi giorni sono per lo più inerziali, e che in giro c’è poca politica. Tranne che per Rifondazione comunista, che è in gioco come partito, non sono in discussione né orientamenti politico-ideologici cruciali né scelte di lungo periodo. Si tratta più che altro di assestamenti, nei quali contano interessi parziali, ma in cui le variazioni negli addendi non stravolgono il bilancio complessivo. Ci si aspettava che qualcuno prendesse l’iniziativa di dare uno scrollone, e si capiva che questo qualcuno non poteva essere Bertinotti: il segretario di Rifondazione si trova in una condizione con pochi sbocchi, con il partito alle soglie di una spaccatura brutale, con la poco brillante prospettiva di essere considerato il distruttore del centrosinistra, l’autore di un regalo storico alla destra, e tutto questo senza citare le serpeggianti minacce di ribaltino con l’Udr. Invece erano attese iniziative dalle parti di Massimo D’Alema. Perché era da troppo tempo all’angolo, e aveva bisogno di recuperare un ruolo qualificante, togliendosi di dosso i bruciori delle sconfitte. Ma ieri, con la riunione del coordinamento nazionale dell’Ulivo, anche D’Alema ha scelto il profilo moderato. Niente invenzioni troppo movimentiste. Si ricuce, si riprende a tessere. Dopo avere accennato a qualche avance verso Cossiga, D’Alema si è premurato di chiarire che sulla Finanziaria i voti dell’Udr sono benvenuti ma vanno considerati «aggiuntivi» e non «sostitutivi» rispetto a Rifondazione comunista. Il poco che D’Alema ha mandato a dire non è del tutto insignificante. Tradotto in chiaro, significa: malgrado un certo successo come entità parlamentare, l’Udr per ora è un contenitore virtuale; non ci sono in vista collassi del Polo che consentano nell’elettorato la reincarnazione neocentrista pilotata da Cossiga a svantaggio di Fini e Berlusconi; tanto vale che l’Udr si affianchi alla maggioranza, bilanciando simmetricamente Rifondazione e conferendo al centrosinistra quasi la dimensione di «governo nazionale». E con la gradevole prospettiva di consentire a D’Alema di poter giostrare con maggiore libertà, fare l’ambasciatore viaggiante su un arco politicamente molto esteso, di poter trattare senza pregiudizi sull’occupazione e l’economia con Bertinotti, e con l’opposizione alcuni temi come la riforma della giustizia. Qualche tessera ha già cominciato timidamente a sistemarsi. Prodi rilancia l’Ulivo proiettandolo verso le elezioni europee, e nello stesso tempo si prende perfino la briga di avanzare qualche inatteso messaggio distensivo all’opposizione. Il problema, adesso, è come si passa dalla crisi serpeggiante a una nuova stabilizzazione. Il percorso è complicato, incontrerà inciampi e difficoltà, ma non ha alternative razionali. L’area della maggioranza tende a estendersi, stemperando così le possibilità di condizionamento dei singoli partiti. Nello stesso tempo riprende vigore l’ipotesi del «patto sociale» proposto da Ciampi (che ieri ha trovato l’approvazione anche di Gianni Agnelli), cioè una riedizione del modulo neocorporativo della concertazione. Prodi ha parlato della prossima Finanziaria come di una legge «di rilancio» e «attenta all’equità», mandando così segnali a sinistra. Alla fine il puzzle domestico, per quanto irritante appaia la difficoltà della soluzione a tentoni, potrebbe effettivamente comporsi. C’è da chiedersi invece come sia possibile da un lato governare efficacemente (soprattutto in un momento mondiale che richiede credibilità politica e incisività operativa), all’interno di un’alleanza sempre più larga e fondamentalmente compromissoria. Oppure, su un altro piano, come si può perseguire l’obiettivo leggero della semplificazione e della flessibilità attraverso il macchinoso e pesante sistema della triangolazione fra governo, imprese e sindacati. Ma tant’è: se è vero che ha perso spinta propulsiva, l’Ulivo non ha perso affatto in estensione. Tende di nuovo a diventare un’alleanza-sistema, rappresentando e compensando al proprio interno il conflitto politico. Può essere proprio questo, il prezzo intrinseco della stabilità. D’altronde, dato che probabilmente la maggioranza può trovare il mezzo per neutralizzare Bertinotti, non si vede chi e dove sia qualcuno che abbia interesse a rompere. Eventualmente le tentazioni sono a entrare. E se il centrosinistra diventa «lungo», vuole dire che il suo sarà il tempo in cui si tratta tutto, di continuo: ma sempre sotto il segno del necessario e dell’inevitabile.

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