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TRA PAESE E PALAZZO

24.03.1998

Non c’è ragione per dubitare delle motivazioni con cui il presidente Scalfaro ha respinto la legge sul finanziamento dei partiti. Se il Quirinale individua e censura un aspetto eminentemente tecnico della legge, mettere in dubbio questa tecnicità significa fare della bassa dietrologia. Ma anche le iniziative più tecniche possono iscriversi in un contesto politico e possono avere effetti politici. Contesto ed effetti su cui vale la pena di soffermarsi. Innanzitutto perché il rabbuffo di ieri è stato forte e puntuale. È arrivato infatti dopo che si erano susseguiti appelli al capo dello Stato perché negasse la propria firma alla legge, e campagne d’opinione contro l’arroganza partitocratica della classe politica. Ora, lo stesso Scalfaro si è mostrato assai consapevole della delicatezza della materia. La questione del finanziamento dei partiti tocca un nodo cruciale del legame di fiducia fra i cittadini e i loro rappresentanti. Per questo il Quirinale ha cercato in tutti i modi di sterilizzare la sua decisione, facendo il possibile per evitare di rinfocolare sentimenti demagogici «di non favore, se non di ostilità» verso i partiti. Ma ciò che colpisce è la rivendicazione della sua funzione di garante della volontà popolare e delle aspettative della società civile. Si tratta di una sfumatura in più rispetto alla funzione di notaio della Costituzione. Ed è in quella sfumatura in più rispetto a un’interpretazione notarile che c’è tutto lo Scalfaro «presidenzialista» che abbiamo conosciuto. Cioè del protagonista politico che ha sospeso il bipolarismo e lo ha riavviato quando lo ha giudicato opportuno; che ha sollecitato ripetutamente le riforme costituzionali; che ha censurato gli squilibri fra magistratura e politica («il tintinnar di manette» di San Silvestro). Negli ultimi tempi, Scalfaro si è proposto a tutto tondo come il regista dell’intera fase politica. Con il discorso di fine anno, aveva chiarito che le riforme e il confronto politico si facevano con il materiale a disposizione, non con invenzioni estemporanee. Ora, collocandosi deliberatamente come cerniera fra cittadini e Parlamento, conferisce alla sua figura un elemento in più. Viene investito infatti dal soffio di sollievo e di popolarità che indubbiamente, magari per ragioni fraintese, la decisione di ieri è destinata a procurargli. E nello stesso tempo continua a presentarsi come il tutore dei partiti (fino a deprecarne gli errori per il loro stesso bene) e dello schema politico-istituzionale in corso. Questo profilo bifronte del Quirinale, garante della società civile e garante dei partiti, è una testimonianza della sua forza e della sua capacità esplicitamente politica. E agli occhi di chi lo osserva, dentro e fuori il mondo politico, sembra avvalorare, nelle secche del processo di rifacimento istituzionale, cioè fra il presidenzialismo vero di oggi e quello virtuale di domani, un leggero ma irresistibile tratto di insostituibilità.

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