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TELEVISIONE I nuovi bisogni dello spettatore in frantumi

19/11/2009
DIARIO DI REPUBBLICA
Dall' analogico al digitale, fino ai recenti decoder Che cosa accade al piccolo schermo? E come ci cambierà la vita? Ecco la rivoluzione catodica

Lo switch off è ansiogeno. Il passaggio al digitale terrestre uno stress. Il decoder una dissintonia. C’ erano state poche brevi stagioni di relax tecnologico, giusto per abituarsi al satellitare, ma poi per la tv è ricominciata la tensione trasformativa. A cominciare dall’ alta definizione, piccola mitologia domestica che non cambia la vita ma cambia i prodotti, o induce a cambiarli, forse con qualche sollievo per il mercato degli apparecchi nuovi, e con qualche complicazione vitale in più per chi riceve a casa il pacchetto muto di Sky. Il risultato è che uno strumento come il televisore, che per anni aveva attraversato l’ adeguamento tecnologico dell’ etere con estrema lentezza (al massimo il colore, come innovazione), ha cominciato a essere il centro di un cambiamento frenetico. Prima era un totem, l’ occhio permanente e immutabile del salotto, la finestra sul mondo oggettiva e riconosciuta come tale, «l’ ha detto la televisione», poi l’ oggetto televisivo ha cominciato a manifestare una improvvisa volontà di saltare in avanti. Grande balzo. L’ epoca catodica è alle spalle, con i suoi apparecchi voluminosi e profondi, e le sue immagini praticamente perfette per il mondo analogico. Arrivano il plasma e i cristalli liquidi, il formato 16: 9, non ancora metabolizzato dai programmi. Ma arriva soprattutto la proliferazione delle piattaforme e dei canali, che probabilmente non basta a decostruire il duopolio Rai-Mediaset e neppure a scalfire il conflitto d’ interessi di Silvio Berlusconi, ma è sufficiente a rendere informale e personalizzabile il palinsesto. La televisione comincia a diventare un ordigno che si modula a piacimento, e non soltanto grazie ai riproduttori di dvd e blue-ray. Non sono ancora in corso d’ opera a pieno titolo gli archivi televisivi di massa praticabili grazie alla banda larga, ma ci vorrà pochissimo. Al massimo occorrerà verificare se l’ aumentoa dismisura dell’ offerta determinerà una nuova fidelizzazione nello spettatore oppure una disaffezione progressiva. Grazie al desencanto televisivo si sa che si paga tutto. Vecchi strumenti finanziari come il canone della Rai sono sempre lì, anche in tutta Europa, e se non è il canone c’ è un sovraccarico pubblicitario così invadente da rendere i programmi insopportabili. Ma ci si è abituati a pagare i nuovi prodotti, e a considerare normale l’ obolo familiare per il calcio e i film. Il resto è marmellata televisiva classica, roba colorata che tracima dal teleschermo senza pretese né culturali né estetiche. Le conseguenze sui telespettatori sono virtualmente colossali. C’ è un "effetto di instabilità" che prende corpo a mano a mano che palinsesti e programmi si spezzano: alla fine non conviene a nessuno perdere tempo per seguire una trasmissione intera. Risulta più facile, e risulterà sempre più conveniente in futuro, approfittare delle risorse di strumenti per ora rozzi come YouTube e Google Video, con i quali si possono comporre memorie collettive di massa, che diventeranno sempre più facilmente praticabili una volta che si sia realizzata la convergenza fra la televisione e internet. Con tutto questo, e cioè con l’ emancipazione dalle scomodità inevitabili del computer, la televisione diventerà un autentico centro di possibilità tecnologiche e culturali. L’ internet "da divano" genera potenzialmente informazione, ma soprattutto intrattenimento: film da scaricare appena usciti, sesso di facile approccio, sport, musica, divulgazione scientifica, salute, viaggi, gastronomia. Un ventaglio di opportunità di cui non si colgono ancora al momento le valenze economiche complessive, ma di cuiè difficile ignorare le possibilità evolutive sul piano globale. Piuttosto, si tratterà di osservare fino a che punto la televisione del futuro sarà una tv inclusiva, e condivisibile sul terreno dei grandi numeri, oppure se si rivelerà una piattaforma a due livelli distinti. Pubblico e privato, élite e massa. Già oggi il cinismo dei tecnici del marketing televisivo li induce a parlare, come target di audience e pubblicità, delle "pensionate di Torre del Greco": per alludere in sostanza a un insieme di telespettatrici ultrasessantacinquenni, poco scolarizzate, fortemente esposte alla programmazione generalista, a cui si possono rivolgere perlopiù fiction sconclusionate, programmi pomeridiani irrilevanti e pubblicità di basso livello. Mentre al livello più elevato, dove i consumi di intrattenimento e il loro prezzo non costituiscono un problema, si verificherebbe il configurarsi della new television, con formati e format specifici, rivolti esclusivamente a un pubblico evoluto. Con questo si esaurirebbe quel ruolo in parte mitologico-ideologico, ma largamente sperimentato in Italia, che ha fatto della televisione una risorsa storica di integrazione nazionale (sul piano delle idee, delle convenzioni, del linguaggio, della pronuncia). Invece, nella prossima Biblioteca di Babele televisiva, lo specchio è infranto. Il colossale switch off a cui assisteremo nei prossimi anni produrrà la proiezione di una superficie enorme e spezzata. Prepariamoci alla televisione puzzle, con tutte le possibili ripercussioni di incongruenza fra le visioni frammentarie degli spettatori e quindi di sostanziale incomunicabilità fra le esperienze televisive. Attriti elevati fra competenze e informazioni "locali", contraccolpi conoscitivi e asimmetrie informative: forse nei nuovi decoder c’ è di mezzo addirittura qualche problema sul funzionamento della democrazia, a proposito delle idee da condividere nelle nostre società in via di disgregazione.

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