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Un calcio alla riforma

01/03/2007

Fa una strana impressione in questi giorni leggere le pagine sportive: ci si trova davanti a uno sforzo epico per riportare tutto a una specie di normalità. Già, ma di calcio giocato è difficile parlare, di questi tempi. Dopo la guerriglia di Catania, in cui è morto l’ispettore di polizia Filippo Raciti, gli stadi sono vuoti. Qualcuno perché non è in regola con il decreto governativo, privo dei "tornelli" e di adeguate misure di sicurezza; gli altri perché evidentemente non deve circolare una gran voglia di correre in tribuna. Mettiamoci anche la semplice ragione che il campionato di serie A è stato sepolto dalla supremazia dell’Inter di Massimo Moratti, tornata a vincere proprio nel momento in cui tutti gli altri perdono, assegnando così al torneo l’interesse zero. Quindi l’ambiente del calcio, dopo la sospensione dei campionati disposta dal commissario straordinario della Figc, Luca Pancalli, prova a trovare argomenti laterali per far finta di essere sano. Ecco le polemiche a distanza fra Capello e Ronaldo, la crisi balorda dell’allenatore del Real Madrid sotto il tiro dei tifosi, i programmi sempre stratosferici del Chelsea di Abramovich, l’autobiografia di Alessandro Del Piero, il quarantesimo compleanno di Roberto Baggio, il possibile arrivo in Italia di Ronaldinho e dell’altro Ronaldo, il ventiduenne divo portoghese Cristiano. Si capisce, il sistema calcio attraversa una tempesta cosmica; se il giocattolo dovesse rompersi sarebbero problemi per molti. Già uscire da Calciopoli era stata una missione impossibile. Era stato necessario ammorbidire, troncare, sopire, aggiustare, trovare compromessi, amministrare arbitrati, ridurre penalizzazioni. Alla fine tra i club più grandi se l’erano cavata tutti tranne la Juventus; in compenso il recupero di credibilità era diventato dubbio. Da quello choc era uscito il paradosso di un sistema malato ma capace di esprimere la Nazionale vincitrice del Mondiale in Germania. Tuttavia in seguito si era fatta strada anche la convinzione che né il commissario straordinario Guido Rossi né il supermagistrato Francesco Saverio Borrelli erano riusciti a rimettere nella legalità il mondo del pallone. Un muro di gomma, avevano detto Rossi e Borrelli. Resistenze, attriti, pressioni, giustificazionismi. Ciò che contava era tenere in piedi il carrozzone. Quindi, repulisti sommario, grandi condanne in prima istanza via via ridotte nei gradi successivi, e tentativo di seppellire il passato sotto una lapide di belle intenzioni risanatrici. Tutto questo senza che nessuno dicesse una parola sulle aggravanti accessorie e sugli sviluppi possibili. Ad esempio una conduzione amministrativa che non mancherà di provocare altri disastri, a cominciare dalle invenzioni contabili delle società, come le famigerate plusvalenze che hanno permesso di presentare bilanci altamente retorici (perché nel calcio la partita doppia è effettivamente doppia). Oppure un ulteriore scandalino-scandaletto di scommesse già emerso e che riaffiorerà da un momento all’altro, gettando altro discredito sui calciatori e sui campionati. Le varie storielle di doping, qualcuna gustosa come quella giustificata dalla fidanzata volonterosa con l’uso di una crema vaginale. Giri di cocaina e di sesso a casaccio qua e là. Anche il pettegolezzo ambientale su episodi da tre tavolette, come il dirigente che vende alla propria società per 80 mila euro le quattro cartelline del suo fantomatico "piano industriale" che aveva suscitato l’entusiasmo anche dell’ingenua Confindustria locale. E naturalmente esercitando ogni sforzo per eliminare ogni sospetto di collusione delle società con il tifo violento organizzato, accreditando per l’ennesima volta la favola secondo cui sono solo pochi teppisti a rovinare il campionato che fu il più bello del mondo: mentre in realtà tutti sanno, vedi il caso Lazio, che il tifo ricatta i presidenti e organizza cordate proprietarie alternative, oltre a defenestrare come al solito gli allenatori e intimidire i giocatori. Intanto, il 27 gennaio in provincia di Cosenza era stato ucciso Ermanno Licursi, dirigente della società dilettantistica Sammartinese; nei disordini di Catania c’era stata la tragedia di Raciti, colpito a morte durante gli scontri. Il presidente della Lega, Antonio Matarrese, si era distinto per una frase come minimo molto sfortunata, ma che esprimeva l’inconscio collettivo dell’ambiente, secondo cui i morti fanno parte del gioco e comunque lo show deve andare avanti, come in ogni Barnum. Detto fatto: lo spettacolo è ripreso, nella precarietà e in un clima raggelante, dopo che le autorità calcistiche europee avevano ampiamente stigmatizzato le condizioni degli stadi italiani. Ma il calcio naturalmente non può fermarsi: la rivoluzione è rinviata per impraticabilità del campo. Alla vedova del povero Licursi il bel gesto di un assegno di 480 mila euro, raccolti con una sottoscrizione fra i professionisti e i dilettanti (provvedimento analogo della Lega anche per la vedova del povero Raciti). Non basta? Non è la dimostrazione che il pallone in fondo è pulito? Lo spettacolo prosegue, dunque, con i giornalisti che riprendono a chiedere «potete davvero puntare al quarto posto?» e gli allenatori che rispondono secondo il Bignami: «Noi andiamo in campo ogni volta per fare la nostra partita, senza fare programmi». Quando la tensione si sarà attenuata, si comincerà a pensare al calcio mercato, alla stagione ventura, alle qualificazioni per i campionati europei. Si intensificheranno le diplomazie per avere in Italia gli Europei del 2012. Si celebrerà la resurrezione. A chi dirà che il gattopardo ha avuto ragione ancora una volta, e che si tratta solo di aspettare la prossima tragedia o il prossimo scandalo, si risponderà di non fare l’avvoltoio. n

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