gli articoli PANORAMA/

POLITICA L’ E’ MORTA?

05.10.1995
ITALIA
BIPOLARISMO ALL' ITALIANA / Perchè il valzer delle chiacchiere trionfa sui programmi

La morte della politica italiana è una successione di valzer ottocenteschi: avviene per mal sottile piuttosto che per infarto. Già adesso non appare più evidente perché mai ci sia uno scontro sulla data delle elezioni: votare? E per quale ragione? Il ribaltino è un ricordo lontano, la defezione di Bossi un’ ossessione remota. Sul profilo del bipolarismo si è stesa una nebbiolina che ingrigisce la promessa o la minaccia dell’ alternanza. Il celebre tavolo delle regole è una suppellettile pronta per il rigattiere. Ridotta ai suoi termini essenziali, la contrapposizione fra i poli appare come una guerra ideologica di cui si sono smarrite le ragioni, e in cui i contendenti lottano per inerzia. Per avere una democrazia competitiva, oltre ai poli in lotta per il potere occorrerebbe un’ offerta politica concorrenziale. Detto brevemente: un modello di società contro un altro modello di società; un programma contro un programma; un complesso di scelte contro un complesso di scelte. Troppo razionalistico, troppo illuminista, troppo ingenuamente schematico? Ma allora bisognerebbe anche spiegare all’ opinione pubblica che siamo ancora alle premesse delle premesse. Sparizione e ricomparsa nel calendario politico della data del confronto elettorale non sono il sintomo di una democrazia "sospesa"; sono piuttosto l’ origine di un vuoto sul quale il sistema politico minaccia di afflosciarsi a ogni istante. Per tenere in piedi una politica campata in aria, è necessario l’ impiego di una quantità enorme di risorse. Se si sapesse infatti con certezza che a una certa data il sistema politico impatta le elezioni, nel caso peggiore si assisterebbe alla preparazione di una guerra basata sul terrore antropologico di una parte verso l’ altra (nel caso ideale, è ovvio, in un’ offerta sul mercato politico di programmi alternativi). Mentre se il problema consiste nel tenere in bilico un ponte sul nulla, questo nulla andrà sostenuto da migliaia di mosse e contromosse tattiche, dichiarazioni, attacchi a parole e successive ritorsioni verbali. Contenuti, trallalà. Il Polo campa sull’ eco di un progetto, il Berlusconi’ s dream, a cui è mancato un pilastro (la Lega), con il solo effetto di rendere ancora più manifesta l’ irriducibilità fra le posizioni liberali che si agitano alla rinfusa dentro Forza Italia e il nazionalpopulismo in chiave borghesemente educata di Gianfranco Fini. Il centrosinistra si dibatte nelle difficoltà di D’ Alema. Ma ancora prima delle tegole di Affittopoli e dell’ avviso di garanzia spedito dal pm Carlo Nordio per l’ affaire Coop il modello politico-sociale proposto dall’ Ulivo per il governo del Paese era un oggetto indistinto. Per la storia, il centrosinistra è nato su due fattori "deboli": in primo luogo come risposta al Polo in termini pressoché resistenziali, dettata per automatismo ciellenistico dal terrore per Berlusconi; in secondo luogo, come un’ ipotesi politica di compromesso al minimo fra aree centriste e postcomunisti, di cui malgrado il passare dei mesi non si conosce il punto di equilibrio, di contrattazione tematica, di contenuto programmatico. Simmetricamente, il centrodestra rispecchia le contraddizioni intrinseche alle "tre moderazioni" che lo compongono, quella pressappoco liberale di Forza Italia, quella tardo-solidaristica dei postdemocristiani, quella nominalmente "sociale e cristiana", sospettabilmente centralistica e dorotea, di Fini e Tatarella. L’ assenza di contenuti rende leggeri, aerei, gli opposti moderatismi. I conflitti pesanti, di cui è prodiga l’ arretratezza del Paese, serpeggiano infatti fra i partiti in modo trasversale, senza trovare un punto di sintesi. Le concentrazioni sotto l’ ala di Gemina e Mediobanca incontrano la risposta a muso duro di An neutralizzata dal "benign neglect" di un Berlusconi in versione ironica ("Se l’ avessimo fatto noi, chissà che cosa avrebbero detto"); nello stesso tempo, il reclamo antitrust di Prodi viene smorzato dal realismo mica tanto socialista di un D’ Alema all’ improvviso più conservatore del suo leader centrista. Sull’ immigrazione, tema chiave, che investe direttamente la percezione dei cittadini riguardo alla sicurezza, alla convivenza civile, alla qualità della vita urbana, Forza Italia naviga a vista. Un atteggiamento in proposito ce l’ ha Alleanza nazionale, molto muscolare, e ce l’ ha la sinistra, come sempre irenico, ecumenico, buonista (Ernesto Galli della Loggia riesuma anche la voce "benaltrista", rievocando la classica propensione "gauchiste" a indicare soluzioni di qualità moralmente superiore senza mai specificarne limiti e strumenti). In sostanza, la politica italiana sembra fatta per un verso da gente che vuole passare alla storia pigliandosi il potere e rimandando al dopo, come un inevitabile fardello burocratico, l’ applicazione delle soluzioni; per l’ altro verso da gente che alla storia teme di passarci come irrimediabilmente bella e perdente (sulla bellezza ci sarebbe da dire, sul presagio della sconfitta sembrerebbe di no). In realtà, più che l’ ansia di passare alla storia ci vorrebbe la preoccupazione di passare coerentemente all’ agenda: cioè di individuare e mettere in fila "issues" e problemi, priorità immediate e provvedimenti di lungo periodo. Ma siamo dentro un cerchio stregato: si parlerebbe di programmi se ci fossero le elezioni; le elezioni non ci sono e quindi si parla autisticamente solo della data in cui tenerle. Capitasse per caso o per sbaglio un grande inviato della stampa americana, un puntiglioso giornalista anglosassone, educato alla religione dei fatti, prenderebbe nota diligentemente del grande dibattito fra poli e cespugli sulla scadenza elettorale. Ma poi allestirebbe una lista di problemi al cui confronto il ruvido giudizio di Theo Waigel sulla credibilità europea dell’ Italia apparirebbe come una fredda certificazione notarile. Gli si potrebbe dare una mano, e impegnargli il taccuino con alcune stenografiche annotazioni. Risanamento dei conti dello Stato: prosegue il supplizio di Sisifo della riduzione del deficit, compromesso al momento buono da un puntuale rialzo dei tassi per le traversie della lira sui mercati internazionali. Pubblica amministrazione: permane un livello di prestazione premoderno (e come ormai tutti hanno capito, e come insegna Affittopoli, l’ inefficienza è la madre di tutti i privilegi). Nord e Sud: ovvero massima occupazione contro alta disoccupazione, ripresa produttiva contro ristagno tendente al peggioramento, possibilità di festosi raid nell’ export contro ripiegamento autarchico, legalità a rischio contro criminalità organizzata. Si possono poi aggiungere, ma così, per dovere d’ ufficio, delle sottosezioni storiche sulle riforme da fare o sulle riforme da riformare. La scuola, il fisco, la sanità pubblica, la giustizia. A essere volenterosi ci si concederà un cenno sulla democrazia economica, magari per ricordare che per fare due, tre, dieci Mediobanche occorre una colossale smobilizzazione del risparmio attualmente ingabbiato nei Bot, nelle ritenute alla fonte o nel trattamento di fine rapporto. E se proprio si vuole strafare si potrà dedicare una paginetta del taccuino alla prospettiva europea: il rientro nello Sme, che presuppone una razionalità del cambio tale però da inibire il vantaggioso dumping nei confronti dei cosiddetti partner; la conferenza intergovernativa del 1996 che ridiscute Maastricht (vedi alla voce "trattato di", sottoscritto nella cattiva coscienza di non rispettarlo e con la malcelata intenzione di ricontrattarlo per "contare di più in Europa", cioè facendo capire rumorosamente che l’ Europa non deve contare su di noi). Una noia mortale, cari i miei anglosassoni. Molto meglio lasciar perdere agende e taccuini e tornare in famiglia. Per la nostra singolare nevrosi, per il nostro peculiare ibrido di paranoia e schizofrenia, è più divertente sedersi in platea a osservare il teatrino. Dove eravamo rimasti? Neocentrismo, par condicio, conflitto d’ interessi, articolo 138, Mattarellum e Tatarellum, presidenzialismo, sfiducia costruttiva. E al primo che prova a nominare qualcosa che avviene nella realtà, non nelle battute della commedia, un avviso, naturalmente per garanzia: guardi che lei sta sbagliando spettacolo, melodramma, film, giornale, paese. Sta sbagliando tutto. Perché anche se la signora, cioè la politica, muore, il sipario non cala, domani si replica, "the show must go on". Edmondo Berselli, saggista, editorialista e vicedirettore della rivista Il Mulino, è uno dei più attenti osservatori della vita politica italiana.

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