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PARTITA INFINITA

25.10.1998

Pace, innanzitutto, ai tifosi di buona volontà. Juve-Inter non è una rivincita, è solo un altro capitolo del loro duello infinito. La qualità essenziale del calcio è che a ogni stagione si riparte: i veleni dell’anno prima, le iniquità arbitrali, i rigori negati possono essere evocati solo dai viziosi del rancore. A mente fredda, un tifoso anche ragionevolmente fanatico dovrebbe ripensare a quella famosa entrata primaverile di Juliano su Ronaldo come a uno di quegli accidenti della storia di cui sono piene le cronache. L’importante è ricominciare; tutto il resto è storicamente «il passato di un’illusione». Magnifica illusione, naturalmente, una delle poche ancora coltivabili senza revisionismi. Anche perché il bipartitismo rappresentato da bianconeri e nerazzurri è uno dei meno imperfetti fra quelli sperimentati in Italia. Non si conoscono passaggi da uno schieramento all’altro, ribaltoni, trasformismi, e i «ladri di tifo» non hanno cittadinanza calcistica. Si diventa juventini o interisti obbedendo a misteriose alchimie antropologiche e psichiche, e non si cambia mai. Ciascuno poi interpreta la propria juventinità o il proprio interismo a proprio modo. L’amore tribale per una squadra è la somma di scelte infantili, e quindi potentissime, di decisioni irrazionali, e perciò indiscutibili. Per questo, Juve e Inter sono due storie parallele che si cristallizzano in due dogmi distinti e distanti. Quella bianconera è un’Italia condannata a vincere, e che vive la sua condanna con una tensione perenne, con una sottile e continua sofferenza che grazie al cielo (e grazie ora a Platini ora a Del Piero) trova rimedi di eccezionale efficacia. I suoi sostenitori si sono abituati a una squadra che non è la più forte: semmai è quella che vince di più. La differenza sembrerà capziosa, ma in essa si situa l’apprensività juventina, quella sensazione di fondo che fa apparire dovuti i successi, più dolorose le sconfitte, e inquiete perciò le aspettative. Il partito interista è tutt’altra cosa. Dai tempi eccelsi ma lontani di Suarez e Mazzola, per capire l’umore dei tifosi dell’Inter converrebbe leggere ciò che lo scrittore inglese Nick Hornby ha detto di sé in quanto tifoso dell’Arsenal (per decenni squadra avarissima, sgraziata, perfino dolorosa): «la condizione naturale del tifoso è un’amara delusione». L’Inter è una squadra che ha fatto soffrire i suoi sostenitori, è riuscita a dare corpo a tutti i loro timori, ha fatto angosciosamente avverare le previsioni più disastrose. Finché non è arrivato Ronaldo, cioè l’Asso, o l’Assoluto. Un giocatore che fa tornare la voglia di fare il tifo, al di là di ogni amarezza passata presente e futura. Che ha ridato agli interisti l’orgoglio di dichiararsi interisti. E di sfidare la Juve, una volta di più, in questo nuovo confronto autunnale: con i bianconeri che continueranno a lottare, per loro eterna condanna, e i nerazzurri a sperare, contro il passato della loro delusione.

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