gli articoli PANORAMA/

OLIMPIA SHOW

25.07.1996
SPECIALE

Chissà in quale parte dell’ etere, in quale nodo del network, in quale anfratto o "sito" del villaggio globale si trova Atlanta. Sono Giochi mondializzati, trasferiti in presa diretta, mentre accadono, su un software che li frulla in immagini del grande show, li spettacolarizza e li ha già venduti. Per favore, non citare De Coubertin: come dicono gli americani, il secondo posto in una competizione non è la conquista della medaglia d’ argento, è la perdita di quella d’ oro. L’importante è partecipare solo se si rovescia il motto e lo si applica non ai concorrenti ma al pubblico, la platea universale riunita dalla televisione davanti alle liturgie della grande gara e nella contemplazione del tappo a corona della bibita più famosa del mondo elevato a sesto cerchio olimpico. Partecipiamo, quindi. Ma dimentichiamoci le Olimpiadi silvo-pastorali dei decenni passati. Già Seul, 1988, era la proiezione mondiale di uno spettacolo "asiatico", quindi remoto, caricato di mito proprio perché inaccessibile e nello stesso tempo diramato come evento totale dovunque ci fosse un occhio del grande fratello. Piccola battuta d’ arresto, Barcellona 1992, così europea, così vicina, così riconoscibile e casalinga. E oggi ecco la definitiva collocazione dei Giochi nel santuario della Cnn, nella patria della Coca-Cola, due emblemi del mondo simultaneo, la comunicazione che satura lo spazio-tempo contemporaneo e l’impresa-impero senza confini. Viene un nodo alla gola a pensare alle Olimpiadi di Roma, 1960, ai leggendari duecento metri di Livio Berruti, quando dalla curva della pista un volo di piccioni catturato dal bianco e nero della tv segnalò l’ auspicio della vittoria, con Gianni Brera praticamente impazzito sulla tribuna-stampa, travolto dall’ emozione, che preso da un furor misterioso si mise a straparlare lingue dimenticate. Sentimentalismi premoderni senza importanza. Sono lontane anche le Olimpiadi "politiche" del mondo bipolare, quello che scatenava i boicottaggi, con l’ atletica come prosecuzione della Guerra fredda con altri mezzi. Semmai oggi i Giochi sono una manifestazione da "fine della storia", esattamente secondo il vaticinio di Francis Fukuyama, in cui tutti gli avvenimenti si distendono su un orizzonte opaco e senza rilievi. Eppure, mai sottovalutare il fattore umano: c’ è da scommettere che ancora una volta, anche ad Atlanta, scatterà il prodigioso ricatto dell’ emozione. Perché è vero che queste Olimpiadi di fine millennio sono un fenomeno che qualsiasi semiologo può facilmente decrittare, smontandone il congegno e rivelandone la perfezione di macchina del nulla che produce un palinsesto universale; e che qualsiasi esperto di economia può indagare mostrandone i tratti di business paranoico. Sarà una produzione di show a mezzo di show, e anche un kolossal pubblicitario, un congegno mercantile in cui il budget conta certamente più della prestazione, e la merce conta più dell’ uomo (ahi ahi, c’ è il serissimo rischio di risentire l’ eco del Barbapapà di Treviri). Tuttavia, come tutti i giochi di società, e la società globale non fa eccezione, non appena si entrerà nella loro logica le Olimpiadi faranno scattare la loro implacabile regola. No, non il citius, altius, fortius dello stereotipo classico. Piuttosto la strana capacità di connettere un evento globale alle dimensioni della passione locale. Vogliamo scommettere, innanzitutto, che basteranno pochi giorni perché il riflesso pavloviano della gara induca gente insospettabile ad appassionarsi a discipline sportive esoteriche, che affiorano alla visibilità solo ogni quattro anni, per poi precipitare di nuovo nell’ oblio? E fosse solo questo. Ma sullo sfondo del mondo virtualizzato dalla tv, cominceranno a prendere forma i residui delle passioni nazionali. Basterà poco per accendere entusiasmi domestici e assai poco mondiali: un lottatore di greco-romana che arriva in semifinale, una nuotatrice in finale, un marciatore semisciancato che se la batte con messicani, russi e portoghesi, una schermitrice che infilza allegramente rivali ungheresi e tedesche. L’ identità nazionale entra in cortocircuito, sprizza scintille, pompa adrenalina, induce alle tachicardie proprio in quanto sullo schermo tv un esemplare spicciolo di italiano (un Forrest Gump della Padania, del Nord-est, del Centro, del Sud) compete con atleti stranieri sullo sfondo del Barnum multimediale. Fra l’ individuale e il globale Siamo tutti lì, sospesi fra l’individuale e il globale, come se il mondo si fermasse per qualche istante in questa antitesi. D’ altra parte, si possono sterilizzare le emozioni solo perché vengono capitalizzate da uno sponsor? Se Michael Johnson vincerà 200 e 400, voi penserete al marchio delle sue scarpe? Ma no. L’ unico modo per resistere alla giostra della mercificazione è assistere allo spettacolo "come se" fosse soltanto sport. E’ un’ operazione tutto sommato ironica: i poteri forti dell’economia impongono il grande show, e noi ce lo godiamo come se fossimo sulla tribunetta di uno stadio. "Loro" credono di venderci un logo, un prodotto, il carattere di feticcio della merce, e noi compiamo il gesto (esorcistico, profilattico) di trattare tutto questo come competizione, come divertimento e come dramma. L’ unico rimedio alla grande massificazione consiste infatti nel reindividualizzare tutto. E’ una modesta ma perversa vendetta. Perché alla fine, quando verranno stilati i bilanci, ci verrà detto che l’ unico vincitore sarà questa o quella corporation. E noi sapremo invece che avrà vinto un miserabile piccolo grande uomo fra i gli oltre 10 mila atleti in gara. Con il quale, in spregio al marketing o al merchandising avremo vinto anche noi e voi, per i quali, proprio come per il ragionier Fantozzi, la cocacola, alla faccia della pubblicità più patinata, serve solo per assicurare serate a rutto libero. Sorry, Atlanta. DOMANI ACCADRA’ Quelle di Atlanta si annunciano come le Olimpiadi più televisive della storia. "Panorama" vi offre, invece, nelle immagini di queste pagine, un’ interpretazione radicalmente diversa. David Burnett, uno dei più grandi fotografi del mondo, ha fermato lo spirito dello sport con una vera acrobazia tecnica: una macchina fotografica a grande formato e a un solo scatto. Nella foto a fianco, sollevamento pesi femminile: anche se si tratta di gare molto seguite, sia dal vivo che, soprattutto, in televisione, questo sport non è ancora stato ammesso fra le discipline olimpiche. Il riconoscimento, richiesto da numerose federazioni nazionali, è atteso, probabilmente, per le prossime Olimpiadi: Sydney 2000. PROVA DEL NOVE Quest’ anno non sarà facile per i ginnasti conquistare il 10, voto della perfezione. Ad Atlanta infatti entrano in vigore nuove regole e nuovi criteri di valutazioni in molti sport. Nella ginnastica non ci saranno più i punteggi da 1 a 10: l’ atleta partirà da un punteggio base (9.0 per gli uomini e 9.4 per le donne) al quale si aggiungeranno o toglieranno punti secondo errori o bravura. Il pentathlon moderno non si disputerà più in cinque giorni ma in uno. Nella pallamano gli allenatori avranno a disposizione per la prima volta il time-out. Nel tennis, tranne la finale, gli incontri saranno al meglio dei 3 set. Nel nuoto è stata introdotta la staffetta 4×200 donne. Ultima novità, ad Atlanta debutterà il calcio femminile. NUOVI SPORT DA MEDAGLIA I tre nuovi sport di Atlanta, softball, beach volley e mountain bike, sono un omaggio del Comitato internazionale olimpico (Cio) agli organizzatori americani. Le tre discipline, infatti, sono molto popolari negli Stati Uniti e vedranno come protagonisti assoluti gli atleti americani. Softball. E’ una variante, più veloce, del baseball e, ad Atlanta, sarà giocato solo dalle donne: 8 squadre di 15 giocatrici con favorite d’ obbligo Usa, Australia, Cina e Giappone. Differenze con il baseball: la palla è più grande, le distanze tra chi la lancia, chi la deve colpire con il bastone e chi la riceve sono più corte di un terzo, il fondo del campo non è erboso, ma di cemento. Beach volley, o pallavolo da spiaggia o outdoor. Solo vent’ anni fa, questo sport era giocato, da dilettanti, sulle spiagge della California del Sud. Oggi il beach volley è uno degli sport più popolari nelle tv Usa, gli incontri attirano sulle spiagge anche 50 mila persone e il campione americano Karch Kiraly è il primo giocatore ad aver vinto, in carriera, più di 3 miliardi di lire soltanto sulle spiagge. La differenza sostanziale con la pallavolo è che i giocatori in campo, invece di sei, sono due. Altra differenza: ogni 5 punti c’ è un time out per controllare sole e vento. Mountain bike. E’ la prima volta olimpica del ciclismo cross-country: due corse per 50 uomini e 30 donne, selezionati in base ai risultati del campionato del mondo ‘ 95 e dei campionati continentali. Il percorso di Atlanta non è severo: qualche collina e molti ostacoli, anche artificiali, non basteranno, secondo gli esperti, a evitare un arrivo in gruppo, fatto rarissimo in questo sport.

Facebook Twitter Google Email Email