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NOI UNA POTENZA SPORTIVA?

08.08.1996
STORIA DELLA SETTIMANA
MEDAGLIE - UN BILANCIO VERO SOTTO LA PIOGGIA DI ORI E ARGENTI

Successi, medaglie di tutti i metalli. Ma sarà poi vero che lo sport olimpico rivela l’ identità profonda di un popolo? In questo caso si potrebbe anche ironizzare a man salva. Fin qui i trionfi azzurri si sono registrati soprattutto nella scherma, nel tiro con pistola e carabina, nel ciclismo. Di qui a dire che l’Italia di Atlanta è una nazione che ha fatto tesoro di certe sue vocazioni storiche il passo è per fortuna lungo. Altrimenti varrebbe la boutade antropologica secondo cui hanno trionfato i tagliagole, i cecchini, i ladri di biciclette. Cioè l’ Italia che nei suoi cromosomi storici ha una propensione irredimibile all’ assalto e al tradimento, all’ imboscata, al furto e magari al ribaltone. Invece si può dire molto più prosaicamente che si è affermata un’Italia degli individui. Gente oscura, che riemerge alla notorietà ogni quattro anni, felice di sorprendere l’ opinione pubblica e poi disposta a riprecipitare nell’ anonimato e nella fatica per altri quattro anni. Non è molto italiano come schema, per la verità. Il che potrebbe significare che c’ è un’ Italia piuttosto sommersa che conserva il gusto dell’ impegno, senza pretendere l’ onore delle cronache, salvo sfogarsi poi a denti stretti contro gli idoli del calcio, che inanellano figuracce consolandosi con il pensiero rivolto al conto corrente e dicendo "zitti voi che siamo noi a mantenervi". Ma le Olimpiadi sono ormai da tempo un Barnum troppo grande per risultare una misura significativa del quoziente sportivo di una società. Se ci fosse un italiano che vince a sorpresa nel badminton o nel tiro con l’ arco, che cosa faremmo per queste vittorie in discipline marginali, esalteremmo forse la maturità sportiva della collettività? Il gigantismo olimpico ha portato alla ribalta discipline piuttosto astruse, se è vero che in futuro assisteremo anche ai tornei di biliardo: ma sarebbe singolare parlare di potenza sportiva a proposito del panno verde. Quando non è il frutto di un’ applicazione singola e maniacale, in molti casi il successo olimpico è il risultato della compattezza di organismi federali, che riescono a massimizzare con la passione le poche risorse e il numero limitato di praticanti. In questo senso, Atlanta darà all’ Italia un albo d’ oro di tutto rispetto. Ma se c’ è uno specchio del potenziale sportivo di una nazione, questo dovrebbe essere l’atletica leggera. E’ nell’ atletica che si vede la capacità di drenare la società e di "produrre" esemplari umani capaci di rivaleggiare col mondo. Sotto questo profilo ciò che in altre discipline meno importanti risulta un pregio (il semiprofessionismo, o il semidilettantismo), e che conferisce alla prestazione olimpica un che di autenticità, di spontaneità, di freschezza, nell’ atletica contemporanea risulta un handicap insuperabile. E non vale accampare come linea di difesa una medaglietta, certo esaltante sul piano individuale, ma meno significativa sul piano collettivo, in qualche disciplina minore. Il fatto è che se si guarda alle grandi gare, quelle che danno il tono a un’ Olimpiade, gli italiani passano in seconda o terza fila. Viene quindi l’ idea che il nostro Paese sia nella fascia alta dell’ albo olimpico soprattutto nelle medaglie di consolazione, cioè quelle che premiano i concorrenti più bravi fra gli umili, dove conta una miscela programmabile di abilità, di talento e di applicazione. Insomma, se uno prende il vincitore olimpico e nuovo recordman mondiale dei cento, il nero canadese "faccia-di-gomma" Donovan Bailey, può ragionevolmente immaginare che sia davvero il più veloce al mondo. Mentre un ciclista come Sergio Martinello, vincitore dell’ individuale a punti, o un ragazzone esploso tardivamente come l’inseguitore Andrea Collinelli, sono certamente ottimi atleti, ma nessuno può pensare che siano in assoluto i migliori sulla Terra, dal momento che esistono sicuramente sprinter più veloci e mezzofondisti o cronometristi più dotati. Anziché pensare in termini di potenza sportiva, conviene quindi prendere i Giochi sul serio: vale a dire come giochi, e come gioco. Di più, come gioco televisivo. Solo così si può capire perché misteriosi comitati olimpici stiano pensando di escludere dal regno dei cinque cerchi una disciplina nobile come la scherma, perché "rende poco" in tv (viene in mente la battuta del cinico cameraman al papa: "Santità, il bianco spara") e progettando l’ ammissione del biliardo, che vedi caso una sua dimensione televisiva effettivamente ce l’ha. Il cultore di sport Gianni Mura ironizza auspicando l’ inserimento nel programma delle freccette e del calciobalilla. Ma dal momento che ormai, nel tempo dello sport come show, nessuno rivendica più l’ esercizio sportivo come un indicatore di civiltà o di emancipazione, non c’ è nulla di male a concepire Olimpia come la sede di "Giochi senza frontiere".

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