gli articoli LA STAMPA/

METAFISICI DESTINI QUESTO E’ IL CATALOGO

09.04.1998
TUTTOLIBRI
PENSARE CON I PIEDI

È un titolo, «La solitudine dell’ala destra», che solleva echi non proprio misteriosi. Osvaldo Soriano, innanzitutto, dato che ogni giocatore, per motivi inerenti al destino metafisico del calcio, è sempre «solitario y final», con un fondo inevitabile di tristezza sudamericana anche quando (o proprio perché) «pensa con i piedi». Oppure, se si preferisce restare in Europa, si sente un richiamo a Peter Handke, alla solitudine e anzi all’Angst, la paura, l’angoscia inesplicabile del portiere prima del calcio di rigore. Destino metafisico, si diceva. Sì, perché è molto dubitabile che i giocatori esistano empiricamente. Sono piuttosto trasfigurazioni di immagini, realtà che si fissano nella memoria, che continuano a esistere anche dopo il termine della carriera, e questa loro esistenza è dovuta solo a una loro specialità, a qualcosa che ne definisce per sempre, e a furor di popolo, e anche a loro insaputa, l’unicità. Sivori esiste ovviamente per il tunnel, Corso per la foglia morta, Gigi Riva per la devastante potenza del sinistro, Rivera per il «tocco in più» a cui lo consegnò Oreste del Buono: e così via. Fernando Acitelli ha individuato questa specie di magia paranoica del football e dei suoi eroi, consegnandoli a una descrizione che li tramuta poeticamente in stemmi, in icone, in simboli. Simboli di che cosa, boh. Probabilmente simboli, ognuno di loro, di un’ossessione individuale che alla fine si condensa in un tic, li imprigiona in un vizio, li fissa in un’immagine definitiva ed enigmatica, intuibile ma non spiegabile. La solitudine dell’ala destra, non a caso, è una magnifica formula che allude a qualcosa che abbiamo pensato tutti, anche se non sapremmo dire effettivamente che cos’è. Per sfuggire alla solitudine cui è condannata, l’ala destra non ha altra speranza se non di svicolare verso il centro con la finta prodigiosa di Garrincha, o di svolazzare con la felicità di un cardellino come Hamrin. Ma al destino, soprattutto se metafisico, non si sfugge, mai. Ogni calciatore, dal più grande al più piccolo, finirà inevitabilmente in un catalogo: conservato da entomologi strani, che ne ricordano e ne descrivono i comportamenti, le virtù come le pecche, i dribbling e i tackle così come le leziosità e le concessioni al look e alla maniera (ah, quel Bobby Charlton, «Impegnato ad accudire il riporto dei capelli», e quel Roby Baggio, «Talento di raso vestito, palleggio erudito, tocco infinito, fanciullo ferito»: sintesi mimetiche, ma più vere del vero, così come ogni figurina Panini, lo sa benissimo Veltroni, è più autentica del campione o del comprimario che raffigura). Il catalogo di Acitelli consente a tutti noi di commisurare le sue percezioni, le sue memorie e le sue sintesi con le nostre. Mica sempre le memorie e i dettagli collimano. Ognuno, nel calcio, ci vede quello che crede di vedere o di avere visto. Dopo di che, il piacere del confronto, e del ricordo, si rinnova ogni volta, perché così vuole anche il nostro destino.

Facebook Twitter Google Email Email