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La fabbrica del volo Il "non scrittore" che batte Dan Brown

03/12/2009
R2 CULTURA
Appena uscito, il suo ultimo libro ha già stracciato Dan Brown. Ecco perché vende tanto

NELL’ ULTIMO weekend il romanzo di Fabio Volo Il tempo che vorrei, ha venduto più di tre volte del Simbolo perduto di Dan Brown. Guerra totale di bestseller in casa Mondadori. Non ce n’ è per nessuno, nelle graduatorie, né per le Donne di cuori di Bruno Vespa né per Ammaniti, De Luca o Camilleri. In sé e per sé il successo di Volo è spiegabile storicamente soltanto su base empirica. Le classifiche sono classifiche. I tabulati sono tabulati. L’ ex Iena, partner di Simona Ventura, ha accumulato negli ultimi sette anni centinaia di migliaia di copie di vendita. Il giorno in più, il suo libro precedente (2007) era arrivato al milione, comprendendo la pubblicazione in paperback e le edizioni Club del libro. Tutti gli altri volumi, fra le 650e le 800 mila copie. Una decina di traduzioni all’ estero, Spagna, Germania, Russia, Francia, comprese anche Turchia e Albania, più altre annunciate per la prossima primavera. Più fenomeno di così si muore. Spiegabile, inspiegabile, impagabile, invidiabile. Trentasette anni, bergamasco di nascita e bresciano di elezione, ex panettiere ed ex barista, insidiosa calvizie incipiente, barba cortae compensativa: «Sono un non scrittore», si autodefinisce. «Sfogo in ogni modo una sorta di creatività, una ricerca di equilibrio, un bisogno di benessere». Aldo Grasso ha detto di lui che qualsiasi cosa faccia « se sent la vanga, la provincia che avanza». Se è per questo Fabio Volo è stato anche un non cantante, un non presentatore, un non attore, un non protagonista televisivo: «Non sono originale, ma sono autentico, senza filtri». Facinoroso successo su Radio Deejay, con il personaggio di Zia Leti. Partecipazioni con discrete critiche a film come Manuale d’ amore 2 di Giovanni Veronesi e Bianco e nero di Cristina Comencini, con Ambra Angiolini. In passato, una serie di successi dance cantati in italiano per il mercato europeo, perché qualcosa per campare si deve fare, fino a quando Claudio Cecchetto non lo porta a Radio Capital. Non è neppure un Moccia, non cammina tre metri sopra il cielo, non è oracolar-sentimentale. Sembrerebbe piuttosto uno baciato da una sorte glocal, dal genio della provincia abissale che entra nell’ economia mondo, dotato di un carisma indefinibile ma che si sovrappone con immediatezza al gusto del pubblico. Fra chi lo frequenta, il giudizio è semplificatorio: «Piace alle donne perché le fa ridere». Le rassicura. E gli uomini? Mistero glorioso, come tutti i carismi autentici. Come non scrittore ha avuto l’ audacia di mettere in exergo a Il tempo che vorrei una citazione di Cortázar e una di Borges («Ho commesso il peggiore dei peccati che possa commettere un uomo. Non sono stato felice»). E poi di esordire così: «Sono nato in una famiglia povera. Se dovessi riassumere in poche parole che cosa significhi per me essere povero, direi cheè come vivere in un corpo senza braccia davanti a una tavola apparecchiata». Si potrebbe facilmente parlare di trash letterario o di grado zero della scrittura, se non fosse che invece funziona alla perfezione un "effetto specchio" verso il pubblico: qualsiasi lettore, completato il romanzo di Fabio Volo, si convince che quel libro avrebbe potuto scriverlo lui, provando le stesse sensazioni, avendo letto gli stessi libri, visti gli stessi film, amate più o meno le stesse donne, combattuto battaglie maschili con gli stessi amici della sera. Con qualche incursione nell’ immaginario soul meno prevedibile: «"I’ ll trade all my tomorrows for a single yesterday…" cambierei tutti i miei domani per un solo ieri, come canta Janis Joplin». O per rifugiarsi in menù da cena perfetta, secondo la penultima moda della seduzionea sfondo gastronomico: «insalata, riso basmati e un’ orata nel forno, con patate e pomodorini Pachino». Il suo romanzo è diviso sostanzialmente in tre parti. Uno, la vita erotica del protagonista, Lorenzo. Due, la sua vita di lavoro. Tre, il ricordo della vita famigliare, con il padre infilato ogni volta in iniziative commerciali fallimentari, bar troppo costosi, cambiali nel cassetto, creditori alle porte, e sempre in attesa di un responso su una malattia grave, un adenocarcinoma, ma forse operabile; non ci dovrebbe essere dramma nell’ universo di Fabio Volo. Sotto l’ aspetto sentimentale, ogni capitolo riporta un amplesso, una sessualità acrobatica, un cunnilinctus, un profumo intimo, un orgasmo o due o tre. Con alcune ossessioni sulle donne, eccitate dalle teorie ormonali degli amici: «Ma che cazzo ne sai tu di queste cose? Ma poi che cos’ è il progesterone? Un animale preistorico che vive nelle caverne?». Con teorie maschiliste enunciate lì per lì nelle conversazioni dettate dalle consuetudini virili: «Per noi uomini è più facile. Tra uomini la domanda è: "L’ hai scopata?". Tra donne, invece: "Ma secondo te ti richiama?». E poi aforismi a iosa, «L’ amore è come la morte: non si sa quando ci colpirà». Scene di ordinaria vita quotidiana e di fastidi reciproci con la morosa: «Il rumore che faceva quando deglutiva. Al mattino quando aveva freddo e tirava su con il naso. Quando lasciava aperto il frigorifero. Quando masticava le fette biscottate. Quando con il dito pigiava le briciole a tavola e poi infilarsele in bocca…». Naturale che poi lei sposa un altro, anche se come in una canzone di Lucio Battisti viene da lui al mattino per un’ ultima inferocita sessione d’ amore. Mentre lui nel frattempo è diventato un genio della pubblicità e ha creduto di poter leggere l’ Ulisse di Joyce «perché ritenevo che, avendo studiato l’ Odissea alle medie, sarei partito avvantaggiato» (poi il suo mentore lo fa ripiegare su On the Road di Kerouac «L’ ho letto in due giorni e quando ho incontrato Roberto gli ho detto: "Ma questo nonè un libro, questa è vita"»). Pura vitalità anche l’ esistenza al limite di Fabio Volo? «Vado a Barcellona come a New York perché l’ Italia mi sembra un paese immobile: politici vecchi, telespettatori vecchi, imprenditori vecchi. È più facile diventare una rockstar che aprire un’ impresina». Ecco forse il segreto. Fabio Volo, da pronunciare e scrivere sempre con nome e cognome: uno qualunque. Il volto, di uno qualunque. Il talento, di uno qualunque. Lo stile, idem. E il suo libro, il manifesto inesorabile dell’ Italia qualunque.

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