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IL SINDACATO NELL’ ERA DELLA NON – INFLAZIONE

07.11.1996
STORIA DELLA SETTIMANA
TEMA DEL GIORNO

Si diceva che l’ inflazione, l’ iniqua tassa sui poveri, è la lotta di classe condotta con altri mezzi. La definizione alla Clausewitz sintetizza efficacemente gli effetti redistributivi perversi dei processi inflazionistici. L’ inflazione infatti è un "tiro alla fune" sociale che vede schierati da una parte coloro che possono resistere, attraverso le manovre sui prezzi, la rendita finanziaria o il possesso dei beni che si rivalutano, e dall’ altra tutti coloro che invece devono rincorrere il costo della vita, e che malgrado le resistenze assistono al logoramento quotidiano del loro potere d’ acquisto. Ma ora la prospettiva si è rovesciata. Dovremo abituarci a vivere in una realtà "tedesca", tendenzialmente senza inflazione. In attesa di abituarci a questa situazione stazionaria, c’ è qualcuno che è chiamato a ristrutturare profondamente il suo ruolo politico e la sua presenza nella società. E`, inevitabilmente, il sindacato. Il quale per anni ha potuto sistemare il suo quartier generale proprio nel cuore del processo inflazionistico, da dove offriva ai suoi rappresentanti illusione monetaria: cioè il miraggio di riacchiappare la scia dei prezzi con gli incrementi nominali di stipendio. Era una leva generatrice di distorsioni; ma per capire il rilievo che aveva nella strategia sindacale basti pensare alle reazioni che provocò lo sbrego di Bettino Craxi sulla scala mobile, e che portò alla rottura dentro la Cgil e al referendum perdente del 1985. Invece oggi, mentre il governatore della Banca d’ Italia Antonio Fazio tiene una severa linea ispirata alla volontà esplicita di stroncare l’inflazione, e mentre l’ Europa di Maastricht si profila come un’ area a inflazione tendente a zero, davanti al sindacato si profilano questioni inattese. Dal momento che non sarà più possibile proporsi ai propri rappresentati come i tutori del reddito nominale, e che non appare prevedibile – almeno nel medio periodo – che si tratterà di agire per assicurare la redistribuzione di una ricchezza in crescita, per il sindacato si configura la necessità improrogabile di darsi una strategia alternativa. Nell’ attuale fase intermedia il sindacato è stato uno dei pilastri della concertazione. Ciò significa che la sua azione si è risolta in un faccia a faccia con il governo e gli imprenditori, centrato soprattutto sul controllo dei volumi macroeconomici. Tuttavia, la concertazione non può durare all’ infinito; funziona nelle fasi di terapia intensiva, ma a lungo andare non può governare dal vertice tutte le differenze settoriali dell’ economia. Ci sono settori infatti che guadagnano produttività, e in cui non si possono comprimere le spinte alla redistribuzione dei vantaggi conseguiti, mentre altri settori viaggiano a rilento. Rappresentare unitariamente tutto il mondo del lavoro, dal settore pubblico prigioniero della propria struttura burocratica al settore privato messo alla prova dalla concorrenza sul mercato, è ormai un’altra illusione. Per questo servirà a poco una posizione difensiva. Se vorrà avere una chance nella futura società senza inflazione, il sindacato dovrà trovare il modo di rispondere a necessità reali. Non gli servirà a nulla agire a tutela delle nicchie corporative, grandi e piccole: al di là di inevitabili problemi di equità, nel faccia a faccia con il governo risulterà sempre più efficace la posizione dei partiti "estremi" come Rifondazione comunista. Ci sono invece alcuni campi d’ azione in positivo, nei quali il sindacato si giocherà la sua rappresentatività sociale. Sono gli ambiti della formazione, dell’ occupazione e della ristrutturazione dello Stato sociale. Perché la formazione è un tema cruciale per rendere possibile la qualificazione (e la riqualificazione) della forza lavoro rispetto alle rivoluzioni dell’ apparato produttivo. Per l’ occupazione c’ è la necessità di un’ indagine radicale, e quindi di una presenza attiva sul territorio, per favorire tutte le opportunità di "job creation" fuori dalle rigidità esistenti. Quanto infine al problema del welfare state, c’ è l’ urgenza di recuperare un riferimento nei ceti che effettivamente subiscono il peso maggiore dell’ impatto con il mercato. Quest’ ultima è effettivamente una scelta drammatica, che riconduce a un principio di selettività rappresentativa. Il sindacato non sarà più il sindacato di tutti. Ma nel momento in cui il rischio che si configura è quello di una crescente divaricazione fra le classi, sarebbe un’ altra illusione rivendicare la rappresentanza e la protezione di un esteso e indistinto ceto medio, tentando semplicemente di fare opposizione vischiosa alla dinamica di differenziazione già in atto.

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