gli articoli L'Espresso/

Il divoorzio breve nellla Casa delle libertà

10.04.2003

Sono passati sedici anni da quando la legge sul divorzio fu modificata, portando da cinque a tre gli anni che devono passare fra la separazione e il divorzio stesso. Dal 1987 a oggi, cioè da quando la riduzione del periodo di attesa venne approvata (con il voto favorevole della Dc), la società italiana ha vissuto una specie di rivoluzione, nei valori, nel costume, nelle abitudini. Quindi, l’ulteriore modificazione, avanzata dalla parlamentare ds Elena Montecchi, che riduce a un anno il periodo fra separazione e divorzio, ha l’aspetto di una semplice iniziativa di adattamento delle norme alla realtà e alle esigenze delle persone. Tutti i motivi che vengono segnalati a favore del nuovo intervento legislativo appaiono ispirati alla ragionevolezza: la durata teorica dei tre anni di attesa si allunga a dismisura nella prassi, fino a toccare i sei-otto anni; le coppie disintegrate sono costrette a sopportare il peso di una sofferenza psicologica e materiale che nel caso della parte generalmente più debole, le donne, si può tradurre in ingiustizie e autentiche vessazioni; i labirinti burocratici impediscono la stabilizzazione delle nuove coppie formatesi dopo la separazione, e i ritardi si ripercuotono in modo umanamente critico sulla possibilità di avere figli nell’ambito di una nuova unione civilmente regolata. Tutto ciò considerato, è ovvio auspicare che la trasformazione legislativa avvenga con rapidità, e anzi si può presumere che in sede parlamentare la nuova norma trovi un’ampia maggioranza trasversale. Eppure l’iniziativa di legge ha incontrato immediatamente davanti a sé un muro di obiezioni. In parte prevedibili, come nel caso delle critiche provenienti dall’"Osservatore romano", puntate sull’"assurdità" del cambiamento legislativo, o da parte del presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, che ha denunciato il tentativo di rendere «ancora più fragile la tutela giuridica della stabilità del matrimonio». Le parole di Ruini sono studiate con accortezza, nel senso che reclamano la protezione non di un valore religioso (l’indissolubilità), bensì un bene sociale (la stabilità delle famiglie). In questo senso, risulta difficile accusare il presidente della Cei di integralismo. Tanto più che in Parlamento l’opposizione alla legge-Montecchi è rappresentata non tanto dal partito di esplicita ispirazione cattolica, l’Udc, quanto da esponenti politici appartenenti ai due partiti estremi della Casa delle libertà, ossia Alleanza nazionale e la Lega, da cui si alzano voci che invocano la difesa della famiglia. Ora, che esistano ancora punti di vista secondo cui la famiglia va difesa mantenendo la difficoltà di divorziare, magari fino al punto di difendere famiglie già disintegrate, sembrerà una bizzarria. Ma è una bizzarria apparente, che rivela qualcosa di significativo sulla concezione della società e della libertà che alligna in alcuni settori del centrodestra. Al punto che l’ipotesi di riduzione dei tempi, e del danno postmatrimoniale, non è nemmeno un test di laicità a cui viene sottoposta la classe politica italiana. È più semplicemente un test di saggezza comportamentale, una prova della sua capacità di leggere e comprendere la realtà sociale del nostro paese. Certo, risulterebbe paradossale se un’alleanza politica propostasi come l’interprete della modernizzazione italiana scegliesse su questa materia una posizione reazionaria, magari neanche palese, semplicemente facendo attrito, introducendo emendamenti, paralizzando tortuosamente l’iter legislativo. Elena Montecchi ha parlato di una misura di civiltà; ma può darsi che non sia nemmeno il caso di richiamare parole così impegnative. Basterebbe richiamarsi alla razionalità, alla trasparenza, all’efficacia intrinseca delle norme. Mentre i suoi oppositori dovrebbero spiegare quale idea dell’Italia hanno in mente: un paese che cura gelosamente l’idea organica dell’indissolubilità famigliare? Una società di valori antichi da custodire in una specie di serra? L’impressione è che fra le mura della Casa delle libertà, a dispetto di Popper e nonostante tutto, ci sia ancora qualche occhiuto sostenitore della società chiusa

Facebook Twitter Google Email Email