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IL CONFINE TRA POLO E LEGA

07.03.1998

Ormai tutto fa pensare che la politica in Italia si giocherà con il bipolarismo che c’è, non con iniziative di palazzo o con operazioni virtuali. Ciò comporta un tasso minore di fantasia, ma qualche dose in più di prevedibilità e realismo. Il bipolarismo che c’è non è il migliore dei mondi possibili, ma è sempre meglio della destrutturazione che sarebbe necessaria per renderlo perfetto. A questo punto, sgonfiatasi malamente l’iniziativa di Cossiga, e mentre sul versante opposto non appaiono troppo promettenti e convincenti nemmeno le prospettive politiche di Antonio Di Pietro, conviene pertanto tenere d’occhio l’area critica più evidente, che è inevitabilmente quella su cui sono disegnati i confini del Polo e della Lega. È una zona critica perché è la sola che può movimentare la situazione politica. Finché il Polo e la Lega, e soprattutto Berlusconi e Bossi, rimangono divisi, il centrodestra è scarsamente competitivo sul mercato politico. Il Polo può modulare la sua opposizione in varie tonalità, ora rincorrendo rumorosamente la protesta e ora presentandosi in veste più moderata: ma con poche possibilità di presentarsi come un’alternativa credibile al governo Prodi-Ciampi e ai risultati di tenore europeo che ha ottenuto. Il centrodestra, quindi, può tornare in gioco esclusivamente se viene eliminata l’ultima anomalia «di sistema» ancora presente nel nostro paese. Solo che questa impresa è una delle operazioni più acrobatiche, e quindi rischiose, che si possano tentare. In teoria si tratterebbe di applicare il sillogismo di Tremonti: la secessione l’ha già fatta l’Europa, portandosi via la moneta e altri segmenti di sovranità; pensare di fare oggi un’operazione ottocentesca come la secessione, mentre il potere reale si sta spostando verso organismi sovranazionali, è un puro anacronismo; ergo, tolto di mezzo il totem secessionista, forzisti e leghisti si possono mettere nuovamente insieme sulla base di un robusto progetto federalista, dimenticando l’infelice esperienza del 1994. Si tratta di un’ipotesi politicamente razionale, dal momento che al Nord gli elettorati della Lega e di Forza Italia sono, se non identici, molto omogenei. Rappresentano infatti ceti sociali largamente insoddisfatti del rapporto con lo Stato, che si sentono soffocati nella loro iniziativa, timorosi di perdere benessere privato e competitività sui mercati. Inoltre va considerato il fatto che gli elettori di Lega e Forza Italia sono rimasti orfani dei partiti che li rappresentavano, e in questo momento avvertono una estraneità al circuito politico talmente drammatica da lasciare quasi solo ad atteggiamenti di opposizione irriflessa. E dunque che cosa ci vuole per fare scattare la scintilla che farebbe unire questi elettori accomunati perlomeno da «istinti di mercato», se non da una cultura politica programmatica? In realtà non è così semplice. Ciò che la sociologia unisce, spesso la politica divide. Tanto più nel caso della Lega e del Polo, e non solo perché c’è un conflitto naturale fra la concezione separatista di Bossi e il nazionalismo di Fini. Proprio quell’identità di fondo così evidente fra leghisti e forzisti rappresenta in realtà al momento buono un ostacolo insuperabile. Perché la durata del Carroccio come entità politica è garantita solo dal mito della secessione: se infatti scompare il separatismo, la Lega diventa inutile, in quanto si tramuta in una variante popolana di Forza Italia; e se il movimento di Berlusconi rinuncia alla sua funzione nazionale, quasi niente la rende riconoscibile rispetto alla Lega. Quindi, secondo le logiche non sempre immediate ma ferree della politica, in realtà Lega e Forza Italia sono piuttosto in piena concorrenza reciproca. Vale per loro quello che si diceva valesse anni fa per il Pci e il Psi: sono come due porcospini, se stanno lontani muoiono di freddo (e all’opposizione di questi tempi il gelo è micidiale), ma se si avvicinano si pungono. È probabile perciò che le danze di Maroni e di Fratini, come quelle di Berlusconi e Bossi, condotte a base di concetti come la «devolution», siano scandite da interessi difficilmente negoziabili. La Lega ha interesse a fare uscire dal guscio i forzisti, favorendo tensioni centrifughe, in attesa che la crisi di leadership e di ruolo di Forza Italia si accentui; Forza Italia ha un disperato bisogno di trovare una leva che le consenta di sbloccare la propria paralisi. C’è un punto solo, al di là di qualche sperimentazione nel voto locale, in cui gli interessi così simili e così diversi dei due partiti si possono saldare: ed è in Parlamento, contro il compromesso raggiunto nella Bicamerale. Certo non sarebbe difficile indurre Bossi a fare saltare la friabile architettura costituente. Resta da vedere se Berlusconi può avere il coraggio di sbaraccare tutto, riforme, legislatura e magari il Polo stesso. Inutile dire che è un’ipotesi così audace da sfiorare l’avventurismo: e in una prospettiva politica, cioè di consenso da raccogliere, è tutto da vedere se un paese coinvolto in un impegnativo confronto con l’Europa ha davvero voglia di avventure.

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