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E LA CHIAMAVANO LOBBY CONTINUA …

15.08.1996
ATTUALITA' ITALIA
BLOW UP

Può essere davvero centro lobbistico permanente Lotta continua, se durante la sua esistenza storica si diceva che era "uno stato d’ animo"? Non si fa molta strada a interpretare il movimento che ebbe per leader Adriano Sofri come una rete annodata su solidarietà opache, tenuta insieme da una lealtà tenace e grigia. Dire che cosa riunisca oggi lo stesso Sofri e un altro scrittore come Erri De Luca risulta difatti indecifrabile, a meno che non si voglia trovare nella scrittura, nelle parole, nell’ uso non di rado estetizzante della lingua, una sorta di ossessione condivisa. Naturalmente non è solo lo stile che viene rimproverato agli ex di Lotta continua. L’ accusa di lobbismo investe piuttosto coloro che oggi hanno un ruolo nel giornalismo e nella politica, la pattuglia dei Gad Lerner, Paolo Liguori, Enrico Deaglio, Marco Boato, Luigi Manconi. Accusa che fu ripescata in coincidenza con il primo processo Sofri sull’ assassinio del commissario Calabresi e che si è ripetuta con il riemergere del caso Rostagno. Forse per riuscire a capire che cosa accomuna in questo momento persone in realtà molto differenti, spesso schierate su frontiere politiche contrapposte, è opportuno prendere alla lettera ciò che ha scritto Gad Lerner sulla Stampa. Lerner, infatti, ha osservato che vale per alcuni suoi ex compagni una qualità particolare, formatasi proprio nell’ esperienza vissuta dentro Lc: si tratta di una competenza peculiare, una conoscenza della "tecnica della politica", che ha indotto taluni di loro ad accettare di fungere da consiglieri del Principe – non importa poi chi fosse il Principe, e se fosse di destra o di sinistra – nella convinzione di riuscire a evitare il coinvolgimento, cioè di mantenere integra, malgrado tutto, la propria capacità di giudizio e di scelta. Lerner ha parlato di "spregiudicatezza": quella che ha consentito (a Sofri e Deaglio) di trattare con Claudio Martelli il lancio del quotidiano Reporter, o a "Straccio" Liguori di lavorare con Indro Montanelli al Giornale, per poi diventare il gestore della linea sbardellian-andreottiana al Sabato e, dopo avere tentato al Giorno una disperata resistenza contro gli exploit del pool Mani pulite, assurgere finalmente ai Fatti e misfatti della tv di Silvio Berlusconi. Ciò che per molti versi è curioso è la contiguità lobbistica continuamente richiamata dai giornali con altri uomini pubblici, come Paolo Mieli e Giuliano Ferrara, che non hanno mai militato in Lc. L’ attuale direttore del Corriere della sera ha avuto infatti un’esperienza nell’ ambito di Potere operaio, che lo ha portato a contatto con il suo giornale d’ esordio, L’ Espresso, mentre l’ ex portavoce del governo Berlusconi e attuale direttore del Foglio ha respirato comunismo fin dalla più tenera infanzia, ha abiurato all’ inizio degli anni Ottanta diventando un supercraxiano e infine, bruciato da una passione liberale senza più freni, è approdato alla destra. Dire che cosa accomuni personalità, caratteri, storie e formazioni tanto variegate è impossibile, a meno che non si rintracci come elemento comune una passione per la politica così bruciante da rendere effettivamente possibile l’ esercizio spregiudicato della competenza tecnica maturata sul campo. Per quanto dal punto di vista della modernità culturale Lc fosse irrilevante (così come lo erano Potop e le altre formazioni della sinistra extraparlamentare), ebbe invece un rilievo piuttosto significativo prima come fenomeno sociologico e poi, soprattutto, come bacino di sperimentazione politica. Fu in organizzazioni di questo tipo, infatti, che coloro che erano attratti dalla sfera della politica ma non avevano nessuna intenzione di seguire la trafila nei partiti della sinistra storica trovarono estemporaneamente la loro "scuola". E in aggiunta a questa dimensione mobilitante, che univa gli individui al movimento, c’ era la convinzione della politica come praticabilità assoluta, quella sicurezza sovrana dell’ ego che induceva Sofri ad attaccare a brutto grugno il Pci, dicendo "la faccio io, cari voi, la rivoluzione". Anche oggi, per ognuno dei vecchi compagni, rimane in comune quella certezza secondo cui tutto può essere "trattato" politicamente. Si tratta di un atteggiamento che ha sullo sfondo la padronanza delle tecniche di comunicazione, il disincanto rispetto al potere, il continuo richiamo al garantismo, la coscienza insomma che quando c’ è un problema, e magari qualcosa del passato che non passa, si ristabilisce immediatamente una sintonia, una sensibilità, un riflesso condizionato. La passione incendiaria di allora per la politica è divenuta tutt’ al più una vecchia abitudine: e come tutte le abitudini, qualcosa a cui non si può rinunciare, perfino se ormai si crede ad altro, e se quella passione, indurita dagli anni, rischia di apparire come una lealtà troppo automatica.

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