gli articoli PANORAMA/

E IL PICCOLO DIAVOLO ORA SFIDA L’AVVOCATO

31.08.1995
TEMA DEL GIORNO
PARTITE & PARTITI / I nuovi protagonisti del campionato ' 95-96

Vicedirettore della rivista Il Mulino, Edmondo Berselli è autore, fra l’ altro, del recente Il più mancino dei tiri, un pamphlet in cui, a partire dalle prodezze pedatorie di Mariolino Corso, tesse un racconto, incrociato fra calcio e politica, che spazia dagli anni 60 ai giorni nostri. A lui Panorama ha chiesto una presentazione del campionato che si inaugura il 27 agosto. Se vuole il cielo, il campionato che comincia non sarà uno scontro fra moduli di gioco, la Difesa a cinque contro il Tre-quattro-tre e altre tortuose algebre. Ed è un bene. Almeno per noi che in fatto di calcio non siamo semplicemente conservatori bensì perfetti reazionari, e detestiamo tutte quelle invenzioni, come la slealissima tattica del fuorigioco e l’ansiogeno pressing, che hanno contribuito a trasformare il football in qualcosa all’ incrocio fra un perverso incubo atletico e una noiosa scienza esatta. Il calcio, quello vero, è una sapienza antica, gnosi, emanazione divina, inventata da sudamericani viziati e da giocatori notturni di poker in fumosissime camere d’ albergo. Certo, c’ è chi crede fortissimamente che il calcio possa essere tradotto in una formula, in teoremi, in equazione, e che per essere all’ altezza dei postulati e dei corollari i calciatori debbano essere soprattutto degli automi atletici. Sotto sotto, Arrigo Sacchi è convinto, e la convinzione gli traluce dagli occhi spalancati e puntati in una lontananza indistinta, sul calcio ideale, sulla Repubblica platonica del football, sulla mistica del sistema maggioritario applicata alla zona, che una partita sia perfettamente prevedibile: dati a e b deve fatalmente derivarne c. Il teoreta di Fusignano dice "lo schema" e sembra Umberto Bossi quando sillaba "la Lega…" con lo sguardo puntato sull’ orizzonte della storia, verso l’utopia di un Nord liberato dal giogo romano e dall’ obbligo dell’Iva. Si tratta di nozioni assolute, indiscutibili. Senonché il calcio, come la politica e qualsiasi altra forma di organizzazione complessa gestita dall’ uomo, è in genere vaga casualità. Vive di regole, ma soprattutto di convenzioni. Dietro ogni campionato, come dietro ogni governo, coalizione, successo o insuccesso politico, c’ è una collezione impressionante di nasi di Cleopatra. Se non fosse mancato un miserabile pugno di voti, nella primavera del 1992 Arnaldo Forlani sarebbe stato eletto al Quirinale, e l’attuale Esule di Hammamet sarebbe andato automaticamente a Palazzo Chigi. Con ogni probabilità la deprecata Prima repubblica avrebbe dribblato con brioso estro neolatino sia la caduta del Muro di Berlino sia il crepuscolo delle ideologie e i labirinti di Tangentopoli: vale a dire i fattori che oggi i politologi considerano decisivi, "razionalmente necessari", per dare una spiegazione scientifica alla caduta di un sistema che appariva, in quanto compensazione di imperfezioni, una sintesi perfetta. E in tal caso, dato che nella storia si delineano imprecisate affinità elettive ed elettorali, e fenomenali simmetrie occulte, magari Franco Baresi e Roberto Baggio non avrebbero sbagliato i rigori nella finale con il Brasile, e chissà, forse la nazionale di Sacchi avrebbe vinto il mondiale americano, pur avendo giocato la più orribile partita del Novecento. Ma tutto ciò, diremo sulla scorta di François Furet, è "il passato di un’illusione". Quest’ anno la partita vera, il campionato nel campionato, si gioca fra entità concrete, fra protagonisti reali, non fra astrazioni. E la partita decisiva, quella che durerà un anno, è senz’ altro quella fra Roby Baggio e l’avvocato Agnelli. Voi ricorderete che lui, il "Divin codino", se n’ è andato dalla Juventus al Milan (per diventare "Piccolo diavolo" a tutti gli effetti), a causa di una questione di soldi e di ingaggio, in sé banale, ma che ha provocato una tale tragicommedia di annunci, di mozioni degli affetti, di minacce, di avvisi di ritorsione, di promesse di ripicca, che al confronto la spaccatura del Partito popolare e la nascita del Ccd e poi la fondazione del Cdu di Buttiglione appaiono una festosa commediola fra amici. Di Baggio si può pensare ciò che si vuole: a me sembra definitiva la sentenza di Michel Platini che a suo tempo lo definì "un 9 e mezzo", per dire che non era un centravanti e non era una mezz’ ala: "Divin codino" è un soprannome di grazia settecentesca, che sembra alludere a una certa fatuità, al lezio cortigiano, alle lente eleganze cerimoniali di Versailles decifrate da Norbert Elias; ma è lecito in proposito anche coltivare idee diverse. Quanto alla Juve, il discorso si fa molto più complesso. Perché la Juve è Gianni Agnelli, anche se l’Avvocato ricopre solo una carica onorifica, molto più di quanto il Milan sia Silvio Berlusconi, che pure ne è il presidente. Questione di diritto dinastico, probabilmente: i presidenti passano, i monarchi no. Sta di fatto che quando il profetico Arrigo Sacchi, immerso nelle sue profetiche visioni, comunicò al Cavaliere: "O me o lui", intendendo per lui l’immenso Marco van Basten, Berlusconi tirò un lungo sospiro, e con un sorriso dolente diede a Sacchi il benservito, perché non voleva privarsi delle delizie in palleggio del centravanti olandese. Di fronte alle pretese "baggiane" (si noti la dignità manzoniana dell’aggettivo), la Juve invece ha rinunciato al proprio Pallone d’ oro, convinta che una grigia, e solida, "gramsciana" Torino operaia può battere di nuovo la scintillante Milano dei divi. Ora c’ è da chiedersi: è realistico pensare che una società come la Juventus potesse rinunciare al Codino contro il parere dell’Avvocato? Il presidente della Fiat ha un gusto estetico pronunciatissimo: di recente si è saputo che a chi gli chiedeva perché a suo tempo non avesse frequentato con maggiore regolarità Lamberto Dini avrebbe risposto: "E’ così brutto…". Bene, se un simile intenditore, se un gourmet così sofisticato, avesse fatto sapere che giudicava insostituibile l’arte calcistica del Codino, e che il diavolo, nel senso del Milan e di Berlusconi, non doveva metterci la coda, date retta, Baggio sarebbe restato in bianconero a vita. Invece, la sentenza su Baggio, definitiva come quella dell’ironico Platini, l’Avvocato l’aveva fabbricata già all’inizio dei mondiali d’ America, dopo le prime evanescenti e sofferenti prove dell’attaccante buddista: "Mi pare un coniglio bagnato". Bene, anche su Agnelli si possono avere opinioni diverse. Ma come battutista è un’iradiddio. Ciriaco De Mita risulterà catalogato nei secoli sotto l’etichetta distruttrice di "intellettuale della Magna Grecia". Il polacco Zibi Boniek, brillante nelle coppe e opaco nei campionati, fu infilzato senza pietà come "bello di notte". Durante questo mese d’ agosto, l’Avvocato ha commentato in modo micidiale l’ingaggio di Michael Schumacher da parte della Ferrari: se poi perdono, nonostante il miglior pilota del mondo, si saprà di chi è la colpa. C’ è da stupirsi se Baggio rimase a lungo tramortito da quel paragone che lo trasformava in una specie di cartone animato, un Roger Rabbit incastrato da qualcosa più grande di lui? In sostanza, di fronte al duello fra Agnelli e Baggio impallidiscono tutte le altre attrazioni del campionato 1995-96. Ma sì, c’ è la novità di Hristo Stoichkov a Parma, e la speranza che questo lunatico trequartista procuri qualche polemica, qualche rissa, qualche zingarata, qualche notte infuocata ("Ma si può essere un grande attaccante bulgaro?" chiederebbe un grande poeta italiano). C’ è la milanesata dei tre "9 e mezzo" del Milan, cioè Baggio, Savicevic e Futre, che potrà dare luogo a pensose discussioni sulla possibilità di convivenza fra trequartisti, come ai bei tempi di Mazzola & Rivera. Per ciò che riguarda l’Inter di Massimo Moratti, sembra assicurare una bella fonte di discussioni l’acquisto di Roberto Carlos, un terzino carioca che sa solo attaccare, e che potrebbe avere nella compagine interista la stessa funzione di Fausto Bertinotti con l’ Ulivo, cioè di farlo pencolare troppo a sinistra, e che si chiama così perché suo padre era un fan del cantante brasiliano omonimo, vincitore a Sanremo con Sergio Endrigo nel 1968. Qualche altro elemento di interesse è dato dal ritorno di Giovanni Trapattoni, dopo una stagione al Bayern, durante la quale, probabilmente grazie al fatto di non dover tradurre preventivamente dal dialetto lombardo alla lingua italiana, ha imparato un ottimo tedesco. Il rientro del Trap, che secondo alcuni "novisti" equivarrebbe al ritorno di Giulio Andreotti al ministero degli Esteri, o di Mino Martinazzoli alla segreteria dei Popolari, consentirà agli italiani di riascoltare alcuni avverbi (come il suggestivo "domenicalmente", che riesce a far sentire remoti rintocchi di campane) che si credevano consegnati all’ oblio. Infine, c’ è da chiedersi se Vittorio Cecchi Gori, anziché una rete televisiva, non avrebbe fatto meglio a comprare per la Fiorentina una seconda punta da affiancare a Gabriel Batistuta. Vista la velocità della concessione della cittadinanza italiana all’ attaccante argentino della Roma Abel Balbo, si è capito che in Italia le privatizzazioni non verranno fatte forse mai, ma le nazionalizzazioni riescono ancora in modo meraviglioso. Ma se la speranza è che nel calcio italiano ritornino massicciamente gli ingredienti che storicamente hanno reso affascinante il football – l’improvvisazione irresponsabile, l’estemporaneità clamorosa, la classe cialtronesca, la trovata del furfante, la canagliata inventiva, l’individualismo sfrenato, lo spettacolo costi quel che costi – siamo ancora ai primi passi. Per recuperare il tempo perduto, occorrerebbe qualche colpo di scena e di genio: come minimo che, preferibilmente dopo un furibondo e galeotto twist con Sergio Cragnotti, Daniela Fini coronasse il sogno della sua vita e si facesse assegnare il posto di Zdenek Zeman sulla panchina della Lazio. I MAGNIFICI UNDICI CHRISTIAN VIERI. Italo-australiano, 22 anni, attaccante dell’Atalanta. Figlio d’arte. Centravanti da sfondamento. FRANCESCO STATUTO. 24 anni, centrocampista della Roma. Dopo una lunga sosta per infortunio, si guadagna la nazionale. E un posto chiave in squadra. CESAR RUI COSTA. Portoghese di 23 anni, centrocampista nella Fiorentina. Promette un riscatto dopo una stagione grigia. Spalla ideale per Gabriel Batistuta. FILIPPO INZAGHI. 22 anni, neoattaccante del Parma dopo aver trascinato il Piacenza in serie A. Una delle matricole più interessanti. PAUL INCE. 27 anni, londinese, neocentrocampista dell’Inter. Uno dei pochi fantasisti britannici. Voluto personalmente da Moratti. CLARENCE SEEDORF. 19 anni, olandese, centrocampista della Sampdoria. Erede di Frank Rijkaard. GORAN VLAOVIC. 23 anni, croato, attaccante del Padova. In lista d’ attesa per una squadra da scudetto. SALVATORE FRESI. 22 anni, neolibero dell’Inter. Lo considerano il nuovo Franco Baresi e il cardine della futura difesa azzurra. HAKAN SUKUR. 24 anni, turco, acquistato dal Torino come attaccante. Ma sente già nostalgia di casa. HRISTO STOICHKOV. Bulgaro, 29 anni, neoattaccante del Parma. Pallone d’ oro del ‘ 94. Indiscusso fuoriclasse. MAURO MILANESE. Triestino, 23 anni, nuovo potente difensore del Torino dopo una buona stagione a Cremona.

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