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Così il pd va a pezzi

26/02/2009

Altro che un cantiere. Il Partito democratico è in piena turbolenza. Alle componenti conosciute dell’«amalgama mal riuscito» (secondo la realistica definizione di Massimo D’Alema) si sommano di continuo elementi di ulteriore conflitto e disturbo. La vittoria inattesa di Matteo Renzi alle primarie per il Comune di Firenze (un boy scout, cattolico e margheritino, che batte un altro rampollo della filiera democristiana, Lapo Pistelli, con l’ala laico-socialista che sta a guardare), il risultato di Renato Soru in Sardegna, la confusa situazione di Bologna, dove il prodiano Delbono deve fronteggiare due candidati alternativi, nonché l’uovo di cuculo rappresentato dalla sinistra a naso arricciato di Gianfranco Pasquino. Mettiamoci anche la polemica anti-Pd del principe elettore Lorenzo Dellai in Trentino, e ci sono tutti gli ingredienti per fare impazzire la maionese. Eppure la linea vera di divisione corre ancora fra laici e cattolici. O meglio, fra ex della Margherita ed ex Ds. A questo proposito, la vicenda di Eluana Englaro è stata più che significativa: a fronte della colossale strumentalizzazione berlusconiana, salvo rare eccezioni (come la laicità combattiva di Rosy Bindi) il Pd non è riuscito a fare sentire una parola, in quanto partito. Sono stati usati eufemismi, si sono visti eleganti volteggi, sono state pronunciate molte parole politiciste, ma sul caso in sé il Pd non è stato capace di allestire una discussione pubblica seria. In sé, non è un problema se in una formazione politica esistono punti di vista diversi. Non viviamo più nell’epoca dei dogmi ideologici. Proprio per questo sarebbe stato giusto che le differenze di concezione emergessero, con chiarezza e civiltà. E invece si è avuto soltanto il silenzio. C’era anche l’occasione per chiarire davanti all’opinione pubblica che cos’è un partito moderno, che comprende visioni differenziate sui temi etici. Il mutismo ha rappresentato una specie di abdicazione politica e culturale. E il risultato è che le tensioni, rimaste compresse sottotraccia, vengono fuori con una valenza nuova. Circola senza troppi tabù la parola scissione. Un serpeggiare di sospetti avvelena l’ambiente: e tutto questo mentre il Pd si troverà ad affrontare fra poco la dura campagna elettorale per le elezioni europee. Su questo sfondo, la candidatura di una figura come Pier Luigi Bersani alla guida del Pd, in alternativa a Walter Veltroni, ha un significato che forse non era stato messo in conto. Perché l’entrata in campo di Bersani è figlia di Massimo D’Alema e sorella di un rapporto a filo doppio con la Cgil di Guglielmo Epifani. Parlando del passato, Bersani ha definito «una cavolata» il suo ritiro all’epoca delle primarie veltroniane. È bene che se ne sia convinto. Ma, nello stesso tempo, "il più prodiano dei Ds" dovrebbe avere ben chiaro che la sua scommessa politica non è una iniziativa indolore. Nei modi in cui la sua azione si sta sviluppando, ci sono serie probabilità che venga interpretata come un tentativo di caratterizzare nuovamente il Pd come erede del Pci; e questo può alimentare contrasti nei gruppi dirigenti e perfino ulteriori tentazioni scismatiche. Queste cose succedono allorché le aggregazioni politiche non controllano la loro struttura operativa e "istituzionale". A questo punto, sono numerosi gli esponenti cattolici del Pd che guardano con diffidenza all’operazione Bersani-D’Alema e auspicano l’ingresso di un terzo incomodo che rappresenti gli ex della Margherita. È possibile, e anzi molto probabile, che questi siano i contraccolpi di lungo periodo della sconfitta dell’aprile 2008 alle politiche. Nei mesi successivi alla batosta si è fatto il possibile per evitare il confronto, per sfuggire a un faccia a faccia risoluto. Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi. Striscianti minacce di scissione, attriti fra esponenti di vertice, musi lunghi in periferia. In politica si capisce sempre "dopo" ciò che si doveva capire "prima". E soprattutto, nel caso del Pd, non si è compreso che nella febbrile modernità postpolitica del nostro tempo non c’è più spazio per le ritualità di partito, per le ampie riflessioni, i sottintesi e il dare tempo al tempo. In realtà il Pd è a metà strada fra il tradizionale partito di massa, radicato nel territorio e strutturato nell’organizzazione, e una galassia d’opinione. L’azione di Bersani e D’Alema tende a riportare in auge il passato. Veltroni aveva scommesso sul futuribile. Il risultato, fra laici, cattolici, presente e passato, è una continua tensione, che potrebbe mandare a pezzi l’ultima invenzione per non avere una sinistra eternamente minoritaria.

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