gli articoli L'Espresso/

Ci ritorni in mente

24/07/2003

L’ombra del Maestro solitario aleggia ancora sulla Tribù. Manca qualche settimana al quinto anniversario della morte di Lucio Battisti, che cade il 9 settembre, ma la setta dei battistiani è già in fermento. Già, ma quale Battisti? Come si sa sul tema ci sono due partiti: da una parte la maggioranza rumorosa, gli adoratori del periodo Mogol e del mainstream battistiano, «le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi», cioè tutti quelli che associano Battisti alla propria educazione sentimentale, e in special modo ai primi petting in riviera; dall’altra i più viziosi, i sofisticati, gli idolatri del "corpus hermeticum", ossia i cinque dischi esoterici nati durante la collaborazione fra "Lucio" e il poeta imprevedibile Pasquale Panella, l’uomo che spiegò la sua estetica musicale con la dichiarazione: «Hegel è la canzone. È il pachiderma centrale, mediano, indeciso come la canzone». L’epicentro è il comune di Molteno, in cui si trova il Dosso di Coroldo, un complesso residenziale di 13 ville nella "Brianza velenosa" che era stato il protettissimo rifugio di Battisti con la moglie Grazia Letizia Veronese. Ma se le iniziative ufficiali e commemorative vanno sul classico, c’è un’invenzione spettacolare che non mancherà di sollecitare l’ormai infinita diatriba fra i sostenitori del primo e i fautori del secondo Battisti. Si deve all’inventiva di Franco Zanetti, 50 anni, professione "agitatore culturale" e direttore del quotidiano musicale online www.rockol.it. Zanetti ha inventato uno spettacolo basato su una selezione di canzoni del periodo ermetico, cioè da album come "Don Giovanni", "L’apparenza", "Hegel". Ha preso quelle 40 canzoni futuribili, ne ha scelte una quindicina, e ha costruito un concerto autenticamente radicale. Infatti i brani verranno eseguiti da un trio inedito di vocalist, denominati EquiVoci, due ragazze e un ragazzo provenienti da studi di conservatorio, mentre l’orchestrazione è affidata solo a un quartetto d’archi femminile. Lo spettacolo si intitola "Sinceramente non tuo" (da un verso di "Don Giovanni"), e si tradurrà in un disco che la Sony distribuirà ai primi di settembre. L’iniziativa di Zanetti è lievemente provocatoria, come lo spirito del suo inventore: che si era fatto conoscere qualche anno fa, il primo aprile del 1998, con un clamoroso scherzetto mediatico, annunciando una nuova opera di Battisti, disponibile solo su Internet e composta da pezzi semisconosciuti del suo repertorio, le cui iniziali componevano l’acrostico "pesce d’aprile". Lo stesso titolo dell’album, "L’asola", poteva essere inteso anche alla romana come "La sòla", quale in effetti era. Solo che i media ci si buttarono per l’appunto a pesce, tanto da ingannare anche un pontefice della critica pop nazionale come Mario Luzzatto Fegiz (il "Corriere della Sera" fu costretto a una precipitosa ribattuta nella notte). Questa volta la provocazione è più concettuale. Non fa perno su visioni medianiche, che sarebbero all’origine della canzone di Adriano Celentano "L’arcobaleno" («Io son partito poi così d’improvviso, che non ho avuto il tempo di salutare»: secondo le ricostruzioni meno controllabili il testo, una specie di lettera battistiana dall’aldilà, sarebbe stato suggerito a Mogol da una veggente di Sassuolo emigrata in Spagna). E non si affida nemmeno al tam tam sul presunto materiale inedito che la vedova Battisti conserverebbe gelosamente e di cui favoleggiano continuamente i newsgroup battistiani nel Web. Zanetti ha estremizzato forma e contenuto della produzione firmata Battisti-Panella: i suoni elettronici sono stati concettualizzati nell’atmosfera suggestiva degli archi; chi ha potuto ascoltare le prove giura che le parole misteriche di Panella si stagliano nel tessuto sonoro con una intensità inaspettata, addirittura "comprensibile". Ne viene fuori quasi un oratorio laico: «Non penso quindi tu sei / questo mi conquista / l’artista non sono io / sono il suo fumista». I versi di "Don Giovanni" e di "L’apparenza", che furono esaltati da Michele Serra («Dico solo che la parola "ossigeno" come la pronuncia Battisti, salendo di tono come l’aria fresca, non l’ho mai sentita pronunciare… Io credo che questo disco sia l’opera di un genio, o più probabilmente di due») compongono un mondo post-umano, fatto di detriti lessicali, «un oroscopo folle in cui brillano gemme in cui si condensa, raggelata, l’emozione di un tempo» (secondo un altro battistiano storico, Leo Turrini, autore di una delle prime biografie di Lucio Battisti). Ma il mondo battistiano è in subbuglio anche perché in coincidenza con l’anniversario della scomparsa la Tribù si aspetta sorprese e rivelazioni. Uno degli adepti più fondamentalisti, l’autore televisivo Michele Neri, sta finendo il suo monumentale libro su Battisti, centinaia di pagine di filologia accanita. Gli adoratori continuano a rileggere in qualche sito le pagine documentatissime che Mattia Feltri sul "Foglio" dedicò subito dopo la morte agli ultimi giorni di Battisti. Ci si aspetta un botto da Michele Bovi, l’archeologo della tv che su Raidue ha proposto diversi speciali battistiani, ogni volta rintracciando qualche reliquia filmata, uno spezzone dal vivo, un reperto scovato negli archivi televisivi di tutta Europa. I cultori della nostalgia sono disposti a cercare le tracce e gli echi di Battisti dappertutto. Si sono riuniti in un’associazione informale chiamata "I cavalieri del mare". Fanno raduni tematici qua e là per l’Italia. Qualche anno fa si erano appassionati agli Audio 2, una coppia patrocinata da Mina e Massimiliano Pani che clonava il magistero di Lucio in canzoncine futili e divertenti. Di recente sono stati sopraffatti sentimentalmente dall’apparizione di Roberto Pambianchi, un ex rappresentante romano che ha la voce praticamente indistinguibile da quella battistiana. Scoperto da Bovi, che l’ha utilizzato in tv per alcuni frammenti «più veri del vero, e più falsi del falso», Pambianchi è stato adottato da Ignazio La Russa, che l’aveva ascoltato alla festa per l’insediamento al Tg2 di Mauro Mazza, restandone sbalordito. Adesso, Pambianchi spopola nelle feste di Alleanza nazionale, dove gli ex camerati vengono presi da un soprassalto emotivo ogni volta che risentono il verso di "La collina dei ciliegi" che dice «planando sopra boschi di braccia tese», nella eterna autoillusione che Battisti fosse di destra, e che quelle mani levate rappresentassero una selva di saluti fascisti. Si vive comunque nell’attesa: di risolvere l’annosa questione del confronto tra la fase Mogol e la fase Pannella; che arrivi l’annuncio che il fantomatico album di inediti è sbucato miracolosamente intatto dalle segrete stanze della villa di famiglia; che il formidabile Vasco Rossi decida finalmente di realizzare il suo progetto di un disco tutto composto da cover battistiane. Nel frattempo, il gossip iniziatico fa filtrare la notizia che il figlio di Battisti, Luca, avrebbe consegnato alla Bmg un provino di canzoni eseguite in inglese, nelle cui melodie sembrerebbe indubitabile l’impronta del padre. Ed è prevedibile che nell’avvicinarsi della data fatale del 9 settembre ricominci la sagra della nostalgia. Destino singolare per un musicista ampiamente detestato dalla critica quando era in vita, e venerato post mortem con una partecipazione talmente unanime da risultare alla fine paradossale. L’iniziativa di Zanetti nasce con l’intenzione di recuperare proprio il Battisti più oltranzista e frainteso: con la convinzione che in quelle 40 canzoni-non-canzoni ci sia sepolta almeno una quindicina di exploit, capolavori misconosciuti che potranno essere portati in giro per l’Italia, nei piccoli teatri, negli auditorium, nelle chiese. Uno spettacolo minimalista ma a suo modo estremo. Per ricordare a tutti che il Maestro solitario non era più il cantante riccioluto dell’acqua azzurra, ma una sorta di intellettuale irriducibile, travolto in un suo progetto, perfettamente distante dal se stesso che era stato, e anche dal ricordo che ne hanno di lui, e della sua musica, quasi tutti.

Facebook Twitter Google Email Email