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Chitarra rock Quelle note elettriche che rifecero la storia

22/11/2009
LA DOMENICA DI REPUBBLICA
SPETTACOLI
Più che uno strumento, è la componente essenziale di un rito consumato tra palco e platea. Il solo imbracciarla manda in visibilio oceani di fan che battono il ritmo di una coreografia - che prevede sudore, capelli scompigliati e rumore. Per questo motivo, Ivano Fossati sostiene che dopo i cinquant' anni bisogna smettere di suonarla. Keith Richards è di tutt' altro avviso. Ora un libro racconta il simbolo di rivolta che ha cambiato la musica

Ognuno ha scoperto la sua chitarra rocka modo suo. Nel profondo nero degli anni Cinquanta con Bill Haley, B. B. King, Bo Diddley, Chuck Berry e Muddy Waters, fra suoni che affondavano nella giungla urbana, e prima ancora nel fango del Delta, ma erano ancora il frutto di meccaniche semplici, di microfoni rozzi, di suoni elementari. Mentre viceversa la generazione degli anni Sessanta ha potuto ascoltare per la prima volta le chitarre nuove dotate di quell’ attrezzo che allora veniva chiamato "fuzz box", ed era il primo distorsore. Modernità assoluta e artificiale, quindi felicità. Per i piccoli mondani di allora, lo shock sonoro originale fu portato naturalmente dall’ attacco di Satisfaction, con il riff introduttivo di Keith Richards, semplice, anzi semplicissimo, ma che in ogni caso faceva ascoltare una musica mai sentita prima. Che cos’ era quella novità? Qualcuno si ingegnò subito a cercare di capire che cosa fosse quel suono prolungato praticamente a piacere, quella vibrazione che per i più immaginosi ancora oggi sembra alludere implicitamente alla radiazione fossile dell’ universo, fino a immaginare, allora, che si trattasse di un sassofono, altroché; poi la stampa giovanile di settore risolse ogni dubbio tecnico. Chitarra. A distanza di più o meno quattro decenni, Ivano Fossati ha potuto dichiarare che dopo i cinquant’ anni non si può, non sta bene, non è né elegante né adulto entrare in scena imbracciando una chitarra elettrica. Sarà perché la chitarra rock ha un vincolo pressoché indissolubile e metafisico con i capelli lunghissimi, in disordine chissà quanto calcolato, e con petti nudi e sudati, su costole lucide e finanche oscene; ma allora, figurarsi, bastava uno sguardo a Jeff Beck che ancora in giacchetta e cravatta suonava con gli Yardbirds e «faceva ginnastica» con il suo strumento sull’ assolo di Shapes of Things per restare felicemente sbalorditi (così come sarebbe successo con Eric Clapton per il blues e con Jimmy Page per un rock piuttosto hard, visto che dagli Yardbirds sarebbero discesi per vie traverse i Led Zeppelin, precursori dell’ heavy metal e cultori dopo le solite pentatoniche blues, anche di inaspettate sonorità etniche e "tangerine". La caratteristica principale della chitarra rock è naturalmente di essere infinitamente versatile. Si può suonare, a esserne capaci, con la disinvoltura diabolica del Rolling Stone Keith Richards, aplomb in apparenza svagato e sigaretta fra le dita, spesso solo cinque corde al capotasto (eliminato il mi basso), con l’ obiettivo di trovare il riff miracoloso, la sequenza che dà il tono e il ritmo a un intero brano, e che risolve integralmente una canzone (pensiamo soltanto, per dire, all’ energia elettrizzante di Honky Tonk Woman, un’ altra vibrazione che pervade il pezzo e lo anima di continuo con una sensazione entusiasmante di precisione e di forza). Ma potrebbe essere più che altro questione di stile: la chitarra elettrica può anche trasformarsi in uno strumento elegante, come nella tecnica scenica dei Beatles, in cui il rock si inserisce in un elemento visivo, iconografico, dove l’ estetica del gesto si sposa indissolubilmente alla creatività light della musica. Con il tranquillo e preciso solismo di George Harrison, e anche con la ritmica di John Lennon, le chitarre del Quartetto di Liverpool entrano infatti in una composizione e raffigurazione totale, cooperando a operine d’ arte insidiose e complete. Che tutto ciò figuri ancora nella categoria del rock ormai è dubbio, e difatti alcuni aficionados preferiscono gli album e le canzoni precedenti, anche quelle dei primordi, così grezze ma forse, chissà, anche più autentiche (difatti anche oggi i momenti migliori di Paul McCartney, quando se ne ricorda, sono legati a qualche supremo esempio di rock’ n’ roll classico, che riesce ancora a fare da fuoriclasse). Eppure nella chitarra rockè insito anche un richiamo tribale alla rivolta. Amplificatori fracassati, come nella violenza generazionale degli Who e dell’ eversore Pete Townshend, e via con la sequela di strumenti distrutti, annichiliti, bruciati come fece Jimi Hendrix per ascoltare il suono del fuoco. E un appello erotico al manicoe alla cassa, alle corde, per sentire mugolare di dolore o di piacereo di rabbia le Fendere le Gibson, per trattenerle controi visceri con la forza o allungarle in basso verso la coscia e i jeans laceri, con tutta la nonchalance necessaria. D’ altronde, basta guardare i campioni degli ultimi vent’ anni per constatare che non ci sono regole. Bruce Springsteen si accompagna e accompagna la band pompando sulle sei corde con la forza di un meccanico del Midwest, come se si trattasse di un esercizio ginnico praticato davanti all’ America e al mondo. Mentre a suo tempo Kurt Cobain riprendeva certe soluzioni ipnotiche, forse derivanti da Hendrix, che immettevano i suoni dentro spirali di esoterismo sonoro. E Prince si concedeva con calcolato relax agli accordi semplicissimi e tuttavia inconfondibili di Purple Rain. Quindi non c’ è bisogno di figurare tra i guitar heroes come Eddie Van Halen, con la sua velocità formidabile, e il tap ping mutuato dal frenetico Heartbreaker di Jimmy Page (ma anche da Niccolò Paganini, dicono), e nemmeno occorre prendere come paradigma primario il potente rock mainstream degli Aerosmith. Per qualche tempo abbiamo assistito alla rivolta "no future" dei punk, con i tre accordi dei Sex Pistols, i power chords buttati in pasto al pubblico per sottolineare e approfondire l’ urlo della voce tossica. Ma è fuori dubbio che per gli appassionati rimangono insuperate le opere stilizzatissime dei Pink Floyd, in cui lo sviluppo melodico si stagliava, e ancora si staglia, sulla riconoscibile matrice blues, con effetti di semplice e bella ricercatezza, un sound semplice e raffinato insieme, ancora implicitamente moderno. Ed è fuori dubbio che la chitarra rock non finisce mai di evolversi, e non soltanto per lo sperimentalismo tecnico di virtuosi come Steve Vai o Joe Satriani: chiunque abbia ascoltato con attenzione i temi musicali degli U2 deve riconoscere che oltre alla voce di Bono il contributo maggiore è venuto dal modo in cui "The Edge" ha reinventato il modo di suonare la chitarra, con le sue scansioni veloci, ritmate e inconfondibili. In fondo il segreto della chitarra rock è che non ha terminato il suo corso. Mentre diversi strumenti della musica "leggera" sono finiti in archivio, soprattutto sul piano degli arrangiamenti e dell’ orchestrazione, la chitarra elettrica trova sempre un ruolo. Può bastare un palm muting, quell’ effetto facilissimo che scandisce il ritmo smorzandolo, come andava di moda ai tempi del beat, per evocare una suggestione, un non so che. Insomma, un suono di chitarra. Ogni volta uguale, ogni volta diverso. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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