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BENE L’ INIZIO, MA POI 6 –

13.06.1996
ATTUALITA' ITALIA
BLOW UP

Un sospiro di sollievo, emesso non appena il neoministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer ha annunciato il possibile abbandono delle schede di valutazione e il ritorno a voti e pagelle. Chiunque abbia visto le schede sa quale strumento di perversione siano: per gli insegnanti che le compilano, per i genitori che le leggono, per gli alunni ai quali vengono inflitte. Un perfetto esempio di politically correct psicosociologico. L’ ibridazione totale fra il burocratese e le più avanzate scienze della formazione. Già, perché se non si avanza non c’ è gusto. Le schede sono uno dei prodotti più raffinati del lento ma alla fine apocalittico degrado della scuola italiana, nutrito di sperimentazioni teleguidate. Possono reggere il confronto solo con i corsi di aggiornamento, straziante invenzione di una scuola-carrozzone, composta dalle figure dell’ "insegnante depresso" come li definì una ricerca dello Iard, e di studenti che si adeguano. A dire queste cose si passa immediatamente per reazionari. Ma conviene respingere subito l’ accusa: il vizio fondamentale, quando si parla del sistema formativo, è di ragionare sotto il diktat delle astrazioni. Per questo, si può essere ancora fortemente critici sulla riforma della scuola elementare del 1990, quella che ha sostituito il maestro unico con il cosiddetto e avanzatissimo "modulo" a insegnanti multipli. Ma in questo caso bisogna anche osservare che – non sempre, in casi fortunati, quando le maestre non si azzuffano – il modulo funziona. E dunque, pur sapendo che la riforma aveva un fortissimo contenuto corporativo a protezione dei posti di lavoro, il pragmatico di turno potrebbe dire: bene, teniamoci i livelli occupazionali del corpo insegnante malgrado il baby-sboom, misuriamo nei fatti la qualità dell’ insegnamento nella scuola elementare, e se è il caso introduciamo correttivi intelligenti. Ma sui voti e le pagelle, e contro le schede di valutazione, non dovrebbe esserci partita. I sostenitori della burocrazia valutativa, che si oppongono al ritorno al voto espresso nella maniera tradizionale, sono i portatori di una concezione, macché, di un piagnisteo colorato di consapevolezza "progressista" e di sedicente superiore pensosità psicologica. Tutto nasce da un’ intenzione e da una retorica buonista, tesa a evitare ad alunni e studenti qualsiasi prova, qualsiasi impatto emotivo, qualsiasi esame. E invece si sa benissimo che gli esami non finiscono mai. Si può crescere nella bambagia di chi vuole soffondere di comprensione psicologistica e di genericità ogni giudizio, ma poi tutte le vite individuali, per chi lavora, per chi gioca a calcio, per chi fa film, canzoni e spettacoli, sono un succedersi di voti in pagella. Tanto che ai voti si è fatta l’ abitudine, sono divertenti, se non ci sono il giudizio non sembra completo. Ciò che è curioso, oltretutto, è che nella scuola il massimo della retorica antivoto sia stato raggiunto in puntuale coincidenza con lo sfacelo dei risultati, cioè nel momento in cui fra tesine copiate, interrogazioni programmate, comprensione amorosa per i problemi dell’ infanzia e dell’ adolescenza, la scuola italiana è riuscita a produrre su base di massa quella singolare figura che Angelo Panebianco ha definito "il diplomato semianalfabeta". Bene sulle pagelle, quindi, ma già che c’era il ministro Berlinguer avrebbe potuto guadagnare un consenso ancora maggiore proponendo un’ altra misura reazionaria, di restaurazione pura, vale a dire il ripristino degli esami di riparazione, aboliti da Francesco D’ Onofrio con una improvvisazione distruttrice: se l’ Ulivo è per il doppio turno, dovrebbe esserlo anche per ciò che riguarda il doppio scrutinio scolastico. Scheda su Berlinguer: ha cominciato bene, ma poi è ricaduto in qualche fumisteria psicosocioscolastica, spiegando che sì, ma forse, eppure, vedremo. Insomma, 6 meno, per capirci

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