gli articoli PANORAMA/

A VOLTE RITORNANO. O NO?

27.06.1996
ATTUALITA' ITALIA
BLOW UP

Dc l’ è morta, ma sono i democristiani a non morire mai. Il successo delle sigle cattoliche in Sicilia potrebbe sembrare infatti la smentita più sonora per l’epicedio steso da Pietro Citati sulla Repubblica, autentico canto d’ addio per l’estinzione di una razza, per lo svanire di un’ antropologia. Aurea democristianità, secondo Citati, con l’ odore ineffabile della sagrestia: e sotto sotto, e quasi quasi, l’ ombra di una rassegnata nostalgia per gli incerti profili dei democristiani, per le loro prose involute, per le loro mediazioni meditabonde, per il loro pensiero autenticamente debole. Ma nella sua fiction letteraria Citati coglie un punto: e cioè che ben più di un’ entità chiamata Dc esistevano i democristiani. Secondo un insider come Marco Follini, che all’ ex partito-sistema ha dedicato diversi libri, la Dc esiste ed è esistita solo nella fantasia dei suoi peggiori nemici. Nella sua paradossalità, l’ affermazione contiene più di una verità. Lo aveva scoperto nei suoi sofisticatissimi studi l’attuale sottosegretario di Romano Prodi, il sociologo Arturo Parisi: in una situazione politica bloccata, la Dc fungeva da eterna alternativa a se stessa. Senza troppe teorie, lo aveva spiattellato con tutta la sua improntitudine Paolo Cirino Pomicino: "Siamo un’ azienda di successo perché differenziamo il prodotto. Non vi piace Giulio? Abbiamo Oscar Luigi, Filippo Maria, Arnaldo, Virginio, Mino, Ciriaco". Intanto i politologi si scervellavano per anatomizzare il "modello poliarchico" dc, il ventaglio di tribù e correnti ognuna con un proprio insediamento sociale, con collegamenti a blocchi di interessi, ad articolazioni corporative, a segmenti clientelari. E sullo sfondo due riferimenti, due metodi, due orizzonti: da un lato la Chiesa, "la dottrina sociale", l’ interclassismo; dall’altro il doroteismo, pratica di potere capace di stemperare qualsiasi conflitto. Si condensa così quello che Alberto Cavallari ha definito il "poder mineral" della Dc, analogo per hispanidad a quello di Carlo V, un potere insieme "molle e roccioso", cedevole, infinitamente adattabile ma proprio per questo non scalfibile. Tradotto nella fisiologia della politica italiana, questo potere si sintetizzava in una specie di istituzionalizzazione ante litteram del ribaltone: in un’ attitudine permanente al rovesciamento degli equilibri, con una prodigiosa capacità camaleontica, una infinita sapienza tattica nelle scomposizioni e nelle ricomposizioni. Poi la storia entra in cortocircuito. Allorché Mino Martinazzoli viene insediato al vertice del partito e diviene il commissario che deve traghettare la Democrazia cristiana sulla sponda del Partito popolare, l’ orizzonte ha cambiato fisionomia. Martinazzoli rivolge ai popolari il suo scabro, manzoniano proclama: "Siate come gli ulivi d’ inverno: paghi di resistere". Ora e sempre persistenza, intesa come testimonianza. Ma la Dc aveva un’ unica possibilità di salvezza: riuscire a reincarnarsi in una specie di Cdu tedesca, un partitone governativo e popolarconservatore. Di Pietro, Bossi, Segni e alla fine Berlusconi hanno tagliato la strada a questa soluzione; il sistema maggioritario ha dato alla Dc il colpo di grazia: perché nei cromosomi democristiani non c’ era la divisione in due del vecchio partito, ma la sua totale disintegrazione. Eccoli infatti, i democristiani, presenti in An, in Forza Italia, nel Ccd e nel Cdu, nell’ Ulivo. Il finale è una esplosione alla Zabriskie Point, con una prolungata "slow motion" che fa ricadere a pioggia le schegge della democristianità. Pensare che le sparse membra della Dc possano ricostituirsi in partito non è neppure un’ illusione: è un esorcismo, un prendere tempo nella speranza che la destra attuale possa essere sostituita nei primi anni del prossimo millennio dagli eredi della Grande Madre: ma dove sarebbe Alcide De Gasperi?

Facebook Twitter Google Email Email