3 risultati per baggio in "L'Espresso"
L'Espresso, 05/11/2009, TELEVISIONE
Una passione molto Serena
Siccome da anni il sottoscritto cova una passione sottaciuta per Serena Dandini, viene troppo facile parlare bene di "Parla con me", il talk show in onda su RaiTre dal martedì al venerdì alle 23.15. La passione è così intensa da indurre a sottovalutare il fatto che, stando alle gazzette, il compenso annuale della sovreccitata Dandini ammonterebbe a 710 mila euro. Urka. Settecentodiecimila euro per la sinistra di classe e i ceti medi riflessivi, mica noccioline. Comunque, la passione è piuttosto diffusa, se è vero che su Google ci sono 8.200 occorrenze per "Dandini cosce". Anvedi. E vabbé, comunque parliamo benissimo del programma innanzitutto perché gli ospiti sono generalmente di gran classe: vista per esempio una prestazione clamorosa del professor Ilvo Diamanti che presentava il suo libro "Sillabario per i tempi tristi" e argomentava a proposito delle rotatorie, altrimenti dette rotonde: Diamanti sembrava una specie di Buster Keaton, che con aria imperturbabile diceva e sottolineava delle enormità, descrivendo l'inopinata fioritura di rotatorie fra Caldogno, patria del suddetto professore e di Roberto Baggio, e Vicenza. Ma una delle risorse del programma è anche la musica, in parte per le gag della Banda Osiris e in parte per la partecipazione di gruppi come i Quintorigo, ascoltati in una clamorosa interpretazione per archi di "Purple Haze" (Jimi Hendrix). E infine la risorsa maggiore è la presenza di Dario Vergassola, il più brutto e più bravo comico della tv contemporanea. Vorremmo solo sapere il suo cachet, e poi saremmo pronti per un'avventura con lui. Si fa per dire, s'intende. Su Google, le occorrenze per "cosce Vergassola" sono insignificanti.
L'Espresso, 01/03/2007
Un calcio alla riforma
Fa una strana impressione in questi giorni leggere le pagine sportive: ci si trova davanti a uno sforzo epico per riportare tutto a una specie di normalità. Già, ma di calcio giocato è difficile parlare, di questi tempi. Dopo la guerriglia di Catania, in cui è morto l'ispettore di polizia Filippo Raciti, gli stadi sono vuoti. Qualcuno perché non è in regola con il decreto governativo, privo dei "tornelli" e di adeguate misure di sicurezza; gli altri perché evidentemente non deve circolare una gran voglia di correre in tribuna. Mettiamoci anche la semplice ragione che il campionato di serie A è stato sepolto dalla supremazia dell'Inter di Massimo Moratti, tornata a vincere proprio nel momento in cui tutti gli altri perdono, assegnando così al torneo l'interesse zero. Quindi l'ambiente del calcio, dopo la sospensione dei campionati disposta dal commissario straordinario della Figc, Luca Pancalli, prova a trovare argomenti laterali per far finta di essere sano. Ecco le polemiche a distanza fra Capello e Ronaldo, la crisi balorda dell'allenatore del Real Madrid sotto il tiro dei tifosi, i programmi sempre stratosferici del Chelsea di Abramovich, l'autobiografia di Alessandro Del Piero, il quarantesimo compleanno di Roberto Baggio, il possibile arrivo in Italia di Ronaldinho e dell'altro Ronaldo, il ventiduenne divo portoghese Cristiano. Si capisce, il sistema calcio attraversa una tempesta cosmica; se il giocattolo dovesse rompersi sarebbero problemi per molti. Già uscire da Calciopoli era stata una missione impossibile. Era stato necessario ammorbidire, troncare, sopire, aggiustare, trovare compromessi, amministrare arbitrati, ridurre penalizzazioni. Alla fine tra i club più grandi se l'erano cavata tutti tranne la Juventus; in compenso il recupero di credibilità era diventato dubbio. Da quello choc era uscito il paradosso di un sistema malato ma capace di esprimere la Nazionale vincitrice del Mondiale in Germania. Tuttavia in seguito si era fatta strada anche la convinzione che né il commissario straordinario Guido Rossi né il supermagistrato Francesco Saverio Borrelli erano riusciti a rimettere nella legalità il mondo del pallone. Un muro di gomma, avevano detto Rossi e Borrelli. Resistenze, attriti, pressioni, giustificazionismi. Ciò che contava era tenere in piedi il carrozzone. Quindi, repulisti sommario, grandi condanne in prima istanza via via ridotte nei gradi successivi, e tentativo di seppellire il passato sotto una lapide di belle intenzioni risanatrici. Tutto questo senza che nessuno dicesse una parola sulle aggravanti accessorie e sugli sviluppi possibili. Ad esempio una conduzione amministrativa che non mancherà di provocare altri disastri, a cominciare dalle invenzioni contabili delle società, come le famigerate plusvalenze che hanno permesso di presentare bilanci altamente retorici (perché nel calcio la partita doppia è effettivamente doppia). Oppure un ulteriore scandalino-scandaletto di scommesse già emerso e che riaffiorerà da un momento all'altro, gettando altro discredito sui calciatori e sui campionati. Le varie storielle di doping, qualcuna gustosa come quella giustificata dalla fidanzata volonterosa con l'uso di una crema vaginale. Giri di cocaina e di sesso a casaccio qua e là. Anche il pettegolezzo ambientale su episodi da tre tavolette, come il dirigente che vende alla propria società per 80 mila euro le quattro cartelline del suo fantomatico "piano industriale" che aveva suscitato l'entusiasmo anche dell'ingenua Confindustria locale. E naturalmente esercitando ogni sforzo per eliminare ogni sospetto di collusione delle società con il tifo violento organizzato, accreditando per l'ennesima volta la favola secondo cui sono solo pochi teppisti a rovinare il campionato che fu il più bello del mondo: mentre in realtà tutti sanno, vedi il caso Lazio, che il tifo ricatta i presidenti e organizza cordate proprietarie alternative, oltre a defenestrare come al solito gli allenatori e intimidire i giocatori. Intanto, il 27 gennaio in provincia di Cosenza era stato ucciso Ermanno Licursi, dirigente della società dilettantistica Sammartinese; nei disordini di Catania c'era stata la tragedia di Raciti, colpito a morte durante gli scontri. Il presidente della Lega, Antonio Matarrese, si era distinto per una frase come minimo molto sfortunata, ma che esprimeva l'inconscio collettivo dell'ambiente, secondo cui i morti fanno parte del gioco e comunque lo show deve andare avanti, come in ogni Barnum. Detto fatto: lo spettacolo è ripreso, nella precarietà e in un clima raggelante, dopo che le autorità calcistiche europee avevano ampiamente stigmatizzato le condizioni degli stadi italiani. Ma il calcio naturalmente non può fermarsi: la rivoluzione è rinviata per impraticabilità del campo. Alla vedova del povero Licursi il bel gesto di un assegno di 480 mila euro, raccolti con una sottoscrizione fra i professionisti e i dilettanti (provvedimento analogo della Lega anche per la vedova del povero Raciti). Non basta? Non è la dimostrazione che il pallone in fondo è pulito? Lo spettacolo prosegue, dunque, con i giornalisti che riprendono a chiedere «potete davvero puntare al quarto posto?» e gli allenatori che rispondono secondo il Bignami: «Noi andiamo in campo ogni volta per fare la nostra partita, senza fare programmi». Quando la tensione si sarà attenuata, si comincerà a pensare al calcio mercato, alla stagione ventura, alle qualificazioni per i campionati europei. Si intensificheranno le diplomazie per avere in Italia gli Europei del 2012. Si celebrerà la resurrezione. A chi dirà che il gattopardo ha avuto ragione ancora una volta, e che si tratta solo di aspettare la prossima tragedia o il prossimo scandalo, si risponderà di non fare l'avvoltoio. n
L'Espresso, 28/09/2006
Omero ha fatto gol
Non è nemmeno il caso di ricorrere a precedenti come le "Cinque poesie per il gioco del calcio" di Umberto Saba: «Il portiere caduto alla difesa / ultima vana, contro terra cela la faccia». Oppure al soprannome che classificava il torinista Claudio Sala come il "poeta" del gol. Forse ci vuole davvero la poesia per descrivere con sintesi immediate il calcio: perché nel suo momento migliore, allorché si condensa in mosse fulminee, in scarti imprevedibili, nella violenza del tiro o nella infernale qualità del dribbling, non c'è prosa che possa rappresentarlo (Gianni Brera descriveva l'azione in profondità attraverso una serie concatenata di frasi connesse dall'uso ripetuto dei due punti, come se ogni momento di gioco contenesse di necessità la sua evoluzione). Quindi che il "Poesia Festival", promosso nell'area modenese dall'Unione Terre di Castelli e dalle istituzioni locali, abbia dedicato una sessione proprio a quell'incrocio non frequentissimo fra il calcio e la poesia è una novità felicemente creativa. Perché quel vecchio gioco diventa effettivamente racconto, mito, immagine soltanto quando è narrato, anzi, isolato in frammenti mitici, come nelle icone metanarrative di Quentin Tarantino. Nessuna biografia, come nessuna cronaca sportiva, saprà rappresentare la classe di Roberto Baggio come l'ha identificata Fernando Acitelli in pochi versi ispirati: «Talento di raso vestito, palleggio erudito, tocco infinito, fanciullo ferito...». Queste parole appartengono alla raccolta intitolata "La solitudine dell'ala destra", una «storia poetica del calcio mondiale» che apparve per la prima volta da Einaudi nel 1998, e che rimane un magnifico esempio di "cronaca" in versi, sempre che per cronaca si intenda il modo in cui il canto omerico fissa per sempre i giochi e i duelli dei guerrieri, o la maniera in cui la leggerezza ariostesca sembra descrivere gli eventi nel loro avvenire. Illustrare il calcio significa in realtà interpretarlo, cioè inventare le parole per definire un gesto: allorché Mariolino Corso riprese uno dei più poetici gesti del calcio, il tiro di punizione a pallonetto, che si era già manifestato negli anni Trenta, fatto dagli uruguagi, si poteva chiamarlo in molti modi. Nella sua interpretazione, quel gesto tecnico divenne un canto triste, come eseguito dalle cadenze di Juliette Gréco, in un sentore prevertiano, come un gesto e una parabola autunnali, e quindi decadenti, inesorabili, soffusi di malinconia: «Geometrie e calligrammi / a centrocampo, con fraseggi / curvilinei, esecuzioni shock, dette, / su punizione, a foglia morta». Già, «les feuilles mortes». Perché anche il calcio ha bisogno di un suo autunno, per essere mitizzato: di un bianco e nero da anni Sessanta, in cui si attenuano i colori della tv al plasma, e l'affetto per il passato supplisce poeticamente all'imprecisione del ricordo. O meglio, la poesia fissa per sempre un gesto, la "rabona" di Diego Armando Maradona, la "ruleta" di Zinedine Zidane, il "sombrero" dei giocolieri brasiliani, sottraendoli alla storia e inserendoli in una memoria riconoscibile collettivamente. Per un paradosso, proprio la materialità estrema del calcio, con i suoi tackle e la durezza del contatto fisico, trova un'illustrazione nel linguaggio poetico. Perché una partita dura novanta minuti, ma il gioco del calcio dura per intere esistenze. E solo qualche verso, nel fluire anonimo e grigio delle vite e delle partite, riesce a estrarre la pepita luccicante che illumina la vicenda di un campione, la carriera di un gregario, traiettorie e parabole di un pallone che altrimenti non si fermerebbe mai. n