gli articoli PANORAMA/

SIAM CONTENTI DI ESSERE SECONDI

04.01.1996
SPECIALE 1995
GLI ALTRI PROTAGONISTI DELL' ANNO / Da Clinton a Pavarotti, tutte le nomination del ' 95

Millenovecentonovantacinque, suggerimenti per la cerimonia di premiazione. Si apre inevitabilmente con la politica e l’oscar spetta naturalmente all’ Oscar, l’uomo del Colle, l’externator soft, stile qui alludo e qui eludo, ma comunque una capacità di regia da fare invidia ad Antonioni: effetto blow up, partita a tennis senza palline, gioco parlamentare senza maggioranze e senza opposizioni. I punteggi naturalmente sono aleatori ma, direbbe Totò, Scalfaro non è l’arbitro? E allora è giusto che i suoi giudizi siano arbitrari. E’ stato lui, Scalfaro, a estrarre con il cesareo dal ventre di Berlusconi il diabolico Lamberto Dini. Altra nomination obbligata per l’amerikano, the Banker, il Rospo venuto dalle sale austere di Bankitalia e balzato sui tavoli della politica con la naturalezza di un ballerino di tip tap. Dice che i giornalisti sono cacadubbi, e a chi storce il naso cita il plauso dell’Accademia della Crusca per la riscoperta di questa italianissima espressione. Esclama "c.zz.!" alla Camera, e poi con scioltezza nega di averlo detto, o perlomeno, medaglia di bronzo alla faccia, "non me ne sono accorto". Ormai di fronte a Lambertow sbiadiscono i protagonisti politici dell’annata: Gianfranco Fini, che secondo l’esule dell’anno Bettino Craxi è "un vuoto vestito di parole", cede il passo alla moglie, Daniela Fini, superproduttrice di testosterone. Umberto "Braveheart" Bossi torna alla sana polemica contro i terroni, e si capisce: noi scozzesi della Valtrompia mangiamo haggis, suoniamo bagpipes, distilliamo nobili e molto torbati single malt nel retro della pizzeria e quindi non vogliamo avere nulla a che fare con gente nata sotto il quarantaquattresimo parallelo, che si chiami Di Pietro o De Mita (per quest’ ultimo il sospetto è che diventi l’uomo dell’anno prossimo, se effettivamente gli riesce la rifondazione democristiana). Un balzo culturale e lessicale ci potrà venire dall’ autentico Uomo di legge dell’ anno, l’ immaginifico Filippo Mancuso, cioè l’ inventore della inimitabile formula spregiativa "il sottufficialato dell’ ecosistema del non-pensiero", roba da strappare applausi a scena aperta in qualsiasi teatro, o "teatrino" della politica, come lo definisce Silvio Berlusconi (politico e imprenditore secondo il popolo, chansonnier confidenziale secondo i malvagi, "un tycoon da six billion dollars" secondo lui). L’ ineffabile Mancuso è anche riuscito a dare corpo ai più fantasiosi miti metropolitani, rivolgendosi ai "falsi laureati" in modo che tutti capissero Antonio Di Pietro, che è invece un laureato vero, anche se il poderoso senatore leghista Erminio Boso, l’ex carabiniere che prese a calci Vittorio Sgarbi, dice che durante l’università il Sismi gli faceva corsi di ripetizione per migliorarne il rendimento. Altri uomini dell’anno, in politica? Senz’ altro Massimo D’ Alema, in primo luogo per l’ invenzione degli esercizi spirituali della sinistra alla certosa di Pontignano, dove Romano Prodi ha schiantato un ulivo (segno pessimo od ottimo?) parcheggiando la station wagon, in secondo luogo per l’ insigne recente polemica contro i giornalisti arruffoni e approssimativi: che desiderano sempre frasi a effetto mentre lui, di fronte a problemi complicati, vorrebbe poter cesellare un complesso, articolato, consapevole e carico di futuro "boh". Basta con la politica? Sì, ma anche la società è muta, malgrado gli sforzi di Giuseppe De Rita di farla parlare a beneficio del rapporto Censis. Qualcosa si muove nei dintorni della Chiesa, e non solo per il carisma planetario di Karol Woityla, ma anche per la competizione mica tanto sotterranea fra il presidente della Cei, Camillo Ruini, che aspetta con equidistanza fra i Poli la rifondazione della Dc, e l’arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, che non perde occasione per segnalare l’inadeguatezza etica ed estetica della destra, cucendo addosso al Cavaliere giudizi addirittura peggiori dei doppipetti che gli cuce Caraceni. Va molto meglio in economia, dove si è assistito a un certo fermento. A un certo punto, tutta Roma parlava delle ambizioni politiche di Cesare Romiti come sostituto di Berlusconi alla guida del Polo, auspice il clan della rivista Liberal. Al telefono con Paolo Mieli, l’Avvocato lo supplicava di non assecondare sul Corriere la "passione senile" per la politica di colui che Valentino Parlato, comunista quasi liberale del Manifesto, chiama con sfacciata complicità "vecchio porco". Dopo di che, sembra di capire che il passo indietro di Gianni Agnelli e l’insediamento del Caesar alla presidenza della Fiat è un modo per riportare tutto in famiglia dando a ciascuno il suo: bravo e bravi, e punto. E a capo. L’ economia fa spettacolo, mentre lo showbiz va a rilento. Bene Teocoli & Lopez, scherzi a parte (cioè si registra la trasmissione e poi si saltano gli scherzi). Male l’ altra metà del cielo: Ambra mette su ciccia, Alba sta bruciando le tappe che la porteranno, malgrado i lifting e il silicone, a raggiungere lo stile da "arzdora" maneggiona immortalato da Iva Zanicchi, Valeria non la smagrisce neppure la dieta sadofotografica di Newton, e infine l’ icona italiana per eccellenza, la formidabile Mara Venier, è sempre più un accrescitivo: biondona, casalingona, ipermastica (cioè tettona); ma grazie al cielo non silicona, quindi apprezzabilmente "nature", anzi, chissà, anche un pochino materialona. Dà l’idea domenicale che con un "la sai l’ultima" la rimorchieremmo in molti, non solo un entertainer di lusso come Renzo o uno strepitoso barzellettiere come Silvio. Se vi piace la musica leggera, scegliete voi a chi assegnare il Premio Depressione 1995 fra il "depresso melodico" Claudio Baglioni (eppure l’ultimo album, Io sono qui, dovrebbe fare impallidire di rabbia i suoi colleghi, anche se un cinico come Gianni Boncompagni dice che gli sembra più comprensibile Hindemith) e il "depresso soul" Zucchero Fornaciari. Se preferite l’opera lirica, dedicate l’oscar a Luciano Pavarotti, che sia almeno l’occasione per chiedervi se ormai è caduto al rango di piverotte, dopo l’infortunio al Met sui nove do di petto della donizettiana Fille du Régiment, oppure se può ancora duettare alla pari almeno con Simon Le Bon e Jovanotti. Cultura. Assegnatevi mentalmente un premio speciale alla carriera (la vostra) per avere rigorosamente evitato qualsiasi polemica concernente Susanna Tamaro. Anzi, quando vi parlano dei successi italiani e tedeschi della nota scrittrice, deplorate ipocritamente l’orrida parodia di Daniele Luttazzi Va’ dove ti porta il clito, e ripetete in cuor vostro come una giaculatoria certe vette stilistiche dell’originale tipo "il cane abbaiava come un pazzo". Ma non dimenticate che l’autentico trionfatore della stagione culturale non è un romanziere, è un guru della politologia, Giovanni Sartori, che grazie alla cattedra alla Columbia e alla sua fama mondiale è riuscito a instillare un profondo inferiority complex a chiunque sostenga il turno unico e qualsiasi tesi che lui non condivida. Per finire l’estero. Premio dell’equilibrio, o dell’equilibrismo, a Bill Clinton, che si consola dell’instabilità interna e dei radicalismi con cui lo affligge il leader della nuova destra Newt Gingrich trovando un ruolo di pacificatore esterno molto classico: più lo mandano giù, più si tira su. Menzione d’ onore a Lady Diana, per l’intervista alla Bbc: grande look, voce sexy, acconciatura finto casual, magnifico repertorio di malattie e vizietti: depressione, autolesionismo, bulimia, propensione al sesso atletico. Tutto molto alla moda, roba da rivaleggiare senza complessi con Maria Teresa Ruta. Quanto alla politica, all’ Ovest poco di nuovo. Premio speciale della giuria a Jacques Chirac, uomo politico di destra divenuto presidente in Francia con un programma di sinistra e attaccato a forza di scioperi (metodo di sinistra) dal pubblico impiego (oggettivamente di destra). Troppo complicato? Ci si può consolare pensando che i francesi sono neolatini davvero cartesiani: mentre da noi gli scioperi punteggiano la vita quotidiana avvelenandola, loro li concentrano in uno scioperone di un mese, così che poi per vent’ anni non ci si pensa più. A Est, invece, clima frizzantino, grazie ai veri uomini dell’anno: i comunisti, che a volte, anzi quasi sempre, ritornano. A Mosca, Boris Eltsin vede con una stretta al cuore i successi degli eredi del Pcus. A Varsavia, Lech Walesa, un elettrotecnico vero, perde il ballottaggio per la presidenza contro un laureato falso. Dopo di che, viene la tentazione di pensare che in fondo l’errore dei bolscevichi è stato un eccesso di impazienza. Hanno preso il potere con la rivoluzione, lo hanno mantenuto con il terrore. Morti, dittatura del proletariato con annessi gulag, e poi elettrificazione, acciaio, missili, atomiche. Tanta fatica per realizzare il paradiso in terra quando sarebbe stato sufficiente prometterlo in campagna elettorale: bastava dare tempo al tempo, e vincere a mani basse le borghesissime elezioni.

Facebook Twitter Google Email Email