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Sarebbe bello avere dei treni

17/02/2005

Con una delle sue battute in tipico stile emiliano, Pier Luigi Bersani è intervenuto al convegno romano della Fondazione Rodolfo De Benedetti ("Oltre il declino", 3 febbraio) spiegando che la carenza vistosa di investimenti in settori strategici della realtà nazionale costituisce e costituirà un problema di eccezionale rilievo nei prossimi anni. Allorché il potenziale di trasporto delle ferrovie raddoppierà nelle tratte principali grazie all’alta velocità, ha detto Bersani, «qualcuno dovrà ammetterlo: sarebbe bello avere dei treni». Lo spirito dell’ex ministro piacentino è utile per indurre a guardare con più attenzione ciò che sta avvenendo nell’Italia di oggi. Nell’Italia? Diciamo nelle Italie. Perché c’è un paese virtuale, quello del Contratto con gli italiani e della propaganda berlusconiana, in cui sarebbero avvenute delle meraviglie, "l’infrastrutturazione", come la chiamano i tecnici e in particolare il ministro Lunardi, procede a tappeto, i progetti si susseguono, si posano prime pietre a raffica, le inaugurazioni si susseguono, con tagli di nastro e promesse di efficienza. E poi c’è invece il paese reale, dove la situazione non è proprio in linea con gli annunci e le fantasmagorie del Terzo Millennio e del Secondo Governo di Silvio Berlusconi. Lo ha rilevato con nitidezza Aldo Bonomi sul "Sole 24 ore" del 6 febbraio, commentando le nuove ipotesi relative al MiTo, la messa in rete di Milano e Torino, e rilevando che passando in treno si costeggia appena fuori la metropoli lombarda la nuova grande fiera, con «la vela di Fuksas come simbolo», «un polo di rappresentazione del capitalismo italiano in Europa e nel mondo», luogo di eventi anche immateriali e non più solo «vetrina delle merci». Ottimo. Alla moda. Irresistibile. Tuttavia Bonomi, discepolo di un osservatore minuzioso della realtà reale come Giuseppe De Rita, non si limita a contemplare il sogno. Si guarda attorno e le sue osservazioni sono disarmanti: «Intanto gli Eurostar si bloccano per ore. I pendolari sono in rivolta… La mobilità è peggiorata… Chi arriva in autostrada da Torino a Milano deve fare un po’ di coda al casello. Quasi sempre. L’orario di punta ormai è continuato. Chi guarda con attenzione lungo la scarpata vedrà uno strano insediamento. Non è un orto per gli anziani offerto dal Comune. È una delle tante baraccopoli sorte fuori città, nelle cascine occupate, a ridosso dei canali e delle massicciate ferroviarie e nelle fabbriche dismesse… Sono invisibili: immigrati senza casa». Sembra la descrizione di una favela, povertà estrema, disagio feroce accanto alla retorica delle "tre i", e del mondo immaginario, del terziario evoluto, dei consumi vistosi. Ma potrebbe essere l’Italia normale che tutti abbiamo sotto gli occhi. Non si fa del disfattismo viscerale dicendo che una parte consistente dell’opinione pubblica sta facendo i conti con il confronto fra il Sogno e l’Incubo. Grandi opere, nel sogno, il Ponte sullo Stretto, l’"efficientamento" del territorio, il decisionismo sbrigativo della legge-obiettivo contro le lentezze bradisismiche delle Regioni e degli enti locali. Nell’incubo quotidiano, oltre ai pendolari in rivolta, con il responsabile delle Fs Elio Catania che si attira improperi promettendo soluzioni entro i prossimi due o tre anni («Ma noi andiamo a lavorare domattina, altro che due anni!»), sarà bene registrare anche il colossale pasticcio combinato dalle forze stradali riunite con i quattro giorni di blocco sull’A3 per una nevicata "vasta e imponente", ma con il consueto ministro Lunardi che non ha trovato di meglio che dare la colpa ai camionisti privi di catene. La sostanza è che la dimensione ipnotica del berlusconismo sta cedendo il passo all’apertura degli occhi sulla realtà. Il vicepremier Marco Follini riconosce con un fastidio che la polemica pedissequa contro il comunismo produttore di "miseria, terrore e morte" è un disco rotto, ma evidentemente, pur sbandierando sondaggi rassicuranti, Berlusconi è in difficoltà sensibile. Deve ritrovare il nemico. Ma nella società italiana ci sono riserve di rancore, sacche di risentimento tutt’altro che mitigato (anzi, forse accresciuto) dal taglio selettivo delle tasse e dalla perdita di reddito negli ultimi due anni, e dal disfunzionamento generale. Può darsi che alla fine Berlusconi abbia effettivamente trovato il suo nemico. Ma anziché le classiche tre narici e la bandiera con la falce e martello, potrebbe avere l’immagine sconsolata di un italiano qualunque.

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