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Piloti e hostess, gli italiani nuovi. Così il Paese prese il volo

30/3/2008
LA DOMENICA DI REPUBBLICA
C' era una volta l' Alitalia - La compagnia di bandiera, che fu il simbolo di un Paese in crescita, oggi è diventata il simbolo della crisi

Questa è la storia del tempo irripetibile delle professioni nuove, stilizzate prima da un sorriso sicuro, poi dalle divise e dal trucco leggero e perfetto, nonché dall’ acconciatura impeccabile, quando le ragazze più volonterose e brillanti annunciavano che avrebbero fatto le hostess, fra gli sguardi di intimorita ammirazione della famiglia: eh sì, volare, oh oh, in quel cielo dipinto di blu, quando Alitalia era il simbolo del rinato orgoglio italiano, e le funzionarie del cielo, vestite dalle sorelle Fontana, con gli abiti confezionati dalla Lanerossi, rappresentavano un altro, e innovativo, ideale di donna: lontano dalla tradizione, fatto di sobrietà nelle maniere e tuttavia anche di improvvisa e consapevole modernità. Tutto così stilizzato, l’ universo umano del volo all’ italiana, un sigillo di innovazione come a suo tempo era stato il Settebello, ma ancora di più, più in alto, con maggiore coscienza dell’ italianità positiva balzata fuori dai Trattati di Roma, dal miracolo economico, dalle suggestive Olimpiadi del 1960, quelle di Livio Berruti, e anche dal vivacissimo ambiente di via Veneto e della Dolce vita. Ossia quando Roma, grazie anche alle "vacanze" di due semidei come Audrey Hepburn e Gregory Peck, con annessa la meravigliosa Vespa della Piaggio, era tornata a essere caput mundi, il luogo di Cinecittà, delle star americane, dei kolossal, dei deliranti peplum, dei cacciatori di dive, dei paparazzi, dei playboy miliardari (e pure squattrinati, spesso). Quando le donne di famiglia leggevano degli amori di Liz Taylor sui rotocalchi, e si chiedevano con complicità femminile: «è di Dior il suo vestito?». Un intreccio di tutto ciò che è popolare, e nello stesso tempo esclusivo e aristocratico, tanto è vero che l’ euforia planetaria del jet set si univa nei luoghi canonici di Roma allo stile della classe dirigente di allora, con i vertici aziendali che comprendevano nomi come Carandini e Libonati: con un che di europeo, di pannunziano, di "Amici del Mondo", di "liberal", di modernizzante. Un alone di successo, di velocità, di eleganza nello stesso tempo lontana, astratta, effettivamente aerea, e nello stesso tempo ferma e cortese, sperimentabile nei gesti del comandante e dei piloti: italiani di tipo speciale, dal momento che l’ abitudine alle trasferte, prima interne e poi sulle rotte internazionali, da Oslo a Buenos Aires e Rio de Janeiro, modellava anche una lingua particolare, esente dalle inflessioni regionali: una novità assoluta pure questa, il tipo italiano che si differenzia dai personaggi dei film di genere, dai ruoli dialettali, dalla macchietta, e diventa un carattere standardizzato su moduli non provinciali. Esempio irresistibile di connazionale nuovo, bello, di successo; anche capace di fare da tramite, nei filmati Luce, fra una Lollobrigida ai tempi dello splendore e la destinazione lontana del Sudafrica, per congiungere la Fontana di Trevi con i suoi riti propiziatori, monetine comprese, alla realtà di una Johannesburg prima di allora inafferrabile e ora invece improvvisamente disponibile, pronta ad accogliere il magnifico equipaggio italiano, in un tripudio di locale e globale, anticipando festosamente i tempi dell’ integrazione mondiale. E di lì a poco sarebbero arrivate le immagini dell’ Italia trionfante in America, con Sophia Loren sulla scaletta a New York. Era naturalmente, il mito Alitalia, un altro degli effetti indotti dalla prima modernizzazione, quando il Paese sembrava davvero decollare, allorché il boom aveva modificato in profondità anche l’ autopercezione degli italiani "nuovi", che si affacciavano sul proscenio del benessere: da un lato con la cialtroneria disinibita di Vittorio Gassman nel Sorpasso, l’ italiano provvisorio alla rincorsa di espedienti per poter superare il weekend, dall’ altro la stilizzazione suprema degli equipaggi, la professionalità sicura, l’ orgoglio che vibra nelle voci degli speaker del telegiornale quando pronunciano l’ espressione "compagnia di bandiera", come se tra lo sfrecciare degli aerei si potesse avvertire qualche nota dell’ inno nazionale, e intravedere nel gas di scarico qualche traccia tricolore. Si può immaginare un pilota nelle fattezze di Marcello Mastroianni, come nel film di Marco Ferreri La grande abbuffata, oppure, in una versione più nazionalpopolare nei panni di Domenico Modugno, quando l’ interprete di Volare virò verso le lacrime di Piange il telefono. E comunque, sempre con la sicurezza di chi controlla sistemi complessi, con la ferma eleganza della competenza, e il Bulova che occhieggia dal polsino, regalo e indizio insieme di classe, di precisione, di meccanismi perfetti. Sempre con l’ idea, in fondo, che l’ eccellenza di un’ Italia così "successful" portava prestigio, un’ immagine completamente diversa da quella di sempre: ed era il ritratto forse irripetibile di un paese in volo.

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